Alla recente edizione del Simei ha trovato spazio di espressione anche un mondo per ora piccolo, che però sembra avere tutta l’energia e le premesse per svilupparsi in maniera interessante anche in Italia. Stiamo parlando delle distillerie artigianali che in fiera hanno trovato in Craft Distilling – azienda che si occupa di ogni aspetto dello sviluppo di una distilleria – una propria espressione. L’Azienda vede in questo settore in Italia un grande potenziale e ritiene che esso vada accompagnato nella sua crescita per favorirne il potenziamento sotto tutti gli aspetti. Non da ultimo sotto l’aspetto del turismo in cui Craft Distilling vede una importante possibilità di sviluppo territoriale.
Da dove viene questa fiducia nelle potenzialità del settore? Soprattutto da un’analisi di quanto succede a livello globale. «In America – afferma Davide Terziotti, cofondatore di Craft Distilling – nel 2006 c’erano 75 distillerie artigianali. Oggi sono 2500 e hanno resistito a tutte le crisi economiche e pandemiche che ci sono state. Questa ondata di riscoperta e affermazione sta arrivando anche in Europa, contagiando il vecchio continente. Nel Regno Unito le distillerie artigianali sono diventate più di quelle in Scozia, per antonomasia patria del whisky. Esse sono distribuite dovunque nell’isola, anche nel sud. Sempre nel Regno Unito, il consumo di spirits negli ultimi anni è diminuito ma al contempo è aumentato il consumo di whisky della categoria premium. In Francia, patria di Bourbon e Armagnac, sono nate negli ultimi anni più di 200 distillerie artigianali che producono gin e rum».
Secondo alcune stime di mercato, il settore è destinato a crescere da qui ai prossimi due-tre anni e raggiungere penetrazioni di mercato di almeno il 19%.
Il messaggio di Terziotti è dunque: le distillerie artigianali sono in crescita anche nel vecchio continente, hanno potenzialità di sviluppo e sono un business stabile, che ha saputo resistere alle crisi economiche e pandemiche che ci sono state negli ultimi anni.
Il distillato Made in Italy
«A noi interessa capire come questo sviluppo possa interessare la realtà italiana», afferma Terziotti. Qui, molti degli attori di ultima generazione di questo settore vengono dal mondo del vino. Ciò non toglie che il mercato stia diventando interessante. Le licenze oggi attive in Italia sono 150 ma gli “alambicchi fumanti” sono solo circa novanta. «Molti di questi sono legati naturalmente al mondo della grappa – spiega Terziotti – ma si stanno affacciando sul mercato anche interessanti realtà per gin e whisky. Il mercato non è ancora molto dinamico ma stiamo iniziando a vedere un cambiamento di paradigma anche tra i distillatori classici di grappa che iniziano ad avere interesse per esplorare nuovi territori».
E questo nonostante il mercato italiano non sia ancora così dinamico come, ad esempio, negli USA. Il mercato italiano ha molte peculiarità. Innanzitutto, è molto ricco in biodiversità con una forte connotazione territoriale, come tutto il settore agroalimentare italiano. Tale biodiversità è ancora poco espressa nella diversità di distillerie. «L’eccezionale situazione italiana è dimostrata dal fatto che nonostante il mercato dei distillati e liquori sia ancora piccolo, esistono ben 34 indicazioni geografiche». Si tratta di una ricchezza e una varietà che nessun altro stato possiede. Anche per quanto riguarda i consumi l’Italia si distingue dal resto del mondo: «Non siamo grandi consumatori di grandi quantità ma puntiamo sulla qualità. Abbiamo una tradizione molto importante sui distillati premium. Abbiamo consumi bassi ma di fascia alta su cui il consumatore italiano è ben targetizzato». Puntare sulla biodiversità e sul legame col territorio con prodotti premium potrebbe essere la ricetta per il successo delle distillerie italiane per le quali: «Siamo all’inizio ma c’è ancora molto margine di crescita», conclude Terziotti.