Nino Negri: le radici nella storia

Castello Quadrio è il quartier generale di Nino Negri, la casa vitivinicola bandiera della Valtellina: fatto erigere nel 1432 da Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, fu donato a Stefano Quadrio, valente soldato e capitano delle milizie insignito del titolo di governatore della Valtellina: spada e torchio verrebbe da dire, perché fu tra i primi a credere nella coltivazione delle uve e nella commercializzazione del vino, individuandone un’importante risorsa economica per la valle. Il Castello arrivò dritto nelle mani di Nino Negri: commerciante all’ingrosso, figlio di albergatori originari dell’Aprica, dalla vista lunga e da un innato senso degli affari soprattutto con la vicina Svizzera, sposò una delle discendenti del casato, Amalia Galli. Nel 1897, fondò la casa vitivinicola che ancora oggi porta il suo nome.

Chi fa cosa

Non sai se ami più la montagna per il vino o per lo sci. Da non valtellinese, sembra essere più valtellinese di tutti. Classe 1965, originario di Alba, winemaker e direttore della cantina, Danilo Drocco è approdato in valle nel 2018: un percorso di grande prestigio dalle Langhe alla Valtellina, complice l’amore incondizionato per la montagna, non solo quella terrazzata ma anche quella delle vette innevate raggiunte con la determinazione del vero scialpinista. Fatica e passi e respiro, scarponi nella neve e sguardo verso il sole. Enologia ad Alba e poi all’Università di Torino, i primi passi a La Spinona e poi da Prunotto con Beppe Colla, tra i protagonisti della storia dei vini di Langa. E poi ancora da Fontanafredda come direttore tecnico, il Nebbiolo è nel sangue. Non poteva che andare così: l’amore per la Chiavennasca, la denominazione locale del vitigno, è a prima vista. Danilo è letteralmente stregato dalla bellezza del Nebbiolo delle Alpi: «Del mio lavoro amo l’incertezza, il camminare quasi sempre sul filo del rasoio: l’ho capito presto nella mia vita, ed è quello che mi ha spinto in questa direzione – ci racconta Danilo -. Era il 1994, quinto anno di collaborazione con Beppe Colla: una sera mi confidò che un’annata così non l’aveva mai vista. Tra il preoccupato e l’incredulo, mi domandai quando avrei imparato a fare l’enologo. Dissi a me stesso: ci provo. La sfida, tuttora in corso, è lavorare con una materia prima che cambia tutti gli anni ed essere in grado di interpretarla. Le analisi chimiche ci aiutano, ma finché non abbiamo l’uva in cantina e iniziamo ad assaggiarla pigiata, non sappiamo esattamente cosa ci aspetta. Non c’è cosa più bella che possa esistere». L’intuizione dei punti di forza del Nebbiolo delle Alpi e le differenze espressive rispetto alle Langhe: i benefici delle escursioni termiche, la freschezza, la parte sapida e minerale, la sua eleganza, la sorprendete bevibilità, così distanti dalla potenza e dalla complessità aromatica della versione langherola. Una bacca rossa che la quota e la roccia sembrano trasformare quasi in un bianco, da maneggiare con attenzione e cura. Tanta responsabilità, ma il sorriso di chi sa di fare – e benissimo – un mestiere straordinario.

Danilo Drocco

Il Nebbiolo delle Alpi, la bellezza e la biodiversità

«Mettersi in fondo alla valle e guardare: anche un occhio non attento individua la biodiversità della Valtellina. Qui, diversamente dai territori vinicoli dove i vigneti sono diventati preponderanti e quasi dominanti sul territorio, il vigneto fa parte del paesaggio ed è ben armonizzato con tutto ciò che lo circonda. Un po’ come le case storiche, che si scorgono quasi a fatica: una casa realizzata con materiali del territorio si fonde a colpo d’occhio nell’ambiente circostante. Il vigneto valtellinese si disperde nel territorio, come parte di attività umana che è perfettamente integrata: questa è la bellezza della biodiversità. Il vigneto si con-fonde tra le valli modellate da un lavoro immane dell’uomo, alternata a boschi, prati, meleti, frutti di bosco. Con la vista quasi devi andare a cercare il vigneto: ed è lì che ti perdi tra i terrazzamenti e ti innamori di questi luoghi».

«In bocca il vino schiocca e dà fragranza, freschezza, sapidità, e trasmette voglia di berne un secondo bicchiere. I grandi vini hanno un’eccellente attrattiva»

Da dove nasce l’amore per il nebbiolo? «Mio padre ne è responsabile – prosegue Drocco – era un grande amante di Barolo e Barbaresco, che sono sempre stati di casa: siamo originari di Rodello, terra di Dolcetto, il nostro vino quotidiano, ma quando a casa si doveva aprire una bottiglia, era sempre di Barolo. Cinque anni di Valtellina e di Nebbiolo delle Alpi mi hanno incantato: questo lo bevo, mentre assaggio il Nebbiolo delle Langhe. Il mio DNA sta subendo una sorta di mutazione (e sorride, ndr). Nell’assaggio i grandi Barbaresco e Barolo possono avere la meglio, ma se voglio divertirmi e bere una buona bottiglia il Nebbiolo delle Alpi non ha eguali. E la bottiglia finisce. Freschezza e sapidità rendono i vini di Valtellina unici, con una potenzialità incredibile. Quello che dobbiamo dimostrare in questo momento è la longevità: alcune cantine sono nate di recente e non hanno annate del passato, e le aziende storiche come la nostra non hanno nel tempo accantonato vecchie produzioni: non dobbiamo aver paura di affinare a lungo i nostri vini come Barolo e Barbaresco». Croccantezza è l’espressione che Danilo Drocco ripete più e più volte per i suoi vini, con un’affezione quasi onomatopeica, per via di una strana fonetica che la avvicina al suo cognome: «In bocca il vino schiocca e dà fragranza, freschezza, sapidità, e trasmette voglia di berne un secondo bicchiere. I grandi vini hanno un’eccellente attrattiva».

