Anche se gli chiediamo un focus sui trend che caratterizzano il mondo degli spirits, Dario Frattaruolo è un Graphic Designer/Illustrator che si occupa di packaging design a tutto tondo. Tutti i suoi lavori sono espressione forte dell’identità del prodotto, valore che fa emergere attraverso la scelta di illustrazioni, grafiche, colori e un fitto richiamo alla territorialità, aggiungendo la carica percettiva dei materiali e della comunicazione. Nella progettazione di uno spirits, ci conferma lui stesso, la capacità espressiva è molto libera perché si lavora sull’intera bottiglia. Ma è soprattutto sull’etichetta, dice, che il design trova più margine di riproduzione. Un vantaggio che deriva da investimenti importanti e tirature premium limitate, che permettono di realizzare lavorazioni più interessanti e preziose. Perciò, aggiunge da designer, questo è certamente un momento prospero per occuparsi dell’immagine dei distillati perché esistono tutte le condizioni per operare con stili e linguaggi aperti e senza troppi vincoli.
Possiamo dare una definizione di trend che rende riconoscibile l’attuale packaging design degli spirits?
«Bisogna fare una precisazione. A mio avviso i brand più storici, sulla linea corporate, tendono a rimanere legati al marchio e osano di meno.
Le nuove realtà sono molto più esplosive e aiutano a confermare i trend del 2022/2023 che basano le etichette su due key point principali: l’utilizzo dell’illustrazione e la sostenibilità dei materiali
A seguirli sono soprattutto i clienti giovani. Rimane il fatto che il trend è molto legato al tipo di target e di mercato».
Cambia qualcosa a seconda che si tratti di gin, grappe o amari, e se la produzione è made in Italy?
«Certamente i packaging e la comunicazione cambiano in base ai settori e al tipo di prodotto e hanno sempre visual diversi. Ma nei gin c’è la tendenza a fare più ricerca dal punto di vista visivo. Non ci sono limiti e si trova qualsiasi tipo di approccio: dall’illustrazione più figurata a quella più astratta e sempre più spesso, come faccio io, c’è l’integrazione dell’embellishment. Un tempo l’illustrazione parlava da sé, ora risulta fondamentale arricchirla di lavorazioni e dettagli che aiutano a sottolineare i punti più interessanti del disegno.
Nel caso dell’amaro di Genziana Essentia, ho raccolto le innovazioni più importanti a livello di stampa e tecniche di embellishment. Ho usato una tecnica che si chiama multilevel embossed per ricreare sulla carta Cotone Bianco Ultra WS di Fedrigoni un effetto scultura tridimensionale e una serigrafia con una vernice speciale, studiata con la tipografia La Commerciale, che dà al tatto la sensazione della superficie in marmo.
Fondamentale per il risultato finale anche l’uso di foil a caldo in rame metallizzato Luxoro, che mi ha consentito di ottenere quella nobilitazione che rende premium il packaging, anche quello secondario».
Quali sono dal punto di vista del design e della grafica le richieste del cliente?
«Quando si ha a che fare con un prodotto che vuole esportare la propria territorialità, e dove c’è una storia che fa parte del patrimonio aziendale, il cliente tende a chiederti di esaltare questo aspetto. Fondamentalmente sono due le maggiori richieste che ricevo: esportare il made in Italy dal punto di vista visivo ed esaltare il fatto che vengano utilizzati prodotti italiani. Quindi con illustrazioni che richiamano una storia italiana e si prestano a inserire elementi, come le botaniche, che testimoniano la mediterraneità del prodotto e le sue tradizioni. Rappresentarle consente di dare valore aggiunto all’etichetta. Va però detto che lo stile classico non per forza porta a vendere di più il made in Italy. Ad esempio, il packaging del Gin Villa Ugo, uno spin off della linea estesa dell’azienda italiana Sabatini Gin, che è cresciuta tantissimo all’estero, è nato dall’idea condivisa con Enrico Sabatini di creare un prodotto da compagnia, anche nel formato, per una bevanda un po’ diversa, più fresca. In questo caso abbiamo voluto esportare nell’etichetta l’italianità, che io ho tradotto attraverso un’illustrazione dal tono modern/traditional dove, oltre alla presenza dell’antico cascinale toscano di proprietà della famiglia, è centrale la presenza delle materie distillate utilizzate».
Come sviluppi il progetto di un packaging?
