Conservare e tramandare nel tempo la qualità dei propri prodotti, valorizzare la ricchezza ambientale e sociale del territorio, rimanere fedeli alla cultura e ai valori del proprio lavoro: la Cantina Giuseppe Sedilesu ha sempre puntato su questi principi cardine, fin da quando, oltre vent’anni fa, decise di imbottigliare ed etichettare per la prima volta il vino sfuso che già da qualche decennio la famiglia produceva a Mamoiada, nel cuore della Barbagia, a una quindicina di km da Nuoro. Qui, si sa, il protagonista indiscusso è il Cannonau.
A Mamoiada, infatti, il vino Cannonau, così come la tradizione millenaria delle antiche maschere carnevalesche dei Mamuthones e degli Issohadores, costituisce un elemento fortemente identificativo e di grande rilevanza sociale. In questa zona non industrializzata e ricca di vegetazione e macchia mediterranea – che influisce sulla qualità e sui profumi dei vini – la Cantina coltiva 20 ettari di vigneti: suoli sabbiosi derivanti dal disfacimento di rocce granitiche, terreni poveri di nutrienti e di sostanza organica, ma ricchi di potassio. Diversi corsi d’acqua naturali irrorano le terre del paese e fungono da riserve idriche; inoltre, essendo questo un territorio collinare – situato tra i 600 e gli 850 metri s.l.m. – si beneficia sempre anche del ricircolo dell’aria e di escursioni termiche tra il giorno e la notte, soprattutto durante i periodi di maturazione dell’uva, il che garantisce un adeguato sviluppo dei grappoli e dei relativi composti polifenolici.
«Siamo nati nel 2000 prefiggendoci di imbottigliare un vino di qualità – rivela Salvatore Sedilesu, figlio di Giuseppe, oggi alla guida dell’azienda insieme alla famiglia –, puntando a trovare acquirenti in mercati che si estendessero ben oltre la nostra isola. Se non consideriamo la Cantina Sociale del paese, che operò per meno di un decennio negli anni 70, possiamo dire di essere la prima Cantina imbottigliatrice di Mamoiada. La nostra azienda non ha un unico punto di forza, ma una serie di sinergie che la caratterizzano e la rendono unica: ringraziamo ogni giorno per il terroir di cui possiamo beneficiare, sul quale uomo e vitigno confluiscono per creare un vino identitario dalle particolarità irripetibili».
Cannonau e Granatza in purezza
Le varietà di vite più antiche sono coltivate attraverso l’uso di materiale proveniente dalle selezioni massali dei vigneti centenari: Cannonau, ovviamente, e la cultivar a bacca bianca Granatza, entrambe allevate ad alberello basso e vinificate in purezza. Nello specifico, i Sedilesu sono stati i primi a riscoprire e a valorizzare la Granatza, vitigno autoctono quasi sconosciuto, presente in piccole quantità nei vecchi vigneti di Cannonau; dopo circa 20 anni, e a seguito di studi condotti anche dall’Agris Sardegna – Agenzia regionale per la ricerca scientifica, la sperimentazione e l’innovazione tecnologica nei settori agricolo, agroindustriale e forestale –, questa cultivar è stata registrata nel Registro nazionale delle varietà di vite.
«È stata una grande conquista – racconta Salvatore –, non solo per la nostra azienda, ma per tutto il territorio mamoiadino. La riscoperta di questa risorsa nascosta, infatti, ha stimolato, in paese, impianti dedicati esclusivamente al vitigno Granatza. Sul territorio, poi, collaboriamo con aziende selezionate accuratamente per l’approvvigionamento di materie prime di alta qualità, come i tappi in sughero (100% sardo, prodotto dall’impresa Suber Extra di Ovodda), o per la creazione di sinergie, come nel caso della partnership con il caseificio Erkiles di Olzai, con cui cooperiamo per la produzione di formaggio che matura immerso nelle nostre vinacce. Produciamo circa 100.000 bottiglie all’anno, in annate più fortunate anche 130.000, suddivise in 14 diverse etichette che si differenziano principalmente in base all’età dei vigneti».
I dipendenti fissi, con un’età media di 35 anni, sono in totale 13, oltre alla manodopera occasionale che viene assunta durante i periodi più impegnativi, quali la vendemmia. «Una parte delle risorse umane è destinata all’enoturismo, una parte si occupa di amministrazione e di export e la quota rimanente si divide tra le lavorazioni in vigna e in cantina. Importante è la presenza femminile in azienda – aggiunge Sedilesu –: dei cinque reparti chiave, enoturismo, comunicazione ed export sono sotto la responsabilità di donne, il che conferisce alla nostra realtà la completa parità di genere».
Dalle 400 alle 1.600 bottiglie orarie
La sede aziendale si sviluppa verticalmente su tre livelli: sala dedicata all’enoturismo e all’ospitalità al primo piano, sala di vinificazione e imbottigliamento al piano terra e bottaia, tunnel e sala di affinamento nel sotterraneo, per un totale di circa di 1.500 mq. La struttura verticale permette di semplificare alcuni processi sfruttando la forza di gravità, grazie all’ausilio di tubature che consentono il passaggio dalla sala vinificazione alla bottaia, dove avvengono la maturazione e l’affinamento dei vini.
«Da quando siamo nati, per via della crescente richiesta del mercato, abbiamo costantemente investito in nuovi vigneti – spiega Salvatore –, il che ha determinato una maggior produzione d’uva e, di conseguenza, di vino. Per questo motivo, nel 2009, ci siamo dotati di nuovi macchinari».
Relativamente al processo di riempimento, la Cantina ha acquistato la macchina automatica 1300 GAI, per la colmatura, l’iniezione di gas inerte e la tappatura in linea di bottiglie di diverso formato. Costituita da otto rubinetti a caduta, una stazione di iniezione di gas monotesta e una stazione di tappatura dotata di una testata per la chiusura delle bottiglie con tappi in sughero, questo macchinario assicura lo svolgimento consecutivo e automatico di una serie di operazioni che hanno inizio dalla deaerazione, la quale permette di ridurre l’ossidazione del vino estraendo l’aria dalla bottiglia con una pompa ad alto vuoto, sostituendola con azoto. «Quest’operazione è molto importante, perché riduce l’ossidazione, evita la colatura del tappo e fa sì che l’iniettore di gas possa verificare il livello di riempimento». Segue la tappatura sottovuoto con chiusure in sughero, che garantisce che non si crei pressione, in bottiglia, tra tappo e liquido. Il macchinario realizza dalle 400 alle 1.600 bottiglie orarie; prima e dopo l’utilizzo, per il corretto esito dell’imbottigliamento, sono fondamentali le operazioni di lavaggio e sterilizzazione, sia con soluzioni acquose che con vapore saturo.