Katya Carbone è Primo Ricercatore presso il CREA – Centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura, dove coordina le attività del laboratorio di Chimica e Biotecnologie Alimentari da anni si occupa di filiera brassicola in generale, e di quella luppolicola in particolare, sia per gli aspetti di ricerca scientifica, sia a livello istituzionale nazionale. Abbiamo approfondito con lei alcuni temi cruciali per l’ecosistema birrario.
Come sei arrivata ad occuparti di ricerca in questo particolare ambito?

«Mi sono laureata in chimica industriale e ho sempre avuto il pallino della ricerca. Dopo qualche anno presso varie istituzioni di ricerca tra le quali l’Università e l’ENEA, sono arrivata al CREA e mi sono appassionata di qualità delle produzioni agroalimentari, in particolare del settore enologico, settore nel quale ho realizzato anche la mia tesi di dottorato. Sono entrata in ruolo a fine 2012 e, cercando come ogni giovane ricercatore “il mio posto nel mondo”, da estimatrice di birra (nel senso che mi è sempre piaciuto berla!), ho cominciato a guardare con interesse al mondo brassicolo, dapprima concentrandomi sullo sviluppo di modelli di gestione circolare del processo produttivo, per poi essere affascinata dal luppolo e dalla sua fitochimica».
Quali sono le ricerche principali nel quale è coinvolto il CREA al momento?
«Il CREA dal 2012 ha iniziato a svolgere con continuità ricerche a livello nazionale sulle materie prime d’interesse brassicolo attraverso una serie di progetti finanziati dal Masaf. Attualmente è in corso il progetto “LOB.IT: Luppolo, Orzo, Birra: biodiversità ITaliana da valorizzare”, dove per la prima volta ci troviamo a collaborare anche con i colleghi dell’Università di Parma, il prof. Tommaso Ganino e la prof.ssa Margherita Rodolfi. Il progetto, che si concluderà a fine dicembre 2026, è diviso in 3 filoni principali ciascuno dedicato a una delle materie prime della birra: luppolo, malto d’orzo e cereali minori, lieviti. Abbiamo poi, per la prima volta, una linea di ricerca dedicata non solo alla ricostruzione statistico-economica della filiera agricola, ma anche alla valutazione della redditività aziendale, elementi conoscitivi fondamentali per gli imprenditori agricoli. Speriamo, quindi, che i nostri risultati possano contribuire alla crescita del settore, in particolare quello artigianale».
Come si coniuga la sostenibilità produttiva con la ricerca?
«Il settore della birra, sia essa industriale che artigianale, è, per mia esperienza, uno dei settori maggiormente sensibili ai temi della sostenibilità ambientale e dei cambiamenti climatici, introducendo spesso soluzioni innovative, ovviamente di stampo diverso, in funzione della loro sostenibilità economica. Come ricercatrice, la mia attività è cominciata proprio dall’analisi dell’impatto ambientale del processo produttivo, che, ricordiamo, dal punto di vista ambientale, è uno dei più impattanti, laddove tra l’80 e il 90% della materia prima in ingresso diventa scarto di produzione (trebbie, luppolo e lievito esausto), dove l’impronta carbonica non è sicuramente trascurabile, così come il consumo di acqua. Con il progetto BIRRAVERDE cercammo all’epoca di sviluppare un modello di sostenibilità produttiva per i microbirrifici, adattando soluzioni studiate per essere introiettate all’interno del birrificio anche con un occhio alla loro sostenibilità economica. Con i colleghi sviluppammo, ad esempio, un processo di recupero delle trebbie con produzione di biochar, che abbiamo impiegato nella coltivazione del luppolo, e contestuale produzione di syngas – alternativa al gpl usato in birrificio – con un approccio alla sostenibilità produttiva “zero-waste”. Oggi molto si sta facendo per aumentare la sostenibilità del packaging e ridurre il consumo di acqua, ma nuove sfide emergono, come quelle legate ai processi di dealcolazione. Ci sono poi aspetti di sostenibilità legati alla produzione delle materie prime, che prevedono ingenti quantità di biomassa generata alla raccolta nel caso del luppolo, o un impatto energetico importante nei processi di essiccazione. Penso che quella della sostenibilità in senso lato sia una delle più grandi sfide del settore per i prossimi anni che vedranno impegnati i produttori anche sugli aspetti legati, ad esempio, all’adozione di pratiche di agricoltura rigenerativa e tutela e valorizzazione della biodiversità, anche di quella microbiologica, per la produzione primaria e sulle innovazioni per la riduzione dei costi energetici delle produzioni».
Quanto incide la ricerca sul comparto produttivo brassicolo?
«Dal mio punto di vista è fondamentale, ma ahimè, a mio avviso, non è sempre percepita così anche dal comparto produttivo. Mi capita di frequente di confrontarmi con realtà estere dove vari gruppi di ricerca, universitari e non, affiancano i birrifici nella ricerca di soluzioni tecnologiche per affrontare problemi o per innovare prodotti e processi. Una maggiore sinergia fattuale tra ricercatori e produttori, artigianali e/o industriali che siano, gioverebbe sicuramente al comparto».