Vigneti del Vulture – Gruppo Fantini: un’esperienza straordinaria e accessibile a tutti

Era il 1994 quando tre amici, poi divenuti soci, grazie a un modello di business altamente innovativo e senza possedere né capitali finanziari né vigneti di proprietà, diedero vita al loro sogno di creare una Boutique Winery con base a Ortona (CH), in Abruzzo, che divenisse, nel tempo, protagonista della rinascita enologica del Sud Italia. Filippo, Valentino e Camillo – questi i loro nomi – iniziarono a selezionare i vigneti con esposizioni ideali e situati nei terroir migliori, creando relazioni di fidelizzazione con i produttori e retribuendoli non in base alla quantità prodotta – come una normale cooperativa –, ma in base all’estensione della superficie vitata e alla qualità delle uve, lasciandoli liberi di prendersi cura dei propri vigneti senza preoccuparsi dei volumi realizzati. È in questo modo che il Gruppo Fantini – che attualmente realizza all’incirca 26 milioni di bottiglie, 90 milioni di euro di fatturato all’anno e che, nel 2024, festeggerà il suo trentennale – è via via riuscito a innestare una spirale positiva e a fornire sicurezza economica agli agricoltori, consolidandone il legame con le loro terre, inducendoli a generare qualità e stimolando – attraverso un sistema d’incentivi – la diffusione di quella cultura produttiva che oggi consente al Gruppo di poter lavorare e trasformare le uve, in loco, in diverse regioni italiane, oltre che in Spagna. Cura sartoriale nel packaging, un eccezionale rapporto qualità-prezzo e ricerca e sperimentazione sono altri elementi distintivi dell’impegno di Fantini. L’azienda, nello specifico, è stata tra le prime in Italia a dotarsi di un proprio dipartimento di ricerca e sviluppo finalizzato a testare nuove tecniche di lavorazione dei vitigni autoctoni di ogni regione.

Terreni ricchi di fosforo, magnesio e potassio

Tra queste c’è la Basilicata, che ad Acerenza (PZ) vede un importante stabilimento produttivo dare lavoro a una trentina di dipendenti e realizzare, annualmente, circa 7,5 milioni di bottiglie. Questo polo di imbottigliamento, Vigneti del Vulture, già certificato Equalitas Winery e RafCycle, rappresenta il centro di riferimento per la lavorazione non solo dei vini lucani, ma anche di quelli pugliesi del Gruppo (linee Cantina Sava e Vigneti del Salento), che vengono vinificati a Sava (TA) e trasferiti ad Acerenza per la messa in bottiglia.

«Se in Basilicata contiamo circa 200 ettari vitati e 28 conferitori, in Puglia gli ettari salgono a 615 e i conferitori a 348 – specifica l’enologo e responsabile dello stabilimento lucano, Danilo Gizzi –. Ad Acerenza lavoriamo annualmente, nel complesso, 10mila quintali di uva, di cui circa 3.000 destinati ai bianchi, altrettanti ai rosati e più o meno 4.000 ai rossi». Nella zona attorno alle pendici del Monte Vulture (PZ), dove sono localizzati i conferitori lucani, i terreni sono tutti prevalentemente vulcanici, quindi ricchi di fosforo, magnesio e potassio, il che, oltre a rappresentare un habitat ideale per la vite, permette un drenaggio eccellente grazie alla fine sabbia eruttiva originatasi dal deposito di cenere e lapilli, la quale, nei periodi di intense piogge, sfugge ai ristagni d’acqua. Anche qui il Gruppo punta principalmente sui vitigni autoctoni: «Per i bianchi selezioniamo Greco e Fiano, che provengono dai suoli di origine vulcanica di Venosa (PZ), nella parte nordorientale della regione; il Moscato destinato al Sensuale Moscato è originario, invece, sia della zona di Venosa che di quella di Maschito (PZ), da vigneti a spalliera allevati con sistema di potatura a Guyot, a 450-600 metri s.l.m.». L’Aglianico, invece, proviene dal cuore dell’Aglianico del Vulture Dop, Acerenza, da quei vigneti posti attorno alla cantina i cui suoli prevalentemente vulcanici sono caratterizzati dalla presenza di tufo. «La struttura spugnosa di questa roccia magmatica effusiva fa sì che il terreno assorba l’acqua in inverno e la rilasci in estate, quando le temperature salgono – spiega Gizzi –. Le viti beneficiano così di una riserva idrica naturale perfettamente congeniata, addirittura migliore di un’irrigazione artificiale tradizionale, che provocherebbe umidità in superficie creando le condizioni favorevoli per malattie e parassiti».

