GR3N: lunga vita al PET!

Il polietilentereftalato – più noto come PET – deriva interamente da petrolio o gas naturale. Grossolanamente, servono 1,9 kg di petrolio grezzo per realizzare circa 1 kg di PET[1]. Secondo dati di PETCORE Europe, il PET costituisce circa il 20% dei volumi delle materie plastiche prodotte globalmente e rappresenta il secondo polimero più diffuso al mondo e probabilmente il più flessibile in termini di potenziali applicazioni: lo si usa dalla produzione di imballaggi di alta qualità, alla realizzazione di fibre per l’industria tessile (poliestere), l’industria meccanica, aerospaziale e altre.

L’ampio campo di applicazione che se ne fa, la derivazione da materie prime fossili di cui se ne vuole sempre più limitare l’uso e, al contempo, la volontà di instaurare in Europa un’economia circolare, pone all’industria del PET diversi quesiti sulla sostenibilità futura della propria filiera.

(fonte: Martin Abegglen, Flickr)

La filiera del riciclo del PET ha ottenuto importantissimi risultati. Secondo dati di PETCORE Europe, il tasso di riciclo della resina PET nel 2016 è stato di quasi il 59%, evidenziando un aumento dello 0,7% rispetto al tasso di raccolta del 2015. Vi sono, però, alcune problematiche ancora irrisolte nella filiera del riciclo del PET. Innanzitutto, il fatto che l’economia di tale materiale, sebbene si parli di riciclo, è tutt’altro che chiusa: non solo una parte importante di PET non viene intercettato dalla raccolta, quindi finisce tra i rifiuti, ma ogni volta che il PET viene riciclato e riutilizzato, la qualità del polimero diminuisce e alla fine il destino è, necessariamente, l’inceneritore. Questo processo viene indicato con il termine di down-cycling: un recupero sì, ma a perdere. Infine, non tutto il PET può essere riciclato con le metodologie attuali. Ad esempio, le fibre tessili o le bottiglie molto colorate o contaminate non possono essere recuperate con i tradizionali processi di riciclo meccanico. Per poter, però, andare incontro alle richieste dell’economia circolare e agli obiettivi di recupero di materiale plastico dell’Unione europea è necessario risolvere queste problematiche, ad esempio chiudendo veramente il ciclo del PET in modo che il materiale immesso sul mercato, sia riutilizzato senza limiti come lo sono alluminio e vetro, senza perdite di valore della molecola primaria.  Ed è proprio qui che entra in gioco la soluzione offerta da GR3N, una start-up che ha messo a punto un nuovo sistema di riciclo del PET. In dialogo con Maurizio Crippa, CEO di GR3N.

Qual è il cuore del metodo messo a punto da GR3N?

GR3N ha messo a punto un processo di riciclo del PET non basato su una metodologia meccanica, come per lo più avviene oggi, bensì su una metodologia chimica. Tale processo accelera la ben nota reazione di idrolisi alcalina attraverso l’uso di radiazioni a microonde. In un apposito reattore a microonde, dunque, il PET viene depolimerizzato nelle sue due molecole base, il glicole etilenico e l’acido tereftalico. Queste mantengono intatte le proprie caratteristiche e sono del tutto identiche alle molecole derivanti direttamente dalla materia prima fossile. Esse possono esser ripolimerizzate a dare un PET che è in tutto e per tutto uguale al materiale d’origine, derivato dal fossile, con la sola ma sostanziale differenza che all’origine non vi è più petrolio o gas, ma PET. Questo metodo si chiama DEMETO, acronimo di Depolymerisation by Microwave Technology.

[1] https://www.petrecycling.ch

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