Se è vero che Niccolò Marzichi Lenzi, discendente e rappresentante della nota famiglia di viticoltori Antinori, ha avuto la fortuna di passare i suoi primi anni di vita immerso tra vigneti, olivi e boschi in una tenuta nel Chianti a stretto contatto con la natura toscana, altrettanto vero è che il comparto enologico lui l’ha scelto per un indiscutibile trasporto e vocazione, non per dovere, dopo aver vissuto esperienze anche molto diverse tra loro. Dal trasferimento a Parigi, nell’età degli studi adolescenziali, all’amore per i cavalli, per il salto a ostacoli e i concorsi ippici, fino all’attività – importante e formativa – come portaborse di un uomo d’affari olandese, al fine di imparare le basi del commercio internazionale, della negoziazione e della gestione aziendale. Un percorso vario, che, a soli ventun anni, l’ha portato a scegliere di vendere la proprietà del padre – non particolarmente vocata alla produzione vinicola – e a investire il ricavato nella creazione di quella che oggi è la realtà di cui è Amministratore delegato da ormai dieci anni, Tenuta di Biserno, situata nel Comune di Bibbona (LI), in Alta Maremma.
Come si definisce oggi Niccolò? «Un ragazzo felice, che ha il privilegio di vivere pienamente la sua grande passione per il vino».
Come si è reso conto che quella per il settore vitivinicolo era una vera e propria passione?
«Per puro caso, anche se non si direbbe: grazie a una bottiglia stappata in maniera spensierata che tutt’oggi conservo nel mio ufficio. In quel periodo ero adolescente e vivevo con mia madre in Francia, nella periferia di Parigi. Una sera un mio caro amico venne a casa nostra per mangiare una pizza e, tanto per cambiare e scegliere qualcosa di diverso dai vini della mia famiglia, di cui conoscevo bene il valore, decisi di aprire una bottiglia di vino sconosciuta, che pensavo non fosse nemmeno un granché, dal momento che era stata riposta in un angolino. Quella bottiglia, scambiata per un vino di poco valore, era uno Chateau Haut Brion del 1982 e cambiò il mio destino: fin dal primo sorso capii che era un prodotto diverso e, soprattutto, molto buono e mi regalò quella che potrei definire la prima reale emozione legata a un vino. Un po’ come il primo amore da ragazzini. Stuzzicò la mia curiosità a tal punto che, da quel giorno in poi, sono sempre andato alla ricerca di nuove scoperte e sapori, stappando vini di ogni origine e provenienza e andando regolarmente a visitare i produttori».
Nel 2014 è stato nominato AD della Tenuta…
«La mia missione è stata quella di riorganizzare l’azienda, con un focus particolare sulla parte commerciale, lo stile dei vini e lo sviluppo. Negli anni ci siamo fatti conoscere per la qualità dei nostri vini e per uno stile ben identificabile e se le prime bottiglie – risalenti a circa vent’anni fa – erano presenti in pochi mercati, oggi possiamo orgogliosamente dire di essere distribuiti per circa l’80% della nostra produzione in più di 60 Paesi del mondo, essenzialmente nel canale HoReCa».
“Il punto di base è l’equilibrio. Un vino, prima di tutto, deve essere bilanciato; in secondo luogo, non deve mai mancare di carattere”
Ci racconta delle aziende che oggi costituiscono Tenuta di Biserno?
«Certamente: sono tre imprese che si contraddistinguono per tipologia di terroir. La prima è quella che dà il nome alla compagine aziendale, Tenuta di Biserno, estesa su circa 40 ettari e confinante, a Nord, con lo storico villaggio e la Doc Bolgheri. Dislocati a 90 metri sul livello del mare, i suoi terreni sono principalmente alluvionali, argilloso-calcarei, ricchi di carbonato di calcio e ciottolosi: su di essi coltiviamo principalmente Cabernet Franc, Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot. L’influenza del mare a pochi passi e la diversa esposizione sono le caratteristiche determinanti per la produzione dei due vini rossi che qui produciamo: Biserno e Pino di Biserno, per un totale di circa 130mila bottiglie che declinano il territorio in due versioni stilistiche di grande pregio. Tenuta Campo di Sasso si trova, invece, a un’altitudine inferiore (a quota 40-60 metri s.l.m.) rispetto a Tenuta di Biserno, i suoi terreni – dislocati su 56 ettari – sono di impasto misto tra sabbia e argilla, con ciottoli medio grossi, e il clima è più caldo durante i mesi estivi: queste condizioni sono ideali per la coltivazione di Syrah e di Vermentino, oltre che di altre varietà di vitigni bordolesi, le quali danno vita a circa 300mila bottiglie di rosso Insoglio del Cinghiale e di bianco Occhione».
E relativamente alla terza Tenuta, quella di Collemezzano?
«È l’ultima realtà entrata a fare parte di Biserno, composta da circa 15 ettari di vigneto di varietà bordolesi piantate a metà degli anni Novanta, che si estendono lungo il limite settentrionale della Maremma Toscana, nelle vicinanze di Bibbona. I vigneti sono posizionati in modo che la prossimità al mare garantisca loro un flusso d’aria continuo, attenuando di conseguenza anche le temperature (talvolta estreme nel periodo estivo), e i terreni sono quelli in cui gli elementi minerali si mescolano alla tessitura di medio impasto, con un’equilibrata interazione di ciottoli, sabbie, limo e argilla. Questi terroir unici, le condizioni naturali così particolari, l’esposizione ai venti, il suolo e il clima favoriscono la produzione di vini di carattere, categorizzandoli in modo autentico e riconoscibile: essi vedranno la luce tra qualche anno».
