Quando, nel 1978, il presidente americano Jimmy Carter legalizzò la pratica dell’homebrewing riaprendo di fatto il mercato ai piccoli birrifici, migliaia di suoi concittadini diedero vita a quella che oggi è conosciuta come la Craft Beer Renaissance. Uno tsunami che ha portato il numero di birrifici operanti negli USA dalle 89 unità, per l’appunto, del 1978 alle oltre 8.000 del 2019. Una vera e propria rivoluzione capace di stravolgere il mercato ma, soprattutto, una rivoluzione che colse sul tempo una moltitudine di palati pronti a lasciarsi incantare dalle infinite diversità aromatiche che il mondo della birra custodiva tradizionalmente con sé e che, semplicemente, era stato dimenticato a partire, alla metà del 1800, dall’affermazione globale dello stile pilsner.
Raccontiamo brevemente il fenomeno della birra detta “craft”, per distinguerla da quella prodotta dalle grandi aziende spesso vere e proprie multinazionali, perché negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno visto l’emergere di un nuovo fenomeno che, per alcuni aspetti, ricalca proprio quello dei birrifici artigianali. Il fenomeno è quello delle distillerie anche loro dette craft, spuntate a ritmo sempre più incalzante in tutti gli stati americani. Per rendere l’idea basti citare i dati forniti dalla American Craft Spirits Association: nel periodo 2013-2018 il numero dei produttori di spiriti è passato dalle 656 unità alle 1835. California, Washington, New York, Colorado e Texas sono gli stati che superano il centinaio di nuove realtà. Ed è sintomatico che alcuni di questi, California, Washington e Colorado soprattutto, siano aree geografiche ad alta densità di birrifici artigianali perché in molti casi sono proprio i birrifici artigianali ad aver dato vita ad altrettante distillerie artigianali.
Al boom americano (+15,8% nel 2018 vs 2017) ha fatto rapidamente seguito quello europeo. Nel Regno Unito, ad esempio, la regione tradizionalmente a maggior vocazione “distillatoria”, la Scozia patria del whisky, ha dovuto cedere il passo in termini di alambicchi accesi a una Inghilterra tornata arrembante nella produzione di gin. E non è solo una questione di prodotto finale, anche se ovviamente questo aspetto gioca una parte importante nella storia, perché improvvisamente i francesi, sovrani incontrastati dei distillati di vino come Cognac e Armagnac o di sidro di mele come il Calvados, hanno iniziato a produrre dei loro whisky. E in Scandinavia il numero di distillerie è salito a una cinquantina con un incremento dettato da un nuovo interesse per whisky, gin e vodka e, ovviamente ma non esclusivamente, il distillato della tradizione ossia l’aquavite.
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