La distillazione è parte della tradizione vitivinicola italiana, il processo genera, oltre alle produzioni alcoliche, una serie di sottoprodotti dai quali ricavare nuove materie prime/prodotti: acido tartarico naturale, mangimi, fertilizzanti, combustibili in pellet per riscaldamento, energia termica ed elettrica dando vita a un virtuoso esempio di bioeconomia.
Bonollo è una delle principali distillerie europee che produce alcolici, acido tartarico, fertilizzanti ed energia. Gli stabilimenti sono quattro: Formigine, Torrita di Siena, Anagni-Paduni e Anagni-Fontana. Gli impianti laziali sono un interessante esempio di produzione integrata tra i più grandi e tecnologicamente avanzati in Europa. Nel 2014 sono state lavorate 170.000 tonnellate di vinaccia, 29.000 di feccia e 3.000 di vino, ottenendo circa 73.000 ettanidri di prodotti alcolici. Dalle vinacce è stato estratto alcol, semi di vinaccioli, tartrato, biomassa vegetale al 100%. In origine, quest’ultima alimentava la centrale termica della distilleria, oggi è ceduta alla controllata Bonollo Energia per produrre vapore di processo per la distilleria ed energia elettrica da fonti rinnovabili destinata a usi civili o industriali. La quantità di energia eccedente l’auto impiego è di circa 60.000 Mwh all’anno.
Abbiamo intervistato Mariacarla Bonollo, responsabile relazioni esterne.
Cosa si intende per produzione industriale sostenibile?
Una produzione industriale che impiega risorse naturali, finanziarie e umane per creare valore, ricchezza e profitto in modo ambientalmente compatibile e socialmente responsabile. Oggi eccellere nelle prestazioni ambientali non ha senso se non crea profitto ed è altrettanto insensato creare profitto distruggendo l’ambiente.
Da cosa trae spunto una produzione industriale sostenibile?
Dai prodotti e processi degli ecosistemi naturali e degli organismi che li compongono. La loro evoluzione, altamente efficiente, è in corso da milioni di anni; gli ecosistemi naturali producono solo energia rinnovabile e allo stesso modo tutti i prodotti bio-organici sono rinnovabili, biodegradabili, riciclabili e riciclati. In natura non esistono “rifiuti”, i sottoprodotti di un organismo diventano nutrimento per altri. Le aziende possono utilizzare i residui di lavorazione in vari modi. Per esempio, dalle biomasse vegetali si possono ricavare prodotti organici, combustibili, energia e nel contempo ridurre le emissioni di gas serra. Le aziende possono cooperare, così come fanno gli organismi negli ecosistemi naturali; gli “scarti” di lavorazione di una diventano materie prime per un’altra. Un ciclo virtuoso che migliora le prestazioni economiche ed ambientali, e incoraggia il passaggio da un’economia lineare a un’economia circolare.
La bioeconomia oggetto di dibattito in ambito UE è parte di questo ciclo virtuoso?
Sì. È un’economia che impiega le risorse biologiche della terra e del mare, i sottoprodotti di lavorazione e i rifiuti, come input per nuove produzioni e per ottenere energia. I bio-rifiuti, per esempio, hanno un enorme potenziale come alternativa ai fertilizzanti chimici o alle fonti di energia fossili. Da soli potrebbero coprire il 2% del target stabilito dall’Unione Europea in termini di energia da fonti rinnovabili. La Commissione Europea sta preparando una serie di norme a sostegno di un’innovazione che porti a una crescita sostenibile dell’economia nei Paesi dell’Unione. Il potenziale della bioeconomia UE è stimato in 2.000 miliardi di euro e in 22 milioni di posti di lavoro (il 9% del totale UE). Secondo l’OCSE, nel 2030, saranno all’insegna della bioeconomia il 50% dei prodotti agricoli, l’80% dei prodotti farmaceutici, il 35% dei prodotti chimici e industriali, per un valore diretto stimato del 2,7% del prodotto interno lordo mondiale.
Quali sono i cardini del nuovo impianto legislativo europeo?