In cantina chi si occupa della produzione, nello specifico?
«A Biserno abbiamo la fortuna di avere più pilastri in vari settori, tra cui Ranieri Orsini, che ricopre il ruolo di direttore della produzione: alle sue direttive c’è una squadra di persone che abbiamo saputo far crescere e altre ancora che sono in fase di apprendimento. Disporre di un team solido e affidabile è alla base di tutte le aziende di successo e credo che uno dei ruoli del dirigente sia quello di saper vedere oltre il quotidiano, garantendo la perennità dell’azienda e instaurando un metodo di lavoro trasferibile a chi verrà dopo. All’inizio del mio incarico ho dovuto imporre diversi cambiamenti importanti nell’organizzazione: l’efficienza e l’ottimizzazione dei processi sono imprescindibili per un’impresa sana e funzionante. Erano anni in cui i vini si vendevano già molto bene, ma i conti non tornavano come avrebbero dovuto; per mia fortuna, in poco tempo si sono visti i risultati derivanti dal cambio di rotta e, da quel momento in poi, è stato tutto molto più semplice. Come molto spesso accade, cambiare fa paura, ma, se si desira un perfezionamento, è necessario».
Tenuta di Biserno può essere definita una realtà sostenibile?
«Cerchiamo di essere il più attenti possibile alla natura e alla sua salvaguardia e lo facciamo da una decina di anni, da quando, nel 2014 – un’annata particolarmente complicata – ci siamo accorti che i vigneti che conducevamo tramite pratiche biologiche rispondevano meglio degli altri. Da quel momento è iniziato il nostro percorso green, ma senza eccessi, perché secondo noi la sostenibilità deve essere intesa come un concetto a 360 gradi e le pratiche in vigna hanno l’obbligo di garantire una produzione anche in condizioni complicate. In cantina adottiamo tecniche assolutamente basiche, relativamente alla vinificazione e all’affinamento: siamo convinti che il segreto per fare un gran vino parta dalla conoscenza del vigneto e dalle piccole scelte che vengono compiute nell’arco dell’anno, tra i filari così come tra i vasi vinari e le botti. In poche parole, oltre all’esperienza ci vuole un impegno maniacale, partendo già dalla pianta, nel cercare di migliorare ogni singolo dettaglio in fase di produzione. A livello di macchinari degni di nota per prestazioni o tecnologia, ne abbiamo più di uno in realtà, ma, tra tutti, cito la macchina imbottigliatrice GAI 2105, precisa e molto affidabile».
Cosa non deve mancare, secondo il suo parere, in un vino di qualità?
«Il punto di base è l’equilibrio. Un vino, prima di tutto, deve essere bilanciato; in secondo luogo, non deve mai mancare di carattere. Un tempo i vini si distinguevano tra buoni e cattivi: oggi, per fortuna, non è più così, soprattutto in Italia. Personalmente non ho ancora avuto la fortuna di “mettere le mani” fuori zona, ma sarei certamente aperto, qualora l’occasione si presentasse. Cerco, tuttavia, di recarmi all’estero più volte all’anno presso più produttori che stimo, con l’unico obiettivo di scambiare esperienze e vedute; nel tempo ho acquisito molti contatti con molteplici colleghi e con loro mi confronto regolarmente. È proprio grazie a questi viaggi che mi sono reso conto dei grandissimi progressi che noi italiani abbiamo fatto, sotto tutti i punti di vista».
Quali caratteristiche deve possedere, invece, un produttore vitivinicolo al giorno d’oggi?
«La pazienza e la visione. Le prime domande da porsi riguardo a un determinato vino sono: chi lo comprerà? Perché dovrebbe farlo? Spesso, invece, i produttori sono guidati da una passione accecante e finiscono per considerare i propri vini come figli, non riuscendo, poi, a essere obiettivi. Nel condurre Tenuta di Biserno e nel produrre le referenze enologiche io cerco di trasmettere l’amore che provo per il mio lavoro e per la nostra azienda a tutti i collaboratori, condividendo con loro i successi, ma anche le difficoltà, come si fa nelle famiglie. Chi lavora con me mi considera intraprendente e instancabile: sono costantemente in fermento, come la mia azienda, consapevole che tutto quello che viene realizzato è frutto di un lavoro di squadra».
Cosa intravede per il futuro della Tenuta?
«Recentemente abbiamo acquistato svariati terreni per garantire l’evoluzione dell’azienda, ma abbiamo investito anche nella formazione dei giovani della divisione agricoltura. Crediamo che la tecnologia possa essere di grande supporto nel nostro lavoro, ma, come ogni cosa, ha i suoi limiti; una maggior conoscenza dei propri vigneti, invece, è fondamentale, soprattutto in una fase come quella che stiamo vivendo attualmente, di integrazione di nuovi terreni e filari vitati. Per i prossimi mesi ci focalizzeremo sicuramente sul miglioramento e l’ampliamento della nostra rete distributiva. A cosa aspiro per me stesso? Di continuare a divertirmi nel mio lavoro».