«Con l’etichetta cerco l’appeal immediato, ma anche molta esperienza sensoriale attraverso un lavoro più tecnico che passa dalla ricerca di materiali e tecniche grafiche. Mi baso molto sulle neuroscienze ricreando non solo il contatto visivo ma anche quello percettivo. Utilizzo colori all’estremo perché creano attenzione e carte ruvide che producono forti contrasti tattili in un mix di visual e percettività sensoriale. Possiamo sfruttare due o tre sensi per lavorare sul subconscio del cliente e abbiamo una finestra di 60 secondi per farlo. La prima cosa che lo avvicina è l’etichetta. Quando invece prende in mano la bottiglia, attiva la sua parte percettiva. Ma il senso che lo lega di più a un prodotto è senz’altro l’olfatto. Non è un caso quindi se sto già sperimentando l’utilizzo di etichette che emanano fragranze.
Al di là della parte estetica, di posizionamento e di mercati, mi piace poi l’idea del craft design che include non solo l’immagine ma anche la parte fisica dell’etichetta dove emerge una tridimensionalità. Poiché le bottiglie sono usate dai bar tender si possono creare sulla carta degli embossing a rilievo con una vernice ruvida in modo da creare una sorta di appiglio per la presa. Lo studio dell’usabilità quindi è un’altra parte del tutto nuova che sto affrontando in diversi lavori».
Segui step o metodologie ben precise?
«Importantissimo nel mio lavoro è lo studio continuo degli stili illustrativi e grafici. Prendo spesso ispirazione dalla pubblicità vintage americana e mi diverto a integrare varie scuole. A volte combino la Street Art col Barocco e tecniche ad olio piuttosto che pittura digitale, china e grafite, ogni mio progetto è diverso dall’altro. Decido di dare un segno differente ogni volta, a seconda di come è l’azienda, se più istituzionale o più giovane, ma soprattutto a quale target si riferisce il prodotto. Al di là del target, dal punto di vista grafico cerco di usare sempre linguaggi, segni e cromie che mi avvicinino al fruitore e che nei mercati cambiano a seconda del paese. In Cina apprezzano geometrie circolari e l’uso dell’oro e del rosso che riconducono al luxury. In America, amano diverse texture e tipologie di carte. Insomma, bisogna capire quali sono dal punto di vista culturale i codici visivi e anche materici legati al mercato.
Significativo per me è anche l’uso dell’iconografia perché dove ci sono icone abbiamo un forte vantaggio. Il loro utilizzo all’interno di un’etichetta serve infatti a due cose: informare sui dati normativi del prodotto e comunicare col fruitore influendo sul suo stato d’animo con immagini che il suo subconscio riesce a leggere.
Nel progetto per Tropico Gin, la narrazione si basa su simboli. Tre divinità messicane distribuite su un’etichetta fasciante, che le fa scorrere dal fronte al retro creando curiosità con una grafica ultramoderna. In questo caso ho scelto tre figure di animali comuni a diverse culture dell’antichità, che si fanno scoprire piano piano sulla bottiglia, dove centrale rimane la rappresentazione grafica dell’antico frutto di Guava da cui deriva il gin. Sono caratterizzate da colori brillanti e pattern geometrici che recuperano il mood dell’iconografia tradizionale legata a queste tre divinità e incorporano dettagli oro legati alla tradizione Maya e Inca consegnando un’aurea solenne e senza tempo all’etichetta, che nel complesso generale strizza l’occhio ai linguaggi delle illustrazioni più contemporanee».
Quali sono le fasi che segui per arrivare a un risultato che soddisfi sia il cliente sia il fruitore?
«Che si tratti di wine o spirits, parto sempre da un brief in cui il cliente mi deve spiegare il prodotto. Però poi sono io a interessarmi molto anche della sua territorialità, perché secondo me legare un prodotto fisico come l’alcool a un’identità metafisica che lo riguarda, crea una vera e propria magia e una forza comunicativa per cui l’utente si sente parte di quella cosa. Prima di muovermi cercando ispirazioni altrove, vado quindi a indagare se ci sono delle storie o dei personaggi che riguardano la produzione, l’azienda o il sito. Quando li trovo creo con l’etichetta uno storytelling che è capace di toccare corde legate alla tradizione italiana o a concetti profondi e simboli atavici che ognuno interpreta a modo suo.
Alla richiesta di Fabio Valtorta, executive chef del ristorante Hespresso di Roma e ideatore di Essentia Regia, ho risposto con un’etichetta che dal punto di vista visivo è ricca di elementi geometrici, figurativi e lettering che si mescolano l’uno con l’altro e restituiscono quell’idea di fusione e miscela che sono proprie dell’amaro. La scultura rappresenta re Genzio in una chiave rivisitata e contemporanea, resa grazie alla scomposizione di alcune porzioni in elementi ondulati e sinuosi. In questo modo la figura sembra staccarsi dal piano bidimensionale e animarsi nel tripudio dei colori delle varie tipologie di Genziana.
Dal punto di vista tecnico le diverse lavorazioni impiegate sono state studiate per dare un effetto di tridimensionalità ai disegni, un supporto maggiore per la presa della bottiglia e in generale pongono quest’etichetta ad un livello superiore di innovazione».