Riutilizzo degli imballaggi, orientamento controcorrente. Dal 1° gennaio è obbligatoria l’etichettatura ambientale

La proposta della Commissione Ue mette al centro il riutilizzo degli imballaggi e non il riciclo. È applicabile intanto la norma che dal 1° gennaio 2023 impone a livello nazionale l’etichettatura ambientale degli imballaggi 

Dopo le tappe che a livello nazionale hanno portato alle nuove modalità di etichettatura, applicabili dal 1° gennaio 2023, la Commissione Ue ha recentemente pubblicato una proposta di regolamento con l’obiettivo di disciplinare la gestione e il riutilizzo degli imballaggi. Si tratta di un tema che rientra nello spazio di lavoro del Green Deal, la cui politica è finalizzata a favorire la transizione ecologica dei processi e dei sistemi di produzione. Ma che tuttavia – ed è qui la maggiore preoccupazione – mette al centro il riutilizzo degli imballaggi e non il loro riciclo: un orientamento praticamente controcorrente rispetto ai modelli di riduzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti e alle modalità di recupero e di riciclo, la cui filiera, almeno in Italia, ha già raggiunto importanti traguardi. 

Senza margine di manovra 

Con la proposta di regolamento la prima intenzione della Commissione sembra essere quella di applicare la nuova regolamentazione direttamente, e senza possibilità di adeguamento da parte degli Stati membri. Nessun margine di manovra quindi, contrariamente alla direttiva – strumento finora utilizzato per disciplinare la materia – che invece come noto fissa degli obiettivi, lasciando ai singoli paesi una certa flessibilità di applicazione e la possibilità di non disperdere le esperienze e le scelte già intraprese. Oltre al metodo c’è poi un problema di merito: al di là delle scadenze piuttosto ambiziose, la proposta normativa mette al centro il riutilizzo degli imballaggi e non il loro riciclo, soluzione non sempre efficace e comunque, tenendo conto degli adeguamenti strutturali e logistici che comporta il recupero degli imballaggi e del trattamento che necessariamente dovrebbe precedere il riutilizzo, certamente non a costo zero, neanche sotto il profilo ambientale. 

I contenuti della proposta 

Il testo pubblicato fissa degli obiettivi per i produttori e i distributori che dal 1° gennaio 2030 dovranno garantire che il 5% dei vini immessi sul mercato deve utilizzare contenitori riutilizzabili, impegno destinato a raggiungere il 15% entro il 1° gennaio 2040. Novità anche per i vini aromatizzati, le bevande a base di vino e i cosiddetti ready to drink, che entro le date indicate dovranno raggiungere traguardi ancora più ambiziosi, rispettivamente pari al 10% e 25% di prodotto disponibile in contenitori riutilizzabili. L’unica eccezione riguarda i vini spumanti, considerando che il riutilizzo delle bottiglie aumenta il rischio di microfratture e – tenendo conto dell’elevata pressione a cui sono sottoposte, indicativamente da 3 a 5 atmosfere – di rotture. Si aggiungono poi ulteriori criticità che rendono il riutilizzo delle bottiglie un’ipotesi ritenuta poco percorribile: la necessità di igienizzare i recipienti, processo che, oltre a consumare acqua e prodotti detergenti, richiede la preliminare eliminazione delle etichette, spazi e sistemi per lo stoccaggio attualmente non disponibili, la concreta difficoltà di recupero delle bottiglie vuote – tra l’altro non standardizzate ma differenti per colore, forma e capacità, spesso anche personalizzate – anche tenendo conto delle distanze e dei considerevoli volumi di vino confezionato destinati al commercio estero. 

Il valore del riciclo
I numeri indicati nel programma di prevenzione e di gestione degli imballaggi predisposto dal Consorzio nazionale imballaggi (Conai) non lasciano dubbi: nel 2021 sono stati avviati a riciclo 10,5 milioni di tonnellate di imballaggi, +9,3% su base annua e, considerando soltanto la carta, il vetro e l’alluminio – cioè gli imballaggi primari più frequentemente utilizzati per il confezionamento del vino – questi materiali presentano un tasso di riciclo rispettivamente pari a 85,1%, 76,6% e 67,5%. Senza contare le stime previsionali formulate dal Conai rispetto agli obiettivi di riciclo 2025, i cui indicatori sono già vicini, se non sopra, gli obiettivi fissati per il 2030 (Tabella 1). È significativo il caso del vetro, che– secondo i dati forniti dal Consorzio recupero vetro (Coreve) – nel 2021 è stato riciclato per quasi 2,2 milioni di tonnellate (+1,8% rispetto al 2020), operazione che ha consentito un risparmio di 412 milioni di metri cubi di gas naturale e quasi 4 milioni di tonnellate di materie prime vergini, consentendo una riduzione totale di circa 2,4 milioni di tonnellate di CO2 emesse. In effetti l’utilizzo del rottame di vetro recuperato dalla raccolta differenziata per essere riciclato evita innanzitutto il consumo delle materie prime utilizzate per la produzione del vetro (sabbia, soda, carbonati, eccetera) e consente inoltre – come anche confermato nell’ultimo rapporto di sostenibilità dall’Associazione nazionale degli industriali del vetro (Assovetro) – anche un sostanziale risparmio di energia oltre che una riduzione delle emissioni di anidride carbonica. 

Tutto da rifare? 

La proposta contiene indicazioni anche rispetto ai requisiti di etichettatura, spazio di lavoro disciplinato a livello nazionale con la modifica del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, cd. Codice dell’ambiente efficace dal 1° gennaio 2023. Oltre a disciplinare la classificazione e l’identificazione dei materiali di imballaggio (ad esempio, GL71 per la bottiglia verde, ALU40 per la capsula, FOR51 per il sughero), è oggi necessario specificare, per ciascuna componente separabile manualmente, anche le indicazioni finalizzate a facilitare la raccolta, il riutilizzo, il recupero e il riciclaggio degli imballaggi. Un indirizzo che quindi risulta sostanzialmente differente rispetto a quanto previsto dalla proposta di regolamento della Commissione europea che, pur riportando disposizioni in materia di etichettatura, tende a identificare e caratterizzare, anche mediante gli strumenti digitali, il packaging riutilizzabile e non le modalità di riciclo. 

Ma la stessa Commissione europea specifica nella nota esplicativa della proposta di regolamento che entro il 2030 occorre garantire che tutti gli imballaggi siano riutilizzabili oppure riciclabili mediante processi economicamente sostenibili. 

Non esiste quindi un’unica strada per sostenere una corretta e adeguata gestione degli imballaggi – a maggior ragione se prescritta senza possibilità di manovra – bensì una strategia che non dovrebbe escludere nessuna modalità di lavoro, specie se, come nel caso del riciclo in Italia, il sistema già applicato si rivela assolutamente utile, sostenibile ed efficace.