Wine Monitor stima una chiusura 2015 per l’export di vino in crescita di circa il 6%, arrivando al record storico di 5,4 miliardi di euro contro i 5,1 dell’anno precedente. Aumentano soprattutto gli sparkling, tengono i vini fermi imbottigliati, calano gli sfusi.
Le stime Wine Monitor sull’export di vino italiano per il 2015 evidenziano una crescita nei valori di circa il 6%, permettendo in tal modo di arrivare a chiudere l’anno con un nuovo record: 5,4 miliardi di euro contro i 5,1 dell’anno passato. Un sostegno non indifferente arriva anche dal rafforzamento del dollaro e della sterlina inglese che hanno così permesso ai nostri produttori non solo di essere più competitivi sui due principali mercati mondiali di importazione, ma anche di garantirsi una plusvalenza dal tasso di cambio.
Per quanto riguarda invece le quantità, anche in ragione di una minor disponibilità di prodotto (la vendemmia 2014 non è stata tra le più generose degli ultimi tempi), i volumi di vino esportati nel 2015 risultano inferiori a quelli dell’anno precedente, attestandosi poco sopra ai 20 milioni di ettolitri.
«La crescita nell’export di quest’anno risulta trainata soprattutto dagli spumanti – afferma Denis Pantini, Responsabile Wine Monitor di Nomisma – le cui vendite oltre frontiera aumentano sia sul fronte dei valori che dei volumi per oltre il 10%. Sotto tono invece l’esportazione dei vini fermi imbottigliati che continuano comunque a rappresentare più del 75% dell’export totale, mentre risulta in netto calo quella dello sfuso».
La riduzione delle vendite all’estero dei vini sfusi non è solo il risultato di una minor disponibilità di prodotto, ma anche di un continuo pressing competitivo portato avanti dalla Spagna che anche nel 2015 ha incrementato l’export di questa tipologia di oltre il 10% in volume ma a fronte di prezzi più bassi di un analogo 10%. Ormai più di un litro su tre di vino sfuso commercializzato nel mondo è di origine spagnola.
Tornando invece agli sparkling «continua il momento d’oro del Prosecco che fa segnare nuovi record d’esportazione nel mercato nordamericano (USA e Canada), inglese, svizzero e scandinavo (Svezia e Norvegia in particolare), mentre al contrario il 2015 non sarà annoverato tra gli anni migliori per quanto riguarda l’export dell’Asti», sottolinea Pantini.
A livello generale, il grande “malato” tra i principali mercati di importazione continua ad essere la Russia. Dopo il calo registrato nel 2014 (-6% nei valori), quest’anno la battuta d’arresto è pari a circa un 30%, un crollo che ha interessato in maniera analoga anche i nostri vini. Il permanere del prezzo del petrolio e del gas ai minimi storici (principali fonti di ricchezza del paese, le cui esportazioni pesano per quasi il 20% del PIL) non lasciano ben sperare per una ripresa a breve degli acquisti di vino dall’estero in questo mercato.
All’opposto, il 2015 ha visto il recupero del mercato cinese. Pur a fronte di un rallentamento economico, le importazioni di vino in questo paese vengono stimate per quest’anno attorno a 1,8 miliardi di euro, sottendendo una crescita superiore al 50% e facendo così della Cina il quarto mercato mondiale per valore dell’import di vino, dopo Stati Uniti, Regno Unito e Germania (nel 2014 occupava il sesto posto, dopo anche Canada e Giappone). L’Italia però non sembra sfruttare appieno l’onda lunga di questo recupero: il nostro export aumenta “solamente” di circa il 15%, contro percentuali comprese tra il 60% e il 120% messe a segno dai vini dei diretti competitor (Francia, Cile e Australia).