È una storia che ha origini antiche, quella di Terre de la Custodia, cantina umbra del Gruppo agroalimentare Farchioni situata sulle colline di Gualdo Cattaneo, a cinque chilometri dal centro storico di Montefalco, posta nella denominazione di origine omonima e immersa nel verde del territorio del Sagrantino. È in quest’area che, nel Medioevo, i frati francescani impiantano i primi vitigni di Sagrantino e Grechetto, tramandando i segreti dell’arte vinicola per la produzione di “vini potenti, di carattere e di profonda eleganza”. Alla fine degli anni Novanta, Pompeo Farchioni – patron del noto Gruppo all’epoca produttore di olio e farine –, trasforma e re-impianta i vigneti di proprietà, le cui uve, fino a quel momento, erano state conferite alle cooperative di zona. Viene creata, così, la prima parte dell’attuale struttura, che subirà un paio di ampliamenti fino ad arrivare alla configurazione odierna, che conta circa 200 ettari di vigneti costituiti da vitigni autoctoni come Sagrantino e Grechetto, ma anche da varietà più classiche come Sangiovese e Merlot. Le bottiglie prodotte sono due milioni all’anno e molteplici le etichette, distribuite sia nel canale HoReCa che in GDO, tutte rimandanti alle eccellenze locali, in primis Montefalco Sagrantino Docg e Montefalco Rosso Doc, che, secondo la proprietà, incarnano la vera storia di quest’area. Con gli anni la denominazione si è ampliata e Terre de la Custodia ha iniziato a produrre anche Montefalco Bianco e Montefalco Grechetto, oggi facenti parte delle Riserve.
Temperatura e umidità controllate
La cantina è strutturata su due livelli: piano interrato e piano terra, dove, nell’area esterna, sono predisposte le linee di lavorazione delle uve bianche e rosse. Per la linea di lavorazione delle uve rosse l’azienda dispone di due selezionatori, uno per densità e uno ottico, mentre per la lavorazione delle uve bianche – destinate alla produzione di basi spumante e vini bianchi –, oltre alla pigiadiraspatrice è presente un impianto di raffreddamento a CO2 che consente la lavorazione delle uve a temperature consone. Anche i circa 70 silos in acciaio inox termocondizionati sono suddivisi nell’area dedicata ai vini bianchi e in quella dedicata ai rossi: la differenza tra le due aree è data dalla presenza, nella zona dei rossi, di un sistema automatizzato per il rimontaggio, follatori pneumatici e controllo ossigeno, utili durante le prime fasi della fermentazione con macerazione. I vini raggiungono poi, per caduta, i serbatoi o le barrique al piano inferiore, a circa 6 metri sottoterra, il che favorisce una regolazione pressoché naturale della temperatura, ideale per lo stoccaggio e l’invecchiamento dei vini. Nella barricaia, dove al controllo della temperatura si aggiunge anche quello fondamentale dell’umidità, si trovano barrique, tonneaux e botti grandi, ciascuna delle quali è sapientemente utilizzata dall’enologo Paolo Romaggioli a seconda delle caratteristiche del vino che deve essere realizzato. «È proprio questo aspetto, unitamente alla fortuna di poter reperire uve da diversi territori e da vendemmie differite, che ci garantisce uno stile ben distinto e replicabile», commenta l’enologo. Oltre a un piccolo caveau ricavato all’interno dell’area di stoccaggio che funge da memoria storica aziendale, la cantina dispone di una galleria di appassimento in cui è possibile condizionare la temperatura e l’umidità in modo uniforme, tramite l’impiego di ventole di ricircolo dell’aria. La sala di affinamento e pre-imbottigliamento, contenente quattro autoclavi atte alla produzione di Spumante Metodo Martinotti e i tini in acciaio termocondizionati, si trova 2,5 metri sotto il livello del terreno, il che assicura temperature naturalmente più fresche e costanti.
