Innovazione, tecnologia e sostenibilità per la fabbrica alimentare del futuro

La filiera alimentare è terreno per innovare, far circolare le idee e moltiplicare le opportunità di sviluppo, per favorire la crescita culturale, sociale ed economica del Paese. Le industrie alimentari si impegnano a dare vita a processi e manifatture più intelligenti, più efficienti, connessi e sostenibili.

È la “Fabbrica alimentare del futuro” di cui si è parlato nel corso dell’evento “#2kmdifuturo: Food, Energy, Innovation”, organizzato da Loccioni nell’ambito di Expo 2015: aziende del calibro di Fileni, Mondelez International, Lavazza, Ferrero, Nestlè Waters e Carlsberg hanno portato la propria esperienza e la propria visione di futuro.

Quali i driver di innovazione? Quali le nuove tecnologie per migliorare la produttività e la qualità dei prodotti? Quali le criticità e gli ostacoli in termini di processo produttivo? Che ruolo gioca l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale? Come connettere l’industria alimentare allo sviluppo territoriale?

Secondo Gino Romiti, Innovation Director di Loccioni, la fabbrica alimentare del futuro deve avere le seguenti caratteristiche: flessibilità, automazione, sostenibilità, integrazione, controllo e supervisione. Il consumatore moderno è sempre più consapevole e sensibile verso un consumo del cibo attento e rispettoso della salute e dell’ambiente. Romiti insiste dunque sul concetto di ‘food processing’, ossia trasformare l’approccio tradizionale della catena del cibo passando da una produzione spinta a una produzione guidata dalle esigenze reali dei consumatori con l’obiettivo di trasformare commodities indifferenziate in prodotti semilavorati pronti in funzione dei bisogni del consumatore. In che modo? Attraverso linee produttive flessibili, modulari, veloci che rispondano a requisiti di meccanizzazione, automazione, integrazione di soluzioni, garantendo qualità, igiene, sicurezza e sostenibilità.

La lean production, tipica del mondo manifatturiero, è oggi applicata anche all’agroalimentare e vede nella riduzione degli sprechi il suo primo pilastro. Concetto questo ripreso ed enfatizzato da Marco Graziano, Business Development Manager di Mondelez International, secondo cui occorre mappare e identificare le perdite dei propri processi produttivi: solo capendo i singoli processi si riescono a costruire piani per eliminare gli sprechi. Prosegue poi Graziano: come si traducono flessibilità, competitività, servizio al consumatore, responsabilità sociale all’interno dei processi produttivi? Implementando una produzione lean che vede nella leadership il suo prerequisito fondamentale che non può prescindere però dal coinvolgimento di tutti gli operatori dell’organizzazione aziendale in un’ottica di miglioramento continuo. Ciò significa avere una chiara visione del business, KPI condivisi da tutti, e darsi un modello operativo che si adatti costantemente ai bisogni del mercato e della propria organizzazione. Non da ultimo, fondamentale è il risparmio energetico: Mondelez International ha ottenuto una riduzione del 25% dei suoi consumi di eneriga.

Giovanni Fileni, presidente di Fileni, terzo player nazionale nel settore delle carni avicole e primo produttore in Italia di carni bianche da agricoltura biologica, enfatizza il concetto di produzione ‘intelligente’: prodotti sempre più buoni a costi competitivi. Ciò si ottiene anche grazie a investimenti in capannoni e magazzini all’avanguardia dal punto di vista tecnologico ed energetico.

Filippo Ferrari, direttore Ingegneria di Lavazza, per spiegare la fabbrica alimentare del futuro si basa sull’analogia tra il settore delle auto da corsa (sua passata esperienza professionale) e quello alimentare: occorre concepire la fabbrica del futuro come se fosse una vettura da corsa – non plus ultra di innovazione tecnologica – a cui viene applicata una sorta di telemetria, cioè di monitoraggio delle reali prestazioni delle linee basato su dati oggettivi e non su sensazioni soggettive degli operatori/piloti come accadeva in passato. Questo comporta un complesso livello di innovazione da un punto di vista sia di automazione ed elettronica applicata, che di sensibilizzazione di tutti gli addetti, ognuno con la propria competenza, a livello generale di fabbrica nell’ottica del miglioramento continuo, in una sorta di ‘sostenibilità conveniente’ come la definisce Ferrari: aumenta l’efficienza e si riducono gli sprechi, facendo del bene alle casse aziendali e all’ambiente.

Altra componente fondamentale di questo ‘sistema fabbrica’ è il fornitore cui si richiede di applicare contratti di manutenzione/performance che garantiscano con ripetitività la performance produttiva delle macchine ai massimi livelli. Tutti i fornitori di Lavazza hanno accettato questo tipo di sfida nel lungo termine.

È Eugenio Alessandria, responsabile investimenti tecnici, innovazione e automazione di Ferrero, a introdurre il concetto di ‘automazione 4.0’: viviamo in una realtà industriale identificata dal concetto di ‘Cyber Physical Production System’. Oggi le macchine sono caratterizzate da una complessa convergenza di tecnologie: meccanica, sistemi elettronici e software, automation controls, logica, programmazione, motion control, robotica collaborativa, safety, oltre a tecnologie che non provengono propriamente dal mondo dell’automazione quali security, sistemi di gestione ed efficientamento energetico, tecnologie IT.

