È ormai un dato di fatto. Il mondo italiano della craft brewery si sta diversificando sempre di più, inoltrandosi anche in un mercato che, sebbene non sia del tutto nuovo, è ancora poco esplorato dalla maggior parte dei mastri birrai: quello della distillazione artigianale. Per approfondire il tema, Easybräu-Velo – divisione del Gruppo TMCI Padovan Spa specializzata in impianti e macchinari per il settore della birra artigianale – ha organizzato un webinar in collaborazione con Italy Beer Week e Craft Distilling Italy, evento che ha fatto registrare una notevole affluenza e un grande interesse tra gli attori della filiera, a testimonianza di come qualcosa, nel comparto, si stia effettivamente muovendo in questo senso. «Negli ultimi anni parecchi birrifici sono arrivati a produrre birre di grande qualità – ha spiegato Giancarlo Angilella di Easybräu-Velo –: la loro necessità di diversificare e aumentare il portfolio prodotti è divenuta via via più importante e oggi molti nostri clienti affiancano alla sala cottura sale sciroppo per la realizzazione di soft drink, mentre altri scelgono di trasformare residui di produzione, semilavorati o la birra stessa in un distillato da commercializzare per completare la gamma prodotto o per disporre di un’alternativa in caso di invenduto. Il mondo della distillazione si presta indubbiamente alla curiosità, alle competenze e all’attitudine dei mastri birrai».
Davide Terziotti di Craft Distilling Italy – realtà nata lo scorso anno per offrire consulenza in caso di apertura o consolidamento di attività distillatorie in Italia – ha confermato come il concetto di distillazione artigianale stia attualmente registrando un grande sviluppo nei birrifici artigianali di tutto il mondo e inizi a mettere radici anche nel nostro Paese. Tra i mercati di riferimento, gli Stati Uniti la fanno da padrone; un fenomeno, quello della distillazione artigianale statunitense, che ha ricalcato la tendenza esponenziale alla crescita del comparto craft brewery americano dei vent’anni precedenti. «L’aumento maggiore si è avuto tra il 2008 e il 2015, nel periodo di crisi finanziaria ed economica più importante per gli USA – ha precisato Terziotti –: in questo contesto il mercato dei distillati premium e delle microdistillerie è incredibilmente cresciuto, partendo dalla West Coast e diffondendosi nel resto del Paese, nonostante in alcuni Stati vigessero ancora le leggi sul proibizionismo. Ad oggi qui si contano oltre 2.000 distillerie e il processo non sembra destinato a rallentare».
Dagli USA il fenomeno si è espanso oltreoceano: fonti ADI (American Distilling Institute) riportano il numero di 1.250 distillerie distribuite nel resto del globo, un dato ancora parziale. Nel Regno Unito, in particolar modo, l’ultracentenario mercato scozzese – che ha sempre giocato un ruolo da protagonista – anche nell’ultimo periodo ha visto venire alla luce nuove distillerie, superate in numero, tuttavia, dall’Inghilterra, dove si passa da grandi realtà a imprese anche molto piccole e dove, in media, oggi apre una distilleria a settimana. «Da un’analisi dei dati di consumo in UK nel periodo 2008-2015 – ha dichiarato Terziotti – è emerso come, alla stregua del trend statunitense, in un momento di crisi la predilezione di whisky premium sia aumentata anche all’interno del Regno Unito (+5,5%) e abbia mostrato un andamento in netta controtendenza rispetto alla scelta di prodotti standard (-19,6%) e altri distillati (-3,3%)». Anche in Francia – notevole consumatrice di whisky – lo sviluppo delle attività distillatorie è rilevante: qui esistono già oltre 50 distillerie di tale superalcolico e molte aziende di Armagnac hanno affiancato alla produzione classica un whisky pot still, fatto che ha portato a riconoscere due nuove indicazioni geografiche in Alsazia e Bretagna.
Arrivando all’Italia – dove si impiegano perlopiù vinacce e la distillazione è stata finora quasi completamente sbilanciata sulla storica e identitaria grappa (85% sul totale) –, nel nostro Paese si contano circa 135 licenze, ma gli alambicchi effettivamente in funzione sono una settantina. Le microimprese rappresentano la maggioranza (l’80% delle aziende dispone di meno di 10 addetti – dati Assodistil) e tuttora stanno sorgendo nuove microdistillerie artigianali, prevalentemente di gin, ma non solo: sono nate distillerie a tassa giornaliera che realizzano grappe e distillati di frutta, così come distillerie di whisky da birrifici. Nel segmento brassicolo, tuttavia, oltre al whisky si fa largo un altro superalcolico ancora poco conosciuto e diffuso in Italia, il distillato di birra, meglio definito dalla normativa nazionale come acquavite di birra: una nicchia tutta da scoprire. «La nostra percezione – ha specificato Terziotti – è che nel 2021, entro i nostri confini, non nasceranno meno di 20 distillerie: ne abbiamo già contate una decina interessate all’installazione di un alambicco fumante. In molti iniziano a pensare a quest’attività per diversificare, soprattutto in questo periodo di difficoltà». Una cosa è certa: per addentrarsi nel mondo della distillazione bisogna innanzitutto essere sicuri del tipo di prodotto che si desidera realizzare, per determinare la dimensione della propria distilleria, scegliere le attrezzature idonee, l’opportuna accisa e, di conseguenza, la procedura burocratica e fiscale da seguire. Se manca l’esperienza, quindi, quantomeno nella fase iniziale è bene consultare un professionista, per non disattendere le normative e non incorrere in sanzioni, ma, attenzione, che ciò non faccia desistere gli interessati: «Le opportunità per i birrifici sono davvero moltissime – assicura Terziotti –. Whisky e gin sono le categorie che ora vanno per la maggiore, ma tutti i prodotti più particolari e non codificati rappresentano una grande possibilità. Si parte adesso: il potenziale c’è».
L’avvocato Diego Zucal dello Studio Tosi ha affrontato poi nel dettaglio la questione delle accise. Un argomento complesso che necessita dei necessari approfondimenti tramite consulenti specializzati.