Fino a 6.000 bottiglie standard all’ora
L’impianto aziendale di imbottigliamento e confezionamento è nato nel 2003 con l’avviamento dell’attività di cantina e quelle che erano le iniziali aspettative della famiglia Farchioni sono state ben presto superate, dovendo ampliare, di conseguenza, la linea. Se inizialmente le bottiglie vuote venivano immesse sui nastri a mano, con la revisione del 2021 Terre de la Custodia si è dotata di un depallettizzatore semiautomatico Bortolin Kemo che oggi consente di prelevare dal bancale un ripiano di bottiglie vuote alla volta posizionandolo sul bancone di accumulo vuoti; da qui le bottiglie vengono immesse, tramite nastro, verso l’ingresso dell’imbottigliatrice. «Il nostro operatore di inizio linea ha “messo a riposo” la schiena e ha imparato a gestire il programma di carico e scarico vuoti, impostando la macchina ai vari formati e, laddove necessario, gestendo il cambio dime per la presa delle bottiglie» spiega Romaggioli. Dal depallettizzatore si procede verso l’imbottigliatrice Gai 4032 FE LP, macchinario con il quale vengono riempite le bottiglie modello Sibella – personalizzate e progettate dalla signora Tosca, moglie di Pompeo Farchioni – così come le normali bordolesi, sia da 0,75 che da 0,375 litri, ma anche le mini da 0,25 litri o i formati magnum da 1,5 litri. La velocità massima per il formato da 0,75 litri è di 6.000 bottiglie all’ora. All’ingresso del monoblocco Gai, il primo passaggio che compiono le bottiglie è quello attraverso la sciacquatrice a 16 ugelli mobili, che prevede il risciacquo dei vetri, lo sgocciolamento dell’acqua residua e la soffiatura finale con azoto. Impiegato durante tutti i processi, l’azoto è autoprodotto direttamente in azienda dal 2022 grazie a un generatore della ditta Sol, che fornisce a Terre de la Custodia anche i report di produzione relativamente alla purezza del gas generato per ogni lotto di azoto, in modo da intervenire tempestivamente nel caso in cui lo standard registrato si avvicini ai parametri minimi previsti.
Funzioni programmabili a bordo macchina
Le bottiglie vuote e lavate entrano poi, in leggera depressione, nella riempitrice a 24 rubinetti elettropneumatici e, prima di essere riempite, vengono effettuati vari controlli. Appena la testa blocca la bottiglia, la porta in depressione (circa 0,5 bar) per verificare che non siano presenti rotture o imperfezioni tali da generare perdite; la fase successiva consiste in una sovrappressione d’azoto, in modo da testare nuovamente l’integrità del vetro e, al contempo, saturarlo con azoto pre-riempimento in assenza di ossigeno.
«In questa fase mettiamo in atto, in poche parole, una sorta di “stress test” per le bottiglie, un ciclo che potrebbe anche essere replicato più volte – specifica l’enologo –. Concluso questo passaggio, procediamo con l’imbottigliamento vero e proprio. Attraverso il rubinetto “unico” della Gai riusciamo a svolgere tutte le operazioni sopradescritte e possiamo decidere la velocità di riempimento, in particolare rallentando la fase finale per evitare la formazione di schiuma nel collo della bottiglia e ottimizzare il successivo livellamento». Tutte le funzioni e tutti i parametri di imbottigliamento, compreso il livello di riempimento, sono impostabili dal touch a bordo macchina; anche il cambio formato risulta quasi interamente automatizzato. «Il monoblocco ha in memoria tutti gli schemi e i formati dei packaging che utilizziamo e il nostro responsabile di linea, al suo arrivo al mattino, non deve far altro che richiamare la bottiglia che andrà a lavorare e il tipo di vino che sarà imbottigliato: in due minuti la macchina si predispone per la lavorazione. Fanno eccezione i formati speciali come i magnum da 1,5 litri o le bottiglie da 0,25 litri, che hanno dimensioni troppo diverse dallo standard e per i quali vanno cambiate un paio di stelle; sono, comunque, operazioni di pochi minuti».
