In corsa per ottenere il prestigioso riconoscimento di Patrimonio mondiale dell’Umanità, a est di Verona, la Val d’Alpone, territorio di straordinaria rilevanza paleontologica, storica, e culturale è per compattezza vitata l’area geografica più grande d’Italia. La viticoltura spesso eroica di questa terra ha dato forma a un paesaggio – ancora incontaminato, unico per la sua grande biodiversità di fauna e flora – dove i suoli ricchi, di formazioni rocciose carbonatiche e vulcaniche, alimentano quella vocazione enoica che si perde nella storia.
Dal 1952 la Cantina Sociale di Monteforte d’Alpone ha dato continuità a questa tradizione. Con 600 aziende consorziate, la Cantina oggi punta su un’offerta diversificata sia per tipologie di vini sia per format – sfuso e in bottiglia – con l’ambizione di innalzare ulteriormente l’asticella della qualità per Clivus, il suo marchio di eccellenza, producendo vini sempre più espressivi per le loro connotazioni aromatiche e di mineralità. Interprete di questo rilancio è Paola Gregori, direttore di Cantina Sociale di Monteforte d’Alpone da fine dello scorso anno dopo una significativa esperienza in Francia e in Italia in aziende di primo piano del comparto vitivinicolo.
Come nasce la vostra cantina?
La Cantina di Monteforte nasce, come molte cooperative nel Dopoguerra, con l’obiettivo di creare quella sinergia virtuosa, quella comunione di forze e di intenti per promuovere sostenibilità e crescita del singolo e del collettivo, e favorire, al contempo, forza contrattuale sui mercati di riferimento. L’orientamento della Cantina fu per molti anni quello della vendita del prodotto sia sfuso sia in bottiglia: nel 1959 venne istallato il primo impianto di imbottigliamento per la linea Clivus, un marchio che ancor oggi, con i suoi vini ricercati, è espressione di qualità e di territorio per la nostra azienda. Poi la bottiglia fu abbandonata a partire dagli Anni ’80: Cantina di Monteforte si dedicò per diverso tempo esclusivamente alla vendita di vino sfuso. Dal 1990 vennero avviati i progetti Castellaro e Foscarino per la qualità della viticoltura; mentre nel 1995 nacque la nuova linea vini Cantina di Monteforte. La flessione delle quotazioni di mercato, spinse la Cantina a rivalutare la vendita in bottiglia, tornando così a quell’impostazione originaria, a quel modello di business diversificato che mantiene tutt’oggi. L’azienda commercializza annualmente 140.000 ettolitri di vino sfuso e 4 milioni di bottiglie; l’imbottigliato fa oggi il 30% dei fatturati complessivi.
Siete nel cuore della Denominazione Soave…
Un vino che oggi non spunta un prezzo adeguato in GDO e che dovremmo maggiormente valorizzare. Lo stiamo facendo, insieme ai nostri soci, seguendo un percorso qualitativo di coltivazione dell’uva che consenta una vinificazione altrettanto virtuosa per poi mettere in bottiglia vini pregiati, di valore. Diverse cantine private della Val d’Alpone e della zona del Soave hanno già affrontato questo percorso creando vini di eccellenza che rappresentano un vanto della loro proposta commerciale. Un percorso che è assolutamente alla portata di una cantina di piccole dimensioni come la nostra. Dei 1.200 ettari di terreni vitati circa l’80% si trova in collina, nel cuore delle Unità Geografiche Aggiuntive, UGA. L’obiettivo è quello di valorizzare queste singole zone nei quali produciamo da sempre vini vulcanici spesso da agricoltura eroica. Questo il consumatore non lo sa!
Come state affrontando questa sfida?
