Alois Lageder nel 1991 con l’acquisto della Tenuta Hirschprunn, con 30 ettari di vigneti e un palazzo rinascimentale che si sono aggiunti alla Tenuta Löwengang a Magrè, ha scritto pagine nella storia vitivinicola dell’Alto Adige, esprimendone la diversità di terroir e ispirandosi ai principi dell’agricoltura biodinamica. Siamo oggi alla sesta generazione e i vini Lageder sono annoverati tra i cosiddetti fine wines, quelli con il più alto tasso di reputazione al mondo.
PER LAGEDER L’AGRICOLTURA È UN ORGANISMO VIVENTE E LA NATURA UN PATRIMONIO DA DIFENDERE E COLTIVARE
Da un lato, la capacità di avere visione, dall’altro, guardare oltre i propri confini per imparare attraverso il confronto e la contaminazione con mondi diversi: il tutto forgiato da un grande pragmatismo. Biodiversità, fasi lunari, connessioni con la natura, integrazioni con il mondo animale non sono forme di esoterismo o misticismo, ma pratiche scientifiche. Scelte in vigneto e in cantina che si ispirano alla storia personale di una famiglia che non ha mai creduto nelle ricette e nell’ordine precostituito, ma ha continuato a sperimentare e a definire lo stile che oggi è distintivo dei vini, dei vigneti e delle persone.
La cantina Lageder ha saputo nel tempo coniugare aspetti apparentemente lontani, che rispondono a criteri di sostenibilità, difesa dell’ambiente, miglioramento della fertilità del terreno e livello produttivo. Il tutto armonizzando la tradizione e l’innovazione, in ottica di miglioramento continuo.
Approccio biodinamico anche in cantina
Quando pensiamo alla biodinamica il nostro pensiero corre immediatamente ai vigneti, al terroir, ai suoli e al clima. Ma esiste anche un approccio biodinamico in cantina: dove non arriva direttamente l’energia solare e si è più in profondità e nell’oscurità, è possibile sfruttare l’energia rinnovabile che arriva dall’acqua, dal calore della terra, dall’umidità della roccia e dalla biotermia. Perché in biodinamica esiste un “sopra” ma anche un “sotto”, legati da principi di gravità: Alois negli anni ‘90 costruì una cantina dotata di una torre di vinificazione rotonda, alta 15 metri: dal punto più alto l’uva viene fatta cadere e viene trasportata per la lavorazione senza alcun ricorso a movimenti meccanici. I passaggi sono delicati, rispettosi della materia prima, che arriva integra riuscendo ad esprimere e a dare il meglio di sé in vinificazione. Non viene fatto uso di pompe nella prima fase di vinificazione o mezzi meccanici di trasporto, in quanto i vasi binari sono posti in cerchio attorno al punto di caduta dell’uva. Il tutto in modo naturale e rispettoso: tempi e modi coerenti con un’idea di qualità che Alois Lageder aveva bene a mente.
A inizio 2021 Alois ha fatto un passo indietro e ha lasciato l’azienda nelle solide mani dei figli, Alois Clemens, Helena e Anna: la sesta generazione è erede di un patrimonio valoriale, ma anche ricca di energia per il futuro. Di tutto questo – e di molto di più – abbiamo parlato con Alois Clemens Lageder, amministratore delegato dell’azienda.
Qual è la vostra interpretazione dei principi della viticoltura biodinamica?
«Il principio che mettiamo al centro è l’agricoltura sana: la biodinamica è una possibilità per coltivare il terreno, i vigneti e i campi in modo sano. L’idea che abbiamo della biodinamica è pragmatica. I fondamenti di Rudolf Steiner sono alla base di questo approccio, ma in oltre cento anni la società, i principi e le conoscenze sono cambiate: quando parliamo di biodinamica stiamo sempre parlando di un processo. Il cambiamento non avviene di generazione in generazione: dobbiamo adattarci ai mutamenti della natura, e la biodinamica cambia e si adegua ad un mondo in continua evoluzione. Non parliamo più di un maso chiuso come cent’anni fa: cerchiamo oggi di creare un organismo dove è possibile collaborare con altre aziende. Noi collaboriamo con un caseificio che ci dà buoi e mucche: non sappiamo fare il latte e derivati, facciamo vino. Ci appoggiamo ad altri, di cui ci fidiamo. Abbiamo necessità del letame organico per fertilizzare il suolo, che nei nostri obiettivi non solo deve essere mantenuto fertile: la fertilità deve invece crescere, grazie anche al ricorso alle pratiche di sovescio nei vigneti. Creare biodiversità, questa è la chiave della nostra filosofia ed è alla base della nostra interpretazione di sostenibilità: la pianta, in questo modo, vive in un ambiente più sano, e questo impatta inevitabilmente sulla qualità delle uve e dei vini».
Cosa succede in cantina dove avete realizzato un progetto dedicato: una torre rotonda e verticale per la vinificazione, dove la sostenibilità è il principio ispiratore, a cominciare dal concetto applicato del cerchio?
«L’approccio sostenibile non deve fermarsi al vigneto: architettura e tecniche di vinificazione sono legate e coerenti con tutti gli elementi della nostra azienda. Nella cantina, realizzata trent’anni fa, la prima idea fu quella di usare soprattutto materiale biologico e naturale, come legno e pietra. Un altro principio “portante” fu quello di non usare energia fossile: non usiamo né gas né petrolio. Siamo stati la prima azienda nel Nord Italia ad utilizzare pannelli fotovoltaici e solari. La tecnologia oggi è aumentata e si è sviluppata con una maggiore diffusione, ma all’epoca siamo stati dei precursori. Il terzo principio della bioarchitettura a cui ci siamo ispirati per la costruzione della cantina è stato la scelta di una dimensione verticale e l’integrazione totale nella roccia, per utilizzare la biotermia e raffreddare in modo naturale, mantenendo una temperatura stabile all’interno della cantina. Nessun condizionamento esterno, il totale ricorso alle risorse naturali che la natura ci ha messo a disposizione: la geotermia risale a due secoli fa, ma l’applicazione ai giorni nostri soprattutto all’epoca della costruzione della cantina non era diffusa. Ci siamo lasciati guidare dal principio di gravità, che ci consente di evitare di pompare nelle prime fasi di vinificazione, con risparmio di energia. 15 metri di discesa verticale per l’uva, sfruttando unicamente questo principio. 30 anni fa tutto questo era molto innovativo: oggi per molti è invece fortunatamente diventato uno standard».