Flussaggio con aria sterile, filtrazione, lavaggio
Una volta effettuato il corretto riempimento, la bottiglia viene tappata tramite una torretta Gai a 4 teste che utilizza chiusure monopezzo, tecniche e Stelvin, queste ultime impiegate soprattutto per il formato da 0,25 litri. Prima del posizionamento del tappo hanno luogo una nuova saturazione con azoto e la creazione di una depressione nella parte vuota del collo della bottiglia, per scongiurare la presenza di ossigeno nel vetro ed evitare eventuali sovrappressioni dovute all’inserimento del tappo. «Queste accortezze – evidenzia Romaggioli – ci permettono di preservare il più possibile i nostri vini, in particolare i bianchi, come il Montefalco Doc Grechetto o il Montefalco Bianco Doc Plentis. Aggiungo che tutto quello che accade all’interno del monoblocco Gai avviene sotto flussaggio di aria sterile: la macchina è totalmente chiusa, tant’è che se ci fosse uno sportello aperto essa andrebbe in allarme e il ciclo verrebbe bloccato. Solo nella parte superiore avviene l’immissione in macchina di aria microfiltrata, la quale, in seguito, fuoriesce dagli spazi inferiori degli sportelli: in questo modo, durante il processo di imbottigliamento, evitiamo l’ingresso dall’esterno di polveri e insetti». Al monoblocco Gai è abbinato il CIP di lavaggio e filtrazione Innotec, del Gruppo AEB: il CIP di filtrazione gestisce una pompa a lobi collegata al serbatoio dov’è contenuto il vino da imbottigliare e che alimenta direttamente il sistema di filtrazione e, di conseguenza, l’imbottigliatrice. La parte dedicata alla filtrazione si compone di 4 housing con 8 cartucce da 30 pollici: «La scelta di avere 4 housing anziché i soliti 3 ci permette di evitare il cambio delle cartucce ogni volta che dobbiamo passare dalla filtrazione da 1 a 0,45 micron. Si evitano così, oltre a eventuali contaminazioni, danneggiamenti di cartucce e guarnizioni di tenuta. Quando non sono in uso, le cartucce risultano immerse in una soluzione sanitizzante e nel momento in cui il sistema termina il suo compito di filtrazione del vino si occupa di portare a termine un autolavaggio con acqua filtrata su due passaggi da 0,45 e 0,20 micron di tutte le tubazioni attraverso le quali il vino è stato prelevato, dalla pompa a lobi alle cartucce, includendo ogni passaggio del CIP e, soprattutto, il lavaggio dell’imbottigliatrice stessa».
Venti minuti per avviare la produzione
Al termine di ogni ciclo di imbottigliamento, il responsabile linea imposta il programma di lavaggio in base al vino appena lavorato e a cosa deve essere portato a termine il giorno successivo. «Se abbiamo in previsione una pausa dall’imbottigliamento – continua Romaggioli – l’impianto rimarrà sotto soluzione sanificante; se, al contrario, decidiamo di continuare a imbottigliare, le due macchine, un paio d’ore prima dell’inizio del turno di lavoro, si attivano per il risciacquo e il drenaggio totale con azoto, in modo che tutti i circuiti siano puliti e asciutti. Prima di procedere con il nuovo imbottigliamento, inoltre, il sistema di filtrazione svolge il test d’integrità sulle cartucce da 1 e 0,45 micron e, solo allora, sarà possibile avviare nuovamente il processo». Anche il CIP di lavaggio Innotec è dotato di tecnologia 4.0 ed è in grado di generare report – e di archiviarli – per ogni singola operazione, in particolare per i test di integrità svolti prima di ogni imbottigliamento. «Il nostro operatore, al suo arrivo al mattino, apre la valvola del serbatoio del vino da imbottigliare, lancia il programma di avviamento dell’impianto, verifica che non ci siano allarmi e, dopo poco più di 20 minuti, avvia la produzione». Proseguendo il ciclo, le bottiglie piene passano per una lavasciuga Cames che le pulisce all’esterno, uno step particolarmente importante in presenza di vini dal lungo affinamento in vetro, al fine di rimuoverne la polvere superficiale e agevolarne l’etichettatura. Due, invece, sono le capsulatrici Nortan presenti in azienda: la prima è utilizzata per l’applicazione dei capsuloni da spumante, dal momento che Terre de la Custodia produce sia attraverso il metodo classico che attraverso il metodo Charmat, con una velocità massima di lavoro di circa 3.000 bt/h; la seconda è invece una capsulatrice con 4 teste per polilaminato e 4 teste per termoretraibile, dalla velocità massima di 5.000 bt/h.