Siamo partiti in campo, abbassando le rese, questo ci consente di puntare ancor più su un raccolto di qualità. Abbiamo avviato la raccolta in bins e raffreddato l’uva prima della pigiatura. L’implementazione e l’up-grade tecnologico in cantina ci permettono di lavorare al meglio la materia prima e, nello stesso tempo, organizzarci per piccole vinificazioni, volte a testare l’espressività delle zone sotto osservazione al fine di creare dei veri e propri cru. Coltivazione e terroir sono fondamentali per la Garganega, un vitigno aromatico che con rese più basse e coltivazioni diverse dalla pergola, come per esempio la spalliera, regala vini strutturati, longevi e con un ricco corredo aromatico. Introducendo tecniche di vinificazione in bassa solfitazione – lavorando quindi in modo migliore con le fecce fini – riusciamo a stabilizzare i vini riducendo in maniera significativa l’aggiunta di solfiti, migliorando così l’espressività del vino, del terroir dal quale proviene. Dalla pesca all’albicocca, al cedro, al mandarino…la Garganega ci regala oggi profumi inaspettati in base alla zona in cui viene coltivata: Foscarino, Castellaro, Tremenalto… L’aspetto dei nostri vini è radicalmente cambiato!
E per quanto riguarda i soci conferenti e le loro aziende agricole?
Essendo il territorio su cui insiste la nostra cooperativa collinare, le aziende sono necessariamente di piccole dimensioni, 1-2 ettari, anche se con qualche eccezione. La coltivazione della vite rappresenta quindi un secondo lavoro, per la maggior parte dei 600 soci che compone la Cantina di Monteforte. Un lavoro spesso duro, pericoloso per quei pendii scoscesi, impervi, con pendenze superiori al 28% dove si alternano filari e muri a secco, per quei terreni vulcanici così scivolosi in caso di pioggia… Un lavoro quindi animato più dalla passione che dalla reale sostenibilità economica che la cantina deve comunque incentivare creando valore aggiunto attorno alla sua proposta commerciale.
La vostra proposta commerciale?
La nostra produzione comprende una gamma ampia di vini dal Soave Classico alla Garganega IGT, al Garda Doc, al Pinot Grigio del Veneto, al Pinot Grigio delle Venezie. Produciamo Chardonnay, Durello, ma anche vini rossi come l’Amarone della Valpolicella, il Valpolicella Ripasso. Il marchio storico ed emblematico della cantina è certo Clivus. Un marchio che ci rappresenta particolarmente perché il termine “clivus”, che in latino significa pendio, evoca implicitamente quella viticoltura difficile, spesso estrema dei nostri territori. I nostri cru nati dagli UGA si vestiranno di questa etichetta che comprende oggi una dozzina di prodotti tra “vini vulcanici” e “convenzionali”, una linea classica, quest’ultima, che comprende bianchi rossi e rosati.
In tema di novità?
Abbiamo voluto mettere alla prova l’aromaticità e la potenza della Garganega. È nato così White lava, un Bianco Verona IGT che abbiamo portato all’ultimo Vinitaly pubblicizzandolo con il claim “Scopri il quinto gusto!”. Il quinto gusto – scoperto nel 1908 dal professor Kikunae Ikeade – è chiamato dai giapponesi “Umami” che tradotto significa “saporito”, “vigoroso”. Umami affianca oggi i quattro gusti generalmente noti – dolce, acido, salato e amaro – e ha conquistato il mondo culinario. Anche nelle cucine stellate infatti si utilizzano sempre più esaltatori di sapore come il dashi, il tradizionale brodo giapponese. A una cucina di questo tipo serviva un controcanto in grado di contrastare il quinto gusto, quindi un vino, a tutto pasto o servito come aperitivo, fresco, con una buona acidità sostenuta dalla struttura, ma soprattutto “saporito” ovvero sapido quindi con una spiccata mineralità. Questo e altro è White lava, nato da vigneti che crescono nei terreni vulcanici della Val d’Alpone in buona percentuale resistenti ai parassiti; un vino quindi sostenibile, lavorato in bassa solfitazione, che stupisce per i suoi inediti profumi di mandarino, cedro, lime…
Il suo alter ego, e questa è la seconda novità che vorrei annunciare, è Black lava, un Rosso Verona IGT prodotto esclusivamente con vitigni resistenti, su terre vulcaniche, le cui uve prima della lavorazione vengono messe in appassimento. Nasce così un vino corposo, intenso e sapido, ecofriendly, una crema fruttata di grande soddisfazione che incontra i gusti di quel consumatore moderno che ama i sapori freschi e genuini.