I distillati secondo Luca Gargano, patron di Velier

Luca Gargano, patron di Velier

Il rischio, quando si intervista Luca Gargano, è quello di restare travolti dal suo entusiasmo. Fosse il capitano di una nave, pirata s’intende, basterebbero dieci minuti di conversazione per essere pronti a imbarcarsi pure come l’ultimo dei mozzi sulla sua nave. Il trucco è quindi restare aggrappati a quella dose di sano cinismo che è, o dovrebbe essere, connaturata a chiunque faccia il giornalista per non farsi trasportare via. Difficile, ma anche questa volta ci abbiamo provato.

L’uomo che è alla guida da qualche decade della Velier, azienda genovese leader nell’importazione e distribuzione di distillati in Italia, ha davvero tanto da raccontare. Da quando, agli inizi degli Anni Ottanta, ebbe per primo l’idea di trascinare alcuni dei suoi venditori nei Caraibi per vedere da vicino come nascevano i rum che dovevano vendere nei locali italiani, di strada ne ha fatta tanta. Ricordarne qui tutte le tappe, anche limitandoci alle più salienti, significherebbe che siamo saliti sulla sua nave e stiamo lavando il ponte, ergo ci limitiamo a ricordare la classificazione dei rum che oggi porta il suo nome e che ha fatto riguadagnare terreno ai distillati di canna da zucchero nei confronti del loro competitor di maggior prestigio, il whisky scozzese, e ancora la scoperta della distilleria Caroni a Trinidad, ormai chiusa ma con il colpo di fortuna (o l’intuito, chi lo sa davvero) di trovarvi centinaia di botti che ancora custodivano quel liquido che oggi viaggia a cifre iperboliche, oppure la scoperta e la valorizzazione del clairin haitiano o, infine, aver convinto uno come Vittorio Capovilla ad andare in Guadalupa con una scusa e averlo fatto tornare con il progetto Rhum Rhum pronto a decollare. Insomma, il Luca Gargano che nel 2014 è stato eletto “Mejor Hombre de Rum” dagli stessi produttori ne ha di cose da dire quando si parla di spirits e sono tutte cose parecchio interessanti. Per cui, partiamo…

Oggi c’è una generazione che ha voglia e cerca artigianalità, originalità e autenticità

Allora, che momento sta attraversando secondo te il mondo della distillazione?

«Un momento dove esistono due tendenze contrapposte. Da un lato, il mondo dei distillati si sta standardizzando, ma dall’altro c’è una crescente nicchia di consumatori che sta crescendo e che vuole dei prodotti autentici, delle chicche vere, che partano da materie prime di qualità, che facciano le fermentazioni come vanno fatte, che svolgano maturazioni sul posto, in clima tropicale per quanto riguarda nello specifico i rum…».

Ma quando si si è cominciato ad avvertire che questa nicchia stava crescendo?

«L’Italia per anni è stata all’avanguardia. L’indipendent bottling ad esempio è nato qui da noi, i primi a creare il mercato per i single malt scozzesi sono stati degli italiani appassionati. Questo a cavallo degli Anni Settanta e Ottanta, tanto che nel decennio successivo l’Italia era il Paese dove certamente si beveva meglio. Whisky, soprattutto, ma anche Armagnac e Calvados tanto per fare altri due esempi sebbene di portata minore. Poi però c’è stato un periodo lungo di black out che ha coinciso in parte con le campagne di prevenzione all’abuso di alcol e certi distillati, soprattutto quelli che trovavano il loro momento elettivo nel consumo serale dopocena al ristorante hanno pagato un forte dazio. Alla fine del primo decennio del 2000 invece ha cominciato a farsi sentire la forte ripresa della mixology».

Ecco, la mixology. Noi siamo convinti che la rinascita dei cocktail sia stata la leva della riscoperta dei distillati…

«Non sono del tutto d’accordo. Oggi sembra quasi che il mondo degli spirits esista solo in funzione della mixology, ma non è così o almeno non è così per tutti i distillati. Il mondo del cocktail e del cocktailbar è stato avvantaggiato dal calo dei consumi al ristorante dei distillati diciamo da sorseggiare, ma il mondo degli spirits non si esaurisce negli spirits da miscelazione. Non intendo certo negare il fenomeno del gin o comunque di tutti quei prodotti che trovano nella miscelazione il loro momento elettivo, ma attenzione a non sottovalutare la crescita di tutti quei distillati che non possono o comunque non trovano la via del cocktail…».

Cosa intendi?

«Intendo dire che oggi c’è una generazione che ha voglia e cerca artigianalità, originalità e autenticità e che riconosce i prodotti che hanno queste caratteristiche».

il mondo degli spirits non si esaurisce negli spirits da miscelazione

Tu sei unanimemente riconosciuto come uno dei massimi esperti di rum al mondo. Al di là dei Caroni, che sono una vera e propria case history credo unica nel suo genere, è vero che c’è una riscoperta del rum come distillato da bere in purezza?

«Ti faccio un esempio. Nel mondo del whisky esistono da tempo le aste per i collezionisti che sono sempre a caccia delle bottiglie più rare. Collezionisti appassionati e collezionisti investitori che puntano sull’incremento dei prezzi delle bottiglie che acquistano. Ecco, nel settembre 2019, è nata Rum Auctioneer, ovvero una casa d’aste specializzata in rum rari, una costola di Whisky Auctioneer. I risultati per le aste del rum sono a dir poco impressionanti il che significa che il mercato, o per lo meno una nicchia di mercato, ha capito il trend in atto e si sta muovendo di conseguenza. E questo discorso non si applica solo ai Caroni che obiettivamente fanno una partita a sé, ma a tante altre distillerie dei Caraibi. Distillerie che rispondono a quei requisiti che ho detto prima e che sono quelli che stanno cercando i consumatori più evoluti e consapevoli».

Ma è un trend solido o magari è solo una moda passeggera?

«È un cambiamento radicale di mentalità e di approccio ai prodotti che si svilupperà ancora per almeno altri dieci anni. Ma chi può dirlo veramente? Potrebbe essere un cambiamento definitivo. Almeno io me lo auguro, e sebbene sono convinto che questo resterà comunque un mercato di nicchia, sto lavorando in questa direzione».