Diversity Ark: un nuovo modello di certificazione di sostenibilità ambientale

Ogni intervento effettuato in ambito rurale si ripercuote inevitabilmente sull’intero sistema costituito da piante, animali ed esseri umani: si basa su questa visione olistica dell’agricoltura il pensiero degli agronomi e naturalisti Stefano Amadeo e Stefano Zaninotti, i quali, dopo essersi incontrati nel 2012 per motivi professionali – entrambi impegnati nel settore e con anni di studi alle spalle –, hanno ritenuto necessario pensare a un modo per sperimentare tecniche e pratiche agricole sempre meno impattanti e invasive nei confronti dell’ambiente, con l’obiettivo di sensibilizzare agricoltori e consumatori relativamente a queste tematiche.

È nato così Diversity Ark, un nuovo marchio di certificazione che si approccia all’agricoltura con il fine di tutelare la biodiversità, evitando che l’ecosistema venga irreparabilmente alterato dall’azione dell’uomo.

«Durante gli anni di collaborazioni con aziende agricole, cantine e realtà legate al mondo rurale, sia a livello nazionale che internazionale, abbiamo notato lacune e incongruenze nelle certificazioni già esistenti e alcuni aspetti che potevano essere approfonditi o migliorati – spiegano i due consulenti agricoli –. Questo ci ha portati a pensare di proporre qualcosa di innovativo che davvero facesse la differenza, prendendo le parti della natura e cercando di allontanarci da una visione antropocentrica dell’agricoltura. Così nel 2020, a Latisana, nell’ex provincia di Udine, coadiuvati anche dall’amministratore e socio Luigi Vignaduzzo abbiamo dato vita a questo progetto di divulgazione di un nuovo modello di certificazione di sostenibilità ambientale, basato sulla valutazione dell’agro-ecosistema con il fine di permettere alle aziende agricole di migliorare la gestione dei propri terreni e, conseguentemente, di ottenere una maggior qualità ed eccellenza in produzione».

Meno burocrazia per le imprese aderenti

Per la creazione del marchio di certificazione, tre sono stati i principi cardine da cui sono partiti Amadeo, Zaninotti e Vignaduzzo: rispettare in modo rigoroso la biodiversità, per la tutela integrale degli elementi che si interfacciano con il processo agricolo – dallo stato di benessere dei suoli alla certificazione della biodiversità faunistica dell’appezzamento, fino alla ricchezza di morfospecie; l’utilizzo di un metodo scientifico, attraverso analisi condotte sia in laboratorio sia in campo, eseguite con costanza e precisione durante tutto l’arco dell’anno; massimo snellimento delle procedure burocratiche per le aziende aderenti.

Da sinistra: Stefano Zaninotti, Stefano Amadeo, Luigi Vignaduzzo

«L’eccessivo appesantimento burocratico per il raggiungimento delle certificazioni già in essere era uno dei numerosi aspetti che, a nostro parere, avrebbero potuto essere migliorati: confrontandoci direttamente con gli agricoltori, abbiamo rilevato iter troppo farraginosi e complicati, che fungevano, potenzialmente, da deterrenti per molte aziende, spesso ostacolate sin dalla fase di gestione amministrativa. A questo si affiancavano controlli in campo non sufficienti e limitati, l’applicazione di criteri con una modesta verifica a valle degli effetti sull’agroecosistema – poi sviluppata e implementata con la nostra certificazione – e un ridotto o nullo impiego di professionisti agroecologici per il monitoraggio della situazione in campo e per il trasferimento delle informazioni in maniera chiara e fruibile alle aziende. Abbiamo sentito forte l’esigenza e la volontà di intervenire laddove altre aziende erano carenti, trasformando le criticità degli altri nei nostri maggiori punti di forza».

Analisi biologica e chimico-fisica del suolo

Oltre a un iter veloce e agile, caratterizzato da una fase amministrativa e burocratica ridotta all’essenziale, dunque, i promotori di Diversity Ark si sono concentrati sull’attenzione e sulla costanza dei controlli agroecologici in campo, distinti in tre grandi macroaree – analisi del suolo, analisi degli insetti e della vegetazione circostante –, messi in atto per misurare il beneficio derivante dal percorso di certificazione e l’impatto dell’attività agricola con un occhio attento anche alla riduzione dell’uso delle plastiche.

«Solo un rapporto diretto, costante e schietto con il terreno e la flora circostante può rivelare lo stato di salute, la vigoria e la potenzialità di un agroecosistema», specifica Amadeo. Il campionamento del suolo e la sua analisi biologica e chimico-fisica rappresentano, così, la prima fase pratica del percorso volto alla certificazione.

«Attraverso questo step-chiave si individuano la composizione del terreno e la quantità, vitalità ed efficienza dei microrganismi presenti: fattori determinanti per la comprensione della reale salubrità del suolo e della sua capacità produttiva – continua Zaninotti –. Il campionamento, nello specifico, viene effettuato tra aprile e maggio, ottenendo dati chimico-fisici e biologici, e i risultati, corredati da commenti ad hoc sviluppati da Diversity Ark, sono consegnati all’azienda permettendole di prendere le iniziative agronomiche più opportune per migliorare o mantenere la fertilità del suolo. Durante questa fase viene anche calcolato l’IBF, ovvero l’indice di fertilità biologica».

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