Sviluppare nuove tecnologie e processi produttivi destinati alla bioeconomia; sviluppare mercati e competitività nei diversi settori della bioeconomia; stimolare una maggiore collaborazione tra i responsabili politici e le parti interessate. I primi settori coinvolti saranno agricoltura, silvicoltura, pesca, produzione alimentare, materiali cellulosici, comparti dell’industria chimica, biotecnologica ed energetica.
Perché la produzione delle distillerie italiane è un ottimo esempio di bioeconomia?
Il ciclo di utilizzo dei sottoprodotti di distillazione, il loro recupero e impiego a fini energetici è tra i più avanzati al mondo. Rifacendosi all’antica tradizione, le distillerie italiane trasformano ogni giorno in “oro” ciò che in altri sistemi sarebbe considerato un ingombrante e costoso scarto di lavorazione. È il momento di rendere nota a tutti questa eccellenza. Finora si è fatto un ottimo lavoro di formazione e divulgazione nel settore vino. Il consumatore medio ha ormai coscienza del diverso valore dei prodotti e una buona dimestichezza con i termini tecnici, ma pochissimi sanno cosa accade dopo le operazioni di cantina e come le distillerie valorizzano i residui di lavorazione.
Cosa dovrebbero conoscere?
Per il grande pubblico italiano il termine distilleria significa produzione di alcol e grappa. Pochi conoscono la differenza tra un’acquavite e un liquore e pochissimi sanno dell’esistenza di tre grandi famiglie di acquavite vitivinicole: “acquavite o distillato di uva” che è il prodotto ottenuto dalla distillazione del mosto fermentato di uve fresche in presenza delle parti solide dei grappoli; “grappa” che si ottiene dalla distillazione delle vinacce ed eventualmente delle fecce ricavate solo da uve prodotte e vinificate in Italia nella Svizzera Italiana; “brandy” è il nome dell’acquavite ricavata esclusivamente dalla distillazione del vino, messa a invecchiare almeno un anno in recipienti di rovere. La grappa è – nell’immaginario collettivo – l’unico prodotto derivato dalla distillazione, ma in realtà è una quota minima rispetto ai settori coinvolti.
Altro prodotto “nobile” della distillazione, in alternativa alla grappa, è l’alcol, che può essere utilizzato sia nel settore alimentare, sia nel settore industriale. È indispensabile una maggior consapevolezza del ruolo delle distillerie, soprattutto in prospettiva di una futura agricoltura, più responsabile e sostenibile.
Che ruolo avrà il bioetanolo?
In prospettiva potrebbe essere una valida alternativa al petrolio. Dalle eccedenze del vino un tempo e dai sottoprodotti della vinificazione oggi, le distillerie ottengono alcol, che può essere usato dall’industria alimentare (per esempio per la produzione di particolari vini) o per la cura della casa. In alternativa si può produrre bioetanolo (alcool di origine agricola esente da acqua, da impiegarsi come carburante di seconda generazione). È doppiamente prezioso, perché diminuisce l’impiego dei combustibili fossili e riduce le emissioni di CO2. Deriva inoltre da residui della produzione agricola e non richiede l’utilizzo di terreni dedicati. Per i produttori di vino è un importante canale di valorizzazione dei residui di lavorazione.
Quanto conta il non richiedere l’uso di terreni dedicati?
È importantissimo, esclude il settore dalle polemiche sui biocarburanti da colture alimentari, pratica che, secondo alcuni, in tempi non lontani aveva portato a un aumento generalizzato dei prezzi di determinate materie prime alimentari e talvolta a una insensata deforestazione. I sottoprodotti della vinificazione, vinacce (bucce dell’uva comprensive dei vinaccioli) e fecce (residuo della fermentazione del vino formato da resti di lieviti, sali di potassio e calcio dell’acido tartarico) non sono edibili. La vite è una pianta perenne, le quantità dei sottoprodotti da valorizzare sono certe nel tempo.
Cosa si estrae dalle fecce?