Imbottigliate in media 25.000 unità al giorno
Per l’etichettatura ci si avvale di un’etichettatrice P.E. Labellers dotata di 4 stazioni, che permette all’azienda di lavorare, in unico passaggio, tutte le sue tipologie di bottiglie e di apporre fronte e retro, eventuale fascetta DOC\G e collarini. Di Bortolin Kemo, oltre al depallettizzatore semiautomatico, sono anche la formacartoni e l’incollatrice: la prima provvede all’apertura dei cartoni, al posizionamento dell’alveare e all’inserimento delle bottiglie nella scatola, mentre la seconda compie la chiusura e l’incollaggio dei contenitori, che verranno poi convogliati al robot dedicato alla pallettizzazione, recentemente sostituito. «Per la creazione dei nostri bancali vantiamo una vera e propria isola robotizzata assemblata dalla Fipal – afferma Romaggioli –: al suo interno ci sono il robot Falcon della ditta Fanuc a braccio antropomorfo attrezzato con teste di presa con funzioni di pallettizzatore e, a seguire, la fasciatrice Atlanta. All’operatore di fine linea non resta che prelevare il bancale già pronto per la spedizione. Se valutiamo nel complesso tutta la linea, vantiamo una velocità di lavoro che, in base ai vari formati – dalle più facili e classiche bordolesi alle più complesse bottiglie modello Sibella/Sagrantino –, varia dalle 3.200 alle 3.800 bottiglie all’ora. Escludendo trenta minuti per l’avvio della macchina al mattino e altrettanti per il fermo macchine la sera, considerando circa sette ore imbottigliamo complessivamente, al giorno, dalle 22.000 alle 26.000 bottiglie».
Garantire il successo di ogni referenza
Tra le macchine più importanti sostituite di recente c’è proprio l’imbottigliatrice. «Per il monoblocco di imbottigliamento – quello precedente risultava ormai obsoleto – ci siamo orientati su Gai perché questa realtà è una storica azienda italiana che ci ha garantito un macchinario dalle ottime performance e ci ha assicurato un’assistenza vicina alle nostre esigenze, nei primi tempi così come in seguito, per evitare quei fermi che solitamente causano mancate consegne o ritardi nei confronti dei clienti – riporta l’enologo –. Quando valutiamo un nuovo acquisto consideriamo in primis se una determinata tecnologia può migliorare il nostro processo produttivo e, di conseguenza, può far crescere il livello qualitativo dei nostri vini: per la famiglia Farchioni, e per tutti noi tecnici del Gruppo, infatti, il miglioramento della qualità di ogni bottiglia, di anno in anno, è fondamentale. Per riuscire in questo intento occorrono macchinari che ci permettano di controllare tutto il processo produttivo e che ci diano modo di intervenire nel caso in cui qualcosa non vada come dovrebbe in una determinata fase del ciclo. L’imbottigliamento è l’ultimo step del processo di produzione, che a volte dura molti anni, come per il nostro vino di punta Exubera: non possiamo rischiare di vedere vanificate le fatiche di anni proprio nell’ultimo passaggio e sappiamo che, post-imbottigliamento, dopo qualche giorno, mese o anno il nostro vino verrà stappato da qualcuno, nel mondo, a cui vogliamo garantire il successo di quella bottiglia. Sono queste le considerazioni che compiamo ogni volta che avviamo la linea d’imbottigliamento e anche tutte le scelte future saranno orientate in questa direzione. Sicuramente – conclude Romaggioli – non appena possibile sostituiremo altre macchine, per migliorare l’efficienza e la velocità della linea: le ultime acquistate hanno tempi di produzione prossimi alle 6.000 bt/ora e, di conseguenza, puntiamo a rimpiazzare i macchinari che ad oggi non raggiungono queste velocità e rallentano l’imbottigliamento. La prima che acquisteremo, tra tutte, sarà probabilmente la formacartoni, di cui ci interessa, oltre alla velocità di lavoro, anche la possibilità di sfruttare nuovi formati e nuovi posizionamenti degli alveari all’interno delle scatole».