rPET: verso il 2040. Considerazioni per una migliore economia circolare del “bottle to bottle”

Negli ultimi anni abbiamo visto alcuni brand del settore beverage rinunciare alle bottiglie in PET colorate e scegliere invece per il proprio prodotto bottiglie trasparenti. Quello del colore delle bottiglie in PET è un tema dibattuto in molti Paesi. Secondo quanto afferma in un suo recente documento EPBP – European PET Bottle Platform, in Giappone è in vigore da tempo un divieto volontario dell’uso di bottiglie in PET per acqua minerale che non siano trasparenti. Discussioni su analoghi divieti volontari o normativi sono in corso in altre aziende o Paesi del mondo. Attorno al tema, dunque, vi è un certo dibattito e, sebbene questo non sia il caso dell’Europa, indica che in una prospettiva di riciclo il colore in qualche modo viene visto o potrebbe costituire una criticità.

Colore non è uguale a colore

Per capire come e se questo sia vero bisogna considerare come avviene il processo di riciclo. Come spiega Antonello Ciotti, Presidente di Petcore Europe e past-President di Corepla, le bottiglie trasparenti verdi, azzurre o quelle incolori (senza agenti opacizzanti) possono essere ben riconosciute dai lettori ottici, separate nelle linee di selezione ed essere mandate al riciclo per poter dare nuove bottiglie in PET, in una perfetta ottica circolare “bottle to bottle”. In altri termini, per essere riconosciute e selezionate correttamente, le bottiglie in PET trasparenti devono avere colori con un valore L superiore a 40 e una riflettanza NIR superiore al 10%.

«I lettori ottici e gli impianti di riciclo sono in grado di selezionare e separare le bottiglie trasparenti e azzurrate. Se il PET ha colori più forti – rosso, blu scuro, ecc. – queste bottiglie vanno a far parte del gruppo “bottiglie di PET colorato”, rendendole di fatto inadatte al riciclo per dare nuovamente bottiglie. Questo PET viene in genere utilizzato in altre applicazioni, ad esempio il tessile». Un downgrading? «Diciamo che così facendo questo PET esce dal concetto “bottle to bottle”, ma comunque trova un utilizzo in altre industrie non-food in prodotti più durevoli: tessile e automotive in primis».

L’rPET ottenuto dal riciclo delle bottiglie neutre o azzurrate rientra in una economia “bottle to bottle” ed è un flusso prezioso che può essere utilizzato con successo in sostituzione del PET vergine. Ma il fatto che vi siano delle bottiglie che proprio per via del loro colore possono essere riciclate ma non possono tornare ad essere nuove bottiglie costituisce oggi un problema? Secondo Ciotti non ancora: «Secondo la direttiva SUP – Single Use Plasticl’rPET nelle bottiglie dovrebbe arrivare a livelli del 25% entro il 2025 e del 30% entro il 2030. Secondo diversi studi, con i tassi di riciclo che abbiamo oggi è possibile raggiungere le richieste poste dalla direttiva. Il problema potremmo averlo invece al 2040 quando la Direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio ci obbligherà ad arrivare a tassi di rPET molto più elevati. Qui, pur massimizzando la raccolta e il riciclo potremmo avere problemi di approvvigionamento di rPET». Quindi? «Quindi lì sì che sarebbe opportuno che tutto il PET delle bottiglie tornasse a produrre nuove bottiglie» e quindi dotarsi di sistemi che permettano di aumentare la raccolta a livello europeo e di ridurre la quota di bottiglie colorate.

Rendere capillare la raccolta

Qual è la soluzione?

