L’Italia, terra di grande tradizione distillatoria, è impegnata nella costruzione di un’identità distintiva per i suoi gin e whisky, prodotti che, pur vantando qualità eccezionali, non hanno ancora trovato un forte riconoscimento sui mercati nazionali e internazionali. Entrambi i settori sono giovani, ma ricchi di potenziale e creatività e necessitano di strategie per consolidare una posizione chiara e competitiva. Se ne è parlato in due tavole rotonde dedicate durante l’ultima edizione del SIMEI.
Gin italiano: tra biodiversità e libertà creativa
Una tavola rotonda dedicata al gin ha visto la moderazione di Davide Terziotti di Craft Distilling Italy e la partecipazione di importanti distillatori italiani: Eugenio Belli (Eugin Distilleria Indipendente), Bruno Pilzer (Distilleria Pilzer), Giovanni Ceccarelli (Distillering), Marcello Biagini (Manifattura Italiana Spiriti), Stefano Arsuffi (Distilleria Orobica Autonoma), Francesco Bonazzi (Tripstillery).
Si è affrontato il tema di un’identità condivisa per il gin italiano. È emersa la ricchezza della biodiversità del paese: erbe aromatiche, spezie e ginepro italiani conferiscono profili unici e attraggono persino distillatori stranieri. Tuttavia, vincolare il gin italiano a materie prime locali può rappresentare un limite: alcune risorse sono disponibili in quantità ridotte o riservate a grandi marchi, complicando l’approvvigionamento per i piccoli produttori. L’approccio più condiviso riguarda la varietà e la libertà creativa che caratterizzano il settore. I produttori italiani spaziano dai classici London Dry a gin innovativi arricchiti da botaniche autoctone. Proprio questa diversità è vista come un punto di forza, ma necessita di un elemento narrativo comune, come la valorizzazione della tradizione distillatoria italiana, per rafforzare l’immagine del “gin italiano”. Si è discusso anche della possibilità di adottare un marchio distintivo per il gin italiano, che potrebbe essere geografico o regionale. Tuttavia, l’idea di una certificazione nazionale risulta complessa, vista la varietà di stili e approcci. Più fattibile, forse, una strategia regionale che potrebbe sfruttare le connessioni con materie prime e tradizioni locali per raccontare storie uniche, sebbene questa narrativa risulti meno immediata per i consumatori internazionali.
Possibili strategie identitarie per il gin italiano
Tra le proposte emerse per rafforzare l´immagine del gin italiano: riconoscimenti geografici basati su criteri produttivi o territoriali; un consorzio che unisca i produttori sotto standard condivisi, senza soffocare la creatività; etichettature trasparenti che chiariscano origine e caratteristiche del prodotto; un messaggio chiave che comunichi la qualità e la tradizione italiana a livello globale.
L’obiettivo comune è trovare un equilibrio tra tradizione, innovazione e sostenibilità, evitando un’omologazione eccessiva.
Whisky italiano: un’identità in evoluzione
Il whisky italiano, anch’esso giovane, condivide alcune delle sfide del gin, interrogandosi su cosa significhi “italianità” e su come posizionarsi sul mercato globale. La tavola rotonda dedicata ha visto la moderazione di Eugenia Torelli, giornalista di Linkiesta Gastronomika, Corriere della Sera e VinoNews24 e Claudio Riva, Whisky Club Italia, e la partecipazione di Stefano Zanetto (Distilleria Strada Ferrata), Enrico Chioccioli (Winestillery), Sanzio Evangelisti (Mazzetti d’Altavilla)e Diego Assandri (Mulino Sassello)
Si sono sottolineate le varie origini dei produttori: alcuni provengono dalla tradizione grappa, altri dal mondo del vino o della birra artigianale, mentre altri ancora partono dalla coltivazione di cereali. Questa diversità è una risorsa, offrendo molteplici approcci alla produzione. I cereali italiani, inclusi grani antichi e varietà autoctone, sono centrali per distinguere il whisky italiano. A ciò si aggiungono i legni utilizzati per l’affinamento, come botti già impiegate per vini e marsala, un patrimonio unico. Inoltre, l’Italia può sfruttare la sua fama per l’artigianato e il design, integrando questi valori nella produzione e nel packaging.
Un mercato in crescita
Con 17 distillerie attive al 1° gennaio 2024 che saranno probabilmente 27 al 1° gennaio 2025, il whisky italiano è in espansione. Il paese ospita anche il più grande club di appassionati d’Europa, Whisky Club Italia, segno di un interesse crescente. La mancanza di rigide normative offre ai produttori libertà di sperimentazione, un vantaggio per definire ricette innovative e tecniche di invecchiamento non convenzionali. Tuttavia, questa libertà deve essere bilanciata con regole minime condivise per garantire qualità e autenticità.
Strategie per il whisky italiano
Le vie identitarie possibili individuate durante la tavola rotonda per il whisky includono: sfruttare la biodiversità italiana e le peculiarità del territorio; valorizzare l’uso di legni italiani per l’invecchiamento; rafforzare il legame con l’artigianato e il design italiano; creare regole condivise per preservare l’autenticità senza ostacolare l’innovazione.
Un’identità condivisa per crescere
Sia per il gin che per il whisky italiani, il futuro passa per una maggiore collaborazione tra i produttori. Non si tratta di uniformare, ma di definire elementi chiari e distintivi, capaci di comunicare la qualità e la tradizione italiana al mondo. Solo unendo tradizione, innovazione e valorizzazione del patrimonio locale, i distillati italiani potranno conquistare una posizione di rilievo nel panorama internazionale.