I numeri della cantina

800.000 bottiglie prodotte, 21 ettari di proprietà e 14 in affitto, che sfiorano i 180 se si tiene conto dei conferitori. Oggi la cantina conta 800 barriques di rovere francese e americano e 260 botti di dimensione diverse, per consentire una maggiore selezione delle masse. Sono stati reimpiantati 11 dei 35 ettari con nuove selezioni clonali di Nebbiolo e nuovi sistemi di impianto a girapoggio. Il paesaggio terrazzato, la verticalità, l’esposizione che segue il profilo della montagna, i ronchi vitati su terreni straordinari, il vento che spira dal Lago di Como e che accarezza i vigneti: equilibrio ovunque, solidità della roccia montonata ma anche fragilità di una natura non sempre clemente, con cui si impara ad allearsi, quando si può. La Nino Negri è immersa in un ambiente unico, che in cambio di eccellenza, drena impegno e fatica: la passione sembra essere il vero motore.

In cantina entrano ogni anno circa 900.000 kg di uve, per il 30% proveniente dai vigneti di proprietà, mentre per la quota restante dalla Vi.V.Ass. (Viticoltori Valtellinesi Associati), associazione fondata nel 1988 e che oggi annovera al suo attivo più di 250 soci. Nino Negri è stata tra le prime realtà in Valtellina a puntare sui cru più che sulle Sottozone previste dal Disciplinare: in epoca non sospetta e decisamente in anticipo rispetto ad altre realtà, la Nino Negri aveva ben compreso che l’eccellenza passa attraverso la valorizzazione dei terroir dei singoli vigneti. Una vera e propria zonazione, per poter esprimere al meglio la biodiversità di Valtellina. Fracia in Valgella è il primo cru dell’azienda acquistato nel 1897, l’anno di fondazione, 8 ettari disposti su altimetrie diverse, da 375 metri a circa 600 s.l.m. Nel vigneto l’iscrizione su un cippo indica l’anno 1928, il VI dell’era fascista: è l’anno in cui vennero rifatti i muri, e attesta l’esistenza di un vino che ha quasi cent’anni. Il Sassorosso in Grumello e il Ca’ Guicciardi in Inferno sono gli altri due cru che, insieme al Fracia, oggi rappresentano il fiore all’occhiello della cantina: per il primo 12 ettari tra cielo e terra, dritti verso il sole, dove rocce ferrose dalla pigmentazione rossiccia colorano il vigneto. Le pendenze sono ardue e talvolta pericolose, e l’elicottero impiegato durante la vendemmia consente di ridurre rischi e tempi per la vinificazione. Il Ca’ Guicciardi viene realizzato in una zona ristretta del Valtellina Superiore Docg, l’Inferno, contraddistinta dalle pendenze ripidissime e dalle temperature estive quasi desertiche: 10 ettari che si sviluppano intorno ad una suggestiva casa colonica perfettamente restaurata, cuore pulsante di una produzione voluta da Carluccio Negri con vigneti a girapoggio il cui andamento ricorda i gironi danteschi.

Il progetto Vigne di Montagna
Le vigne Fracia, Sassorosso e Ca’ Guicciardi sono al centro di un progetto in cui Danilo Drocco crede fortemente: sono vini che raccontano i terroir di montagna, partendo dai suoli e dall’origine delle rocce dalle diverse sfumature cromatiche. Anche il packaging deve essere coerente, così come la campagna di comunicazione, che ha associato ad ognuno dei tre vini testimonial originali e fuori dall’ordinario: guide alpine, arrampicatori, atleti della montagna. Il senso della fatica, della determinazione e dell’impegno è coerente con l’ambiente dove questi vini vengono realizzati. Aggrapparsi alla montagna dove la natura lo consente, e trasformare fragilità e debolezza in forza e nutrimento: vale per donne, uomini e vigne. Il Fracia è il freddo: si trova lungo un punto di confluenza tra valli dominate dai ghiacciai. Il sottosuolo è prevalentemente scisto blu molto friabile. L’etichetta è azzurra, ad evocare le temperature più fredde di questa zona. Il Sassorosso ha suoli rocciosi che presentano microelementi a base di ferro: sono loro i responsabili delle tonalità rosse delle rocce. L’etichetta ha il colore della roccia madre. Il Ca’ Guicciardi è la luce: quarzo bianco alternato alle rocce e alle pietre dei muretti a secco dei terrazzamenti. Elementi in grado di ricevere e trattenere luce a tratti abbagliante che si fa calore: l’Inferno registra temperature e luminosità più alte dell’intero areale. L’etichetta è bianca, purezza ed eleganza. «Il successo di un vino è la ripetitività del carattere, non della qualità: dove l’abbiamo trovata abbiamo realizzato i nostri cru». Peraltro molto apprezzati dal pubblico, dalle guide e dalla stampa specializzata: Wine Spectator ha recentemente premiato le tre vigne sopra i 90 punti in prima uscita. Danilo sta lavorando anche sui due Sforzato della cantina, il Carlo Negri e il 5 Stelle: «Oggi i clienti chiedono vini non più da degustare ma da bere, alla ricerca di un piacere gustativo a tavola. Vini non opulenti, ma bevibili, per i quali si lavora quasi per sottrazione. L’espressione “vini da meditazione” fortunatamente sta scomparendo».