«Sicuramente migliorare raccolta e riciclo. In Italia si raccolgono già oggi il 75% delle bottiglie che finiscono sul mercato, ma la raccolta è molto disomogenea. Ci sono differenze enormi tra città e città e tra zone urbane e zone rurali. In Europa la media di raccolta delle bottiglie in PET è del 57% dell’immesso sul mercato; quindi, ci sono Stati membri che non fanno una raccolta efficace e questo può e deve essere migliorato». Con il sistema cauzionale? «L’Europa propone il sistema cauzionale che, secondo noi, è uno strumento valido per quei Paesi che hanno una raccolta ancora bassa. Non credo che lo sia per l’Italia e per tutti quei Paesi che hanno tassi di raccolta già elevati perché implementare un sistema di cauzione è molto oneroso. Alcune fonti stimano in 2 miliardi di euro il costo di implementazione del sistema cauzionale tedesco. Per cui è conveniente introdurre il sistema della cauzione dove il tasso di raccolta è basso e il potenziale di miglioramento è elevato, non in quei Paesi, come il nostro, dove il tasso di miglioramento è basso perché il riciclo avviene a livelli già alti. In questi casi la cauzione, in termini di costi/benefici non è la soluzione migliore: occorre fare funzionare meglio e in maniera più omogenea il sistema che già esiste, partendo dall’insegnamento nelle scuole».

La raccolta deve essere europea

Secondo Ciotti, però, vi è un elemento imprescindibile per arrivare a una economia circolare del PET: che l’rPET che arriva sul mercato europeo derivi solo ed esclusivamente da bottiglie immesse sul mercato europeo: «Oggi sul mercato europeo circola anche rPET che deriva da bottiglie provenienti Paesi terzi, quali India, Marocco, Indonesia etc. Tale rPET viene acquistato su quei mercati perché il costo locale della raccolta è di gran lunga inferiore a quello europeo e quindi il prodotto costa meno. Si tratta, però, di un meccanismo perverso per diversi motivi: il suo effetto è contrario a quanto si vuole raggiungere, cioè l’aumento della raccolta in Europa e la conseguente riduzione delle emissioni di CO2; non garantisce ai consumatori il giusto livello di sicurezza perché non sappiamo con che criteri igienici avvenga la raccolta nei paesi terzi; infine tale immissione apre il cerchio dell’economia circolare, mettendo in crisi i sistemi europei della raccolta che si sovvenzionano con la vendita dei prodotti raccolti. In ultima analisi, sarà il consumatore finale a pagarne i costi maggiori perchè una riduzione di valore del materiale raccolto porterà automaticamente a un aumento del contributo ambientale. È fondamentale che le aziende che utilizzano rPET capiscano l’importanza di mantenere un sistema europeo chiuso, intatto».

Certo l’rPET in Europa ora costa molto, il doppio del vergine. Nel 2022 ad esempio i granuli di rPET costavano 3000 euro a tonnellata contro i 1800 del vergine. «Se non si aumenta la raccolta e la frazione del “bottle to bottle”, questo andamento continuerà perché aumenterà la richiesta di rPET. Per questo credo che, andando verso il 2040, sarà necessario trovare un modo per far sì che le bottiglie rimangano il più possibile bottiglie anche a costo di dover eliminare certi colori»

Il controllo, essenziale per una vera economia circolare

Altro tema fondamentale: le percentuali richieste dalle direttive citate prima sono intese per pezzo, per azienda o per Paese? «Qui le misure legislative non sono assolutamente chiare, per questo le associazioni di settore hanno chiesto di specificare meglio i requisiti. A nostro avviso la soluzione migliore sarebbe definire tali percentuali a livello di azienda perché questo è anche il modo più facile per controllare che l’utilizzo di rPET nelle percentuali richieste avvenga veramente». Uno strumento di controllo del mercato? «Certo e forse l’unico possibile. Una volta che la bottiglia è formata è impossibile capire se dentro c’è del PET o dell’rPET perché le due molecole sono assolutamente identiche. L’unico modo per controllare se e quanto un’azienda usa rPET è vedere se lo ha acquistato e in quali quantitativi».

Prospettive future

Oltre a migliorare la raccolta, un modo per aumentare il riciclo è il miglioramento delle tecnologie e in questa direzione si stanno facendo passi da gigante: «Oggi negli impianti di selezione si sta iniziando ad applicare l’intelligenza artificiale. L’utilizzo di sistemi di visione sempre più avanzati, combinati con algoritmi basati sull’intelligenza artificiale, permette di addestrare il sistema a riconoscere i propri errori nella selezione dei materiali a migliorare di continuo il processo stesso di selezione, aumentando le rese e riducendo gli scarti».