Distillazione tutta italiana!

 

Claudio Riva, a destra, con Davide Terziotti

Distillo, la prima fiera italiana dedicata al fenomeno della distillazione artigianale che andrà in scena a Milano il 17-18 maggio, è solo l’ultima tappa del percorso che ha portato Claudio Riva e Davide Terziotti a diventare, da semplici per quanto estremamente competenti appassionati, i punti di riferimento e i portabandiera di quello che si sta delineando come il movimento più interessante degli ultimi anni in campo enogastronomico. Per capirne di più abbiamo intercettato Claudio Riva al ritorno da uno dei suoi numerosi, e invidiatissimi nell’ambiente, viaggi nelle terre degli alambicchi, questa volta in Cognac, per capire meglio con lui la genesi di Distillo. E abbiamo voluto prenderla da lontano…

Allora Claudio, quando è scoccata la scintilla?

Io venivo dal mondo Slow Food, nel quale ero stato fiduciario negli Anni Ottanta della Condotta della Brianza, e dal mondo del vino avendo frequentato l’Onav per tutto il decennio successivo. Al volgere del millennio sono salito di gradazione, diciamo così, e nel 2003 ho fatto il primo viaggio in Scozia andandomi a infilare dentro la distilleria di Laphroig. È stato un momento decisivo soprattutto perché mi sono reso conto che, pur essendo una distilleria da milioni di casse, potevo ascoltare persone che parlavano senza farsi condizionare dai superiori e senza influenze dettate dal marketing. Un elemento che nel vivo avevo iniziato invece a sentir mancare. Ora in anni normali, cioè senza l’incubo del Covid, passo normalmente almeno un mese a più riprese in Scozia»

Non a caso tre anni più tardi nasce il tuo blog “I love Laphroig”…

Esatto. Più o meno nello stesso periodo di tempo in cui Davide Terziotti apriva il suo Angel’s Share. Ci conosciamo e ci troviamo subito in sintonia. Nel frattempo mi aggrego da esterno al Milano Whisky Festival e contemporaneamente nasce il Single Malt Club di Angelo Matteucci, il primo ad aver compreso l’interesse tutto italiano per i single malt. Inutile dire che la mia passione continua a crescere!

Il Single Malt Club vantava anche l’appoggio di Food from Britain, un ente governativo britannico che promuoveva birre, distillati e gastronomia britannica…

Sì, ma nel 2013 Food from Britain toglie le sovvenzioni e il club muore poco dopo. Così a dicembre dello stesso anno, con Davide, decidiamo di fondare Whisky Club Italia. All’inizio si trattava di una valida scusa per aprire e assaggiare insieme bottiglie di scotch, ma presto capimmo che volevamo e potevamo intercettare il movimento della microdistillazione artigianale che era già nato negli States e che stava conquistando anche il Regno Unito. Scommettemmo che presto questa specie di vibrazione sarebbe arrivata anche da noi. Il Club ebbe il suo battesimo un anno dopo, esattamente l’8 novembre del 2014, e in tre anni raggiungemmo i primi seimila iscritti.

E da lì non vi siete più fermati. Leggendo i numeri oggi il club vanta circa 18.000 iscritti, cioè siete praticamente triplicati in poco più di tre anni. Nel 2019 ultimo anno pre-pandemico avete realizzato ben 241 eventi ed esistevano 21 club o clan locali

Questi sono effettivamente i numeri anche se forse lo scorso anno, per via della pandemia, possiamo aver perso qualche clan locale, ma aggiungo che negli ultimi anni Whisky Club si è, diciamo così, allargato agli altri distillati come il rum, il gin, il cognac… Abbiamo insomma integrato e completato il nostro Dna. I master che organizziamo hanno avuto un enorme successo e i due workshop sulla distillazione artigianale organizzati con Eugenio Belli nella sua distilleria artigianale Eugin sono andati entrambi sold out. Insomma, possiamo dirci più che soddisfatti per risultati che sono stati superiori anche alle nostre più rosee attese.

Come ti spieghi questo successo della distillazione artigianale?

Ci sono molte ragioni a mio avviso. Una di queste è il fatto che i distillati artigianali, pur essendo in parte nati sulla scia del successo della birra artigianale, non soffrono della dicotomia industriale vs artigianale che caratterizza quest’ultima. Chi beve whisky prodotto in grandi, se non enormi quantità, può bere comunque molto bene. Magari in qualche caso il prodotto può aver perso un po’ di personalità, ma resta comunque un’eccellenza. Se vuoi un punto di svolta è stato il lancio, da parte di Diageo, della linea dei Classic Malt nel 1988. Come vedi una svolta guidata da uno dei più grandi gruppi al mondo. Nel mondo dei distillati l’antitesi craft – non craft non ha molto senso, ma certamente – e questa è una seconda ragione del successo – il prodotto craft è più trendy, può contare maggiormente sul fattore umano, ovvero sulla presenza e la possibilità di confronto diretto con il distillatore e questo, a fronte di consumatori sempre più edotti e consapevoli, è un fattore determinante. Infine, il mercato dei distillati non sembra soffrire più di tanto delle crisi economiche, dimostrazione è che la massima espansione delle microdistillerie americane si è avuta proprio in anni di recessione e crisi finanziaria. Un elemento da non sottovalutare è quello che lega il mondo dei distillati di pregio al consumo domestico, un consumo che sostiene le vendite anche in periodi difficili. Per certi aspetti anzi potremmo dire che anche la pandemia ha dato impulso al movimento del craft distilling.

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