Oltre alla parte alcolica, si estrae tartrato di calcio poi avviato alla produzione di acido tartarico naturale utilizzato in produzioni farmaceutiche, cosmetiche, dolciarie, nella panificazione, in enologia ed edilizia.Per ottenere un alto grado di purezza, azzerare i rischi di trascinamento di residui di lavorazione e avere acido tartarico conforme alle principali farmacopee internazionali e ai requisti Kosher, in Bonollo ci avvaliamo di una doppia cristallizzazione, i cristalli grezzi sono risciolti e ricristallizzati. L’industria farmaceutica lo utilizza nei preparati effervescenti per favorire la rapida dissoluzione dei principi attivi, l’industria cosmetica per curare l’acne, come anti-aging e schiarente della pelle. Nel settore alimentare è indicato con la sigla E334, ha diversi impieghi generali e specifici: antiossidante nella produzione dei grassi, stabilizzante di vitamine, conferisce freschezza e colore nell’industria del pesce, agente di effervescenza in reazione con il bicarbonato nelle bevande. Nel settore dei prodotti da forno si usa esterificato con acidi grassi naturali per migliorare la funzionalità del glutine, stabilizzare e allungare la shelf life dei prodotti. Nell’industria dolciaria e delle conserve è usato come esaltatore di sapidità e come acidificante, abbassa il pH, inibisce l’ammuffimento e lo sviluppo della carica microbica. È utilizzato nelle pratiche enologiche, nell’industria chimica come agente risolvente nella separazione di antipodi ottici, in edilizia diventa un componente degli intonaci per interni, ne ritarda l’indurimento rendendoli più lavorabili.
Dalle vinacce invece cosa si ricava?
Moltissimi prodotti: alcool o grappa, tartrato di calcio, semi di uva altrimenti detti vinaccioli. Da questi si ricava l’olio di vinaccioli, utilizzato nel settore alimentare e nella cosmesi. Contiene meno vitamina E rispetto ad altri oli, ma è ricco di polifenoli e di acido linoleico, acido grasso essenziale appartenente alla famiglia degli Omega 6. I raspi, ricchi di sostanze tanniche e per questo spesso eliminati prima della pigiatura, contengono lignina e sono eccellenti combustibili naturali; le bucce dell’uva sono utilizzate in mangimistica, per aumentare l’apporto di fibre nell’ alimentazione animale, oppure diventano un’ottima base per i fertilizzanti naturali.
Potrebbero essere i precursori dei cosiddetti concimi vegani, oggi al centro di vivaci discussioni tra gli esperti?
La loro matrice organica deriva dalla borlanda vitivinicola. Diverse ricerche ne attestano gli effetti positivi sui terreni, in termini di miglioramento delle caratteristiche chimico fisiche e di microflora. Non so se si arriverà mai a un concime vegano, ma certo si sta lavorando in un’ottica di progettazione tutta naturale del prodotto agricolo.
Da dove si ricava l’energia termica?
In distilleria l’autoproduzione di energia termica, partendo da vinaccia essiccata, è una tradizione consolidata, un ciclo virtuoso eccezionale con una sapienza antica, già citato nei manuali di settore. Da molto tempo ormai i biogas, derivanti dagli effluvi delle lavorazioni, diventano energia termica e parte delle vinacce è re-immesso nel ciclo della distillazione come biocombustibile, ma in anni più recenti, le vinacce esauste possono anche essere essiccate e trasformate in pellets per riscaldamento domestico.
Per le distillerie italiane la tendenza a non sprecare nulla è una realtà consolidata, in molti altri Paesi è un obiettivo da raggiungere, perché?
Per capire questa differenza, bisogna tornare agli anni 70/80, quando in Italia i contributi nazionali (riconosciuti al settore sulla base di un prezzo ideale di riferimento stabilito dalla Comunità Europea) erano irrisori rispetto a quelli accordati agli operatori di altri Paesi. Per far quadrare i conti, si è avviato il meccanismo virtuoso che ha portato le distillerie a non sprecare nulla. È un messaggio di speranza per la ripresa: infatti da questo svantaggio è nata una filiera vitivinicola eccezionalmente performante, un fiore all’occhiello della nostra economia.