Una barricaia enorme la sua, che, osservata in certi punti, pare perdersi a vista d’occhio e tale per dimensioni da far invidia ai produttori più griffati. La Cantina Santadi, nel cuore del Sulcis, il territorio che si estende nel Sud-Ovest della Sardegna, nella provincia di Carbonia-Iglesias, di botticelle di rovere ne ha circa 2.400. Vi riposano per mesi diversi vini, a cominciare dal Carignano Superiore Doc “Terre Brune”, il primo della Regione passato in barrique (nuove per l’80%) e diventato l’icona aziendale. E pensare che all’inizio degli anni ’80 la Cantina Santadi si era trovata sull’orlo della chiusura, evitata quando si decise con una scelta coraggiosa, ritenuta azzardata dai competitor di allora, di spostare la produzione dallo sfuso all’imbottigliato di qualità.
Un incontro eccezionale
«Uno spostamento radicale di obiettivo al quale si puntò a causa della riduzione rapida della domanda di vini da taglio – racconta Raffaele Cani, direttore della Cantina fin dal 1974 e testimone di quegli avvenimenti – tanto da spingere il consiglio d’amministrazione dell’epoca a intraprendere una strada diversa sondando un esperto conosciuto in un precedente viaggio fuori dall’isola mirato all’aggiornamento professionale dei soci. Quell’esperto era Giacomo Tachis». Già, proprio lui, l’inventore del Sassicaia e del Tignanello. «A quel tempo Tachis era l’enologo di Casa Antinori, alla quale dovette chiedere l’autorizzazione a seguirci. Il Marchese Piero gliela concesse, ma con l’impegno da parte di Tachis a seguirci soltanto nei fine settimana», continua Cani. Accettato l’incarico, Tachis comprese presto le potenzialità dei vitigni del Sulcis, tra i quali spicca, oltre al Carignano, il Bovaleddu, variante sarda del Bovale rispetto al quale si presenta con un grappolo più compatto, acini più piccoli e grandi concentrazioni di sostanze coloranti e polifenoli.
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