Legno nuovo, al massimo di secondo passaggio

Relativamente alla struttura, lo stabilimento è suddiviso in 15 aree diverse, tra cui uffici, magazzini e più zone dedicate a vinificazione, imbottigliamento e affinamento. Ad oggi al suo interno si contano 144 vasi vinari in acciaio inox temperato, di cui un’autoclave da 90 hl che viene impiegata per la vinificazione del Moscato frizzante, ottenuto da rifermentazione di vino Moscato: il 50% di questi serbatoi è caratterizzato dal controllo automatico della temperatura, che permette a Fantini di stoccare il vino in maniera sicura e ottimale; i serbatoi adibiti alla fermentazione, invece, sono tutti termocontrollati. Per l’affinamento dei vini vengono utilizzati legni diversi a seconda della tipologia di prodotto, prevalentemente barriques – circa 150 – americane (60%) e francesi (40%). «Il rovere americano ci permette di conferire al vino un aroma intenso, un tannino più moderato e maggior volume in bocca – evidenzia Gizzi –; il rovere francese, invece, è rivelatore di freschezza aromatica per vini delicati e fruttati. Abbiamo un unico fornitore di barriques, Seguin Moreau, leader indiscusso del settore. I nostri enologi, ogni due anni, si recano personalmente presso la tonnelleria di Merpins, in Nuova Aquitania, per selezionare i legni e le tostature che meglio rispondono al tipo di lavorazioni che vogliamo svolgere. Il nostro obiettivo principale è quello di trovare una soluzione che permetta di svelare tutto il potenziale delle nostre uve autoctone, sempre rispettandone l’unicità e il DNA. Per questo utilizziamo barrique di primo passaggio e, per rendere l’intero processo sostenibile, abbiamo un contratto di leasing con Seguin Moreau che ci permette di utilizzare le barrique una sola volta, rimandandole indietro in cambio di nuove. La nostra filosofia è utilizzare legno nuovo o, al massimo, di secondo passaggio: ci piace operare con barrique giovani in modo da ottenere vini puliti, netti e con sentori terziari voluti e non indesiderati, che quindi non coprano la frutta, la tipicità della varietà e del territorio e i sentori ottenuti dalla fermentazione. La nostra idea è quella di trasferire il vino in bottiglia il prima possibile, per non snaturarlo e per caratterizzarlo con quell’equilibrio di cui necessita per poter essere il più rappresentativo possibile del suo areale».

5.000 bottiglie attentamente monitorate

La linea di imbottigliamento e confezionamento di Vigneti del Vulture è completamente automatizzata e risulta composta da: impianto di microfiltrazione a controllo automatico, depallettizzatore di bottiglie vuote, sciacquatrice bottiglie, riempitrice isobarica con rubinetto automatico – impiegata anche per l’imbottigliamento di vini spumanti e frizzanti –, tappatore sughero, tappatore Stelvin, controllo livello vino, lavasciuga bottiglie esterne, capsulatrice automatica PVC e polilaminato, etichettatrice a tre stazioni, lottificatore a getto d’inchiostro, sensori controllo etichetta, apricartoni automatica, incartonatrice, pallettizzatore e avvolgipallet. La sua capacità produttiva è di 5.000 bottiglie all’ora e l’intero processo viene monitorato e verificato costantemente, dal controllo del livello in vetro alla presenza del tappo e alla corretta apposizione delle etichette. «La linea è moderna ed efficiente – afferma Gizzi –; particolarmente interessante è la tecnologia del filtro feccia ceramico per il recupero degli scarti di lavorazione, con cui, preservando ovviamente le caratteristiche del vino, riusciamo a ridurre le perdite di lavorazione e a diminuire l’inquinamento derivante dagli scarti». Nella gamma Basilicata – Vigneti del Vulture rientra la Linea Pipoli, composta da Pipoli Bianco, un blend di Greco e Fiano, Pipoli Rosato, un rosé dal colore raffinato e delicatamente pallido a base di Aglianico, e Pipoli Aglianico Del Vulture Doc, un rosso 100% Aglianico del Vulture.

Nello stabilimento vengono prodotti 7,5 milioni di bottiglie l’anno di vini lucani e pugliesi

Piano del Cerro e Rosato Basilicata Pipoli

Il vino top di gamma lucano è Piano del Cerro, racconta l’enologo, derivante da uve Aglianico del Vulture provenienti da un singolo vigneto. «Questo rosso rubino intenso, con sfumature granate, è una delle referenze di punta del nostro stabilimento e ha riscosso un notevole interesse anche da parte della stampa estera, vincendo numerose medaglie d’oro alle competizioni internazionali più importanti e posizionandosi nella Top 100 di Wine Spectator. Il suo aroma è fruttato e speziato, con note di ciliegie, tabacco e vaniglia, e i 24 mesi previsti per il suo affinamento in barriques gli conferiscono un gusto pieno e avvolgente, con finale balsamico e tannico. Le particolari condizioni climatiche di questa zona consentono di ridurre al minimo i trattamenti anticrittogamici in vigna: in questo modo i ragnetti – come quello riportato in etichetta – continuano a proliferare in campo svolgendo il ruolo di guardiani della qualità delle uve e proteggendole da eventuali attacchi di parassiti. Andiamo fieri di tutti i nostri prodotti, a cui siamo affezionati in egual misura, ma se dovessimo sceglierne uno su tutti, probabilmente sarebbe il Rosato Basilicata Pipoli: anche questa referenza ci sta dando molte soddisfazioni, con una crescita di vendite e di riconoscimenti sempre maggiore. Puntiamo ora all’apertura di nuovi mercati per i vini della Basilicata e della Puglia – conclude Gizzi –, oltre a una razionalizzazione delle politiche di imbottigliamento: andremo, infatti, a internalizzare determinati volumi prodotti da terzisti per garantire ancora maggiormente gli standard qualitativi di eccellenza e di tracciamento del Gruppo».