Gli allevamenti italiani, anche quelli intensivi, sono i più sostenibili del mondo. Inoltre, l’Italia è già molto avanti nel percorso che porterà a centrare gli obiettivi di sostenibilità ambientale ed etica inseriti dall’Unione europea nel Green Deal e nella Farm to Fork. Stesso discorso vale per latte e formaggi made in Italy: sono i più sani e i più sicuri. Ma questi concetti non arrivano ai consumatori, che, anzi, hanno una visione distorta della filiera lattiero-casearia del nostro Paese. Come fare per aumentare la reputazione del settore? Comunicando meglio il valore dei latticini partendo dal foraggio che serve per alimentare le vacche, arrivando alle caratteristiche organolettiche del formaggio.
Questo il filo conduttore della seconda edizione degli stati generali della filiera lattiero-casearia italiana, evento digitale organizzato da Tecniche Nuove, che ha riunito tutti i principali attori di un comparto che rappresenta il 12% del fatturato dell’industria alimentare italiana.
«Una filiera strategica, considerata uno dei marchi distintivi dell’Italia nel mondo – ha detto la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova – che dà lavoro a oltre 25mila persone solo nella parte industriale, a cui si aggiungono quelli nelle campagne. E poi le 53 Dop che fanno del nostro Paese il leader mondiale della categoria».
«Proprio per dare valore alla filiera del latte abbiamo esteso la sperimentazione dell’obbligo di origine in etichetta fino a dicembre 2021 – ha sottolineato la ministra – nella prossima Legge di Bilancio proponiamo un investimento sulle filiere di 150 milioni di euro, convinti dell’indispensabilità di nuovi rapporti di filiera».
Bellanova ha elencato le misure messe in campo in questi mesi per sostenere il settore lattiero-caseario e ha spiegato che «è necessario indirizzare le risorse disponibili per aumentare la competitività e la modernizzazione delle aziende. Serve avviare una riflessione seria sulle modalità di sostegno finanziario. Un ruolo importante dovrà essere riservato al sistema degli aiuti accoppiati e alla possibilità di attivare nuove Ocm. Per fare questo bisogna concentrare le risorse su pochi e chiari obiettivi, perciò è necessario un percorso condiviso. Di tutto questo parleremo insieme nelle prossime settimane nel tavolo di settore che porterà alla stesura del piano strategico nazionale».
L’eurodeputato e primo vicepresidente della Commissione Agricoltura Ue Paolo De Castro ha rassicurato gli allevatori italiani, preoccupati per gli obiettivi di sostenibilità ambientale che l’agricoltura e in particolare la zootecnia dovranno centrare in base a Green Deal e Farm to Fork.
«Una cosa sono gli atti legislativi un’altra la visione del futuro – ha detto De Castro – ora sono iniziati i triloghi per finalizzare il contenuto della nuova Pac. Altra cosa sono Green Deal e Farm to Fork che per ora sono documenti di prospettiva che a oggi non sono supportati da atti legislativi. Questo deve essere chiaro, perché sulla questione è stata fatta un po’ di confusione. La nuova Pac è una proposta di legge della Commissione europea presentata nel 2018 e su questa si sta lavorando da due anni, non si può fermare come hanno chiesto alcune associazioni ambientaliste, né si possono inserire in toto nella riforma i documenti programmatici sulla sostenibilità».
«Gli allevatori possono stare tranquilli – ha rimarcato De Castro – intanto perché Farm to Fork e Green Deal prenderanno corpo pian piano con atti legislativi nei prossimi anni. E poi perché in Italia siamo già a un passo dal raggiungimento degli obiettivi più ambiziosi di questi documenti. Ad esempio, sulle superfici coltivate a biologico siamo già al 16%, quindi entro il 2050 non sarà un problema arrivare al 25%. Anche sulla riduzione dell’impiego degli agrofarmaci in Italia siamo molto avanti».
Durante la prima tavola rotonda, alla quale hanno partecipato i presidenti di Coldiretti Ettore Prandini, del gruppo Granarolo Giampiero Calzolari e dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari Giorgio Mercuri, si è parlato di produzione e filiera. Il singolo allevatore non può modificare da solo il modo di produrre, ma tutto deve essere fatto in un sistema allargato che comprenda anche l’industria di trasformazione.
«Abbiamo certificato le 651 stalle della nostra filiera, tutte oggi raggiungono i 70/100 di benessere animale richiesti da Granarolo – ha puntualizzato Calzolari – quelle che non sono riuscite a fare il salto sono fuori. Stiamo lavorando a un’ulteriore passo avanti: passeranno da 90 a 300 gli indicatori di valutazione, saranno monitorati in modo periodico. Siamo decisi a dare al nostro consumatore un latte che arriva da animali da reddito, ma trattati bene. Perché un benessere animale alto remunera anche l’allevatore».
Nella seconda tavola rotonda, che aveva come tema centrale il mercato e i consumi, Raffaello Bernardi e Salvo Garipoli di Sg Marketing hanno mostrato, numeri e sondaggi alla mano, come la pandemia abbia modificato i consumi di latte e formaggi, ma anche quanto sia la “fame” di informazioni sulla filiera produttiva di questi prodotti da parte dei consumatori.
Gli italiani hanno dimostrato anche in tempo di pandemia di essere disposti a pagare di più per alimenti di qualità, difatti Giampiero Corbari, ad di Pam Panorama e Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano, hanno concordato sul fatto che un eccesso di promozionalità sui prodotti d’eccellenza come le Dop casearie, invece di creare valore lo distrugge. Concetto ribadito da Ambrogio Invernizzi, presidente di Inalpi: «Non bisogna fare una guerra di prezzo – ha detto – ma di prodotto».
«Per troppo tempo la distribuzione si è concentrata sul “fare volume” – ha rincarato Corbari – i direttori vendite hanno pensato solo a raggiungere i loro obiettivi personali con promozioni troppo spinte. Questo ha distorto i rapporti tra produzione e distribuzione. Ma una referenza di marca scontata del 40% costerà sempre più di una da discount».
I presidenti di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, del consorzio di tutela del formaggio Gorgonzola Antonio Auricchio (che è anche vicepresidente di Assolatte) e di Consumer forum Sergio Veroli, hanno ragionato sulla comunicazione al consumatore delle qualità dei prodotti lattiero-caseari. Tutti hanno condiviso la necessità di concentrarsi di più sui nuovi strumenti: ad esempio i social network, anche per intercettare una fascia più giovane di persone, solitamente più scettiche sul consumo di latticini.