Il rischio è che se non si ha una governance di questa complessità tecnologica non si è in grado di garantire gli asset produttivi. Occorre dunque avere coscienza della complessità tecnologica delle macchine di produzione ed essere capaci di governarla per coglierne le potenzialità.

Quali dunque secondo Ferrero i must da seguire? Governance della complessità; necessità di flessibilità: cambi formati a tempo zero, linee flessibili; modularità; scalarità degli investimenti; dislocazione in diverse aree di macchine e impianti; formazione/training delle risorse specialistiche; condivisione delle informazioni attraverso piattaforme collaborative di knowledge management.

La simulazione è poi fondamentale per poter, in anticipo rispetto alla costruzione e ai costi stessi della macchina, testare, validare, provare, ottimizzare, cambiare soluzioni, in una sorta di start up virtuale/digitale di soluzioni di ingegneria prima di realizzarle. È un cambio di paradigma secondo Alessandria: se prima si partiva da una progettazione e si procedeva alla costruzione fisica dell’impianto, oggi si parte da una modellizzazione virtuale per poi, alla fine di un iter di test e validazione, andare a generare la progettazione quasi fosse un output e non più un input del processo.

Gestione dell’energia, energy mapping (mappatura delle fonti energetiche della fabbrica), investimenti in campo energetico, risorse dedicate. Per Massimo Angelini, responsabile efficientamento di Nestlè Waters, la gestione del risparmio energetico passa attraverso il coinvolgimento di tutta la fabbrica nelle sue attività quotidiane e attraverso la collaborazione con i fornitori: il risparmio energetico è ormai diventato una voce fondamentale dei capitolati.

Per Alberto Frausin, amministratore delegato di Carlsberg, più che di innovazione bisogna parlare di ‘rivoluzione’. La sostenibilità deve diventare il tema numero 1 all’interno dell’azienda e deve essere considerato a 360°: l’azienda non è un’isola, ma vive all’interno di un contesto enorme da cui attingere continuamente spunti e idee. Ovviamente non si può prescindere dai criteri di misurazione, senza numeri non si può migliorare, ma occorre, secondo Frausin, in primo luogo più coraggio per il cambiamento. La sostenibilità è un processo lunghissimo che non si inventa in poche ore, occorre innovare adesso per incidere fra 10 anni. L’azienda deve inoltre lavorare con partner di livello mondiale. Radicata, ad esempio, è la collaborazione di Carlsberg con le Università: con IEFE Bocconi Carlsberg ha studiato l’intero ciclo di vita del prodotto per conoscerne l’impatto ambientale.

Il settore del largo consumo è il secondo settore per impatto ambientale nel mondo, un impatto ambientale che non è solo all’interno, ma soprattutto è fuori dalla fabbrica. Misurare quindi l’impatto ambientale a partire dalla coltivazione del luppolo, per poi passare allo stabilimento, alla distribuzione fisica, al punto vendita, fino alla raccolta differenziata. Carlsberg è la prima azienda al mondo nel settore della birra a conoscere esattamente l’intero impatto ambientale. E dove l’industria delle bevande ha impatti enormi? L’azienda impatta per il 25% sul ciclo di vita del prodotto, il resto dell’impatto è al di fuori, è qui che si gioca la sfida futura del largo consumo: nella distribuzione fisica, nei sistemi di trasporto, nel packaging. Una delle rivoluzioni di Carlsberg in questo senso è il progetto della prima bottiglia al mondo in fibra di legno completamente biodegradabile.

Altra rivoluzione di Carlsberg, il fusto in PET. Il mondo della birra alla spina, racconta Frausin, ha vissuto 3 fasi: prima della seconda guerra mondiale la birra veniva distribuita in botti di legno, dopo la seconda guerra mondiale in fusti di acciaio dal peso di 10 kg cad.; è nato poi in Italia da Carlsberg il fusto in PET che pesa solo 200 gr e ha un enorme impatto in termini di qualità del prodotto visto che non richiede l’utilizzo della Co2 per la fuoriuscita della birra. È questa una ‘rivoluzione industriale’, ma è sostenibile dal momento che il fusto in PET diventa rifiuto industriale? Frausin si basa su semplici ma efficaci numeri: per fare 100 lt di birra occorre portare in fabbrica 75 kg di packaging, 175 kg escono poi dalla fabbrica e vanno nella rete distributiva dove si generano 75 kg di rifiuti. Con il fusto in PET entrano in fabbrica circa 2 kg, ne escono 103 abbondanti che generano 3 kg di rifiuti.  L’impatto evidentemente è enorme. Un impatto che deve essere certificato in maniera chiara e reale secondo standard europei condivisi.

2 km di futuro
Per Enrico Loccioni, presidente del Gruppo Loccioni, la partecipazione a Expo 2015, sia all’interno di Palazzo Italia che in Padiglione Italia tra i rappresentanti della regione Marche, diventa l’occasione per parlare della sua terra, alla quale lo legano le origini contadine e dalla quale il suo gruppo trae tutt’ora linfa vitale. Nei 2 km di futuro lungo il fiume Esino, all’interno di edifici ecosostenibili immersi nel verde delle vigne, che si alimentano grazie al sole, all’acqua e alla terra, vengono sviluppati da giovani con un’età media di 32 anni sistemi di misura e controllo qualità ad alto contenuto tecnologico che poi finiscono nei laboratori e nelle linee di produzione di grandi gruppi industriali in tutto il mondo.