Bottiglie in PET del tutto simili a quelle in vetro, caratterizzate da tappo corona, fondo piatto e decorazioni applicate direttamente sulla superficie, e design nuovi e accattivanti, ottenibili attraverso la progettazione congiunta di contenitore, etichetta e overpackaging: è la strada intrapresa da P.E.T. Engineering per farsi largo in un mercato dove ancora predomina il vetro.
Leggerezza, infrangibilità, minori costi di produzione e di trasporto, nessuna rottura in linea – e quindi nessun fermo in produzione – e possibilità di richiudere agevolmente le bottiglie una volta aperte: questi sono solo alcuni dei vantaggi legati all’utilizzo di contenitori in PET per il segmento birra, i quali, nonostante in una parte d’Europa vengano già ampiamente utilizzati, in Italia tardano ancora a decollare. L’ostacolo più grande alla loro diffusione sembra rimanere l’estetica. È quindi necessario per le aziende produttrici, affinché le loro bottiglie possano guadagnare quote di mercato rispetto a quelle in vetro, cercare di nobilitare il più possibile il PET, attraverso design nuovi e accattivanti, studiare preforme ad hoc, realizzare contenitori meccanicamente performanti e di qualità, essere competenti in fase progettuale, conoscere il comportamento dei contenitori in linea e, non per ultimo, il prodotto birra e le sue specifiche in termini di conservazione e shelf life.
Abbiamo affrontato l’argomento insieme a Elisa Zanellato, Marketing & Communication Manager di P.E.T. Engineering, azienda italiana protagonista nel mercato mondiale della progettazione e industrializzazione dei contenitori in PET.
Per quale motivo in Italia non si è ancora affermata la bottiglia in PET nel settore birre?
Si tratta principalmente di una barriera culturale. In Italia la cultura del vino e il suo lungo sodalizio con il vetro, che dura da più di 350 anni, ha creato nel tempo un atteggiamento di parziale rifiuto nei confronti delle nuove soluzioni, quali contenitori in tetrapak e plastica. Per la birra si è presentata, e si sta tuttora presentando, la stessa dinamica. La nostra vicinanza con la Germania, patria dei micro birrifici tradizionali, ha fatto sì che ereditassimo una sorta di snobismo verso tutto ciò che non è imbottigliato in vetro e che ci porta ad affermare, senza mezzi termini, che se il prodotto ‘non è in vetro, non è di qualità’. Se poi consideriamo che il PET è solitamente utilizzato per i prodotti destinati alla grande distribuzione e che nei negozi specializzati vino e birra sono sempre e solo presentati in vetro, è facile essere propensi a pensare che prodotto di qualità e contenitore in plastica siano due concetti inconciliabili. Speriamo di riuscire, in futuro, a far comprendere quali e quanti siano i vantaggi legati all’imbottigliamento della birra in contenitori in PET, così come è già accaduto per prodotti premium quali acque ‘gourmet’ e alcolici”.
All’estero questi contenitori hanno più successo?
La popolarità dei contenitori per birra in PET all’estero, in particolare in Russia, prima, e ora anche negli altri Paesi dell’Est, può essere descritta tramite un solo aggettivo: enorme. Il perché è semplice: i Paesi citati consumano grandi quantitativi di birra e i produttori hanno assecondato le abitudini dei loro consumatori immettendo nel mercato bottiglie da un litro e mezzo, due litri, due litri e mezzo e cinque litri. Non sarebbe stato certo possibile imbottigliare tali quantitativi in vetro, quindi si è optato per la plastica, che non solo è più economica, ma permette anche di imbottigliare 5 l in un contenitore di poche centinaia di grammi. Dopo anni di birra in grandi formati è stato facile, per gli imbottigliatori, proporre le proprie birre anche in taglie più piccole e ormai si può dire che l’utilizzo del PET sia da considerare del tutto sdoganato anche per i formati da un litro e che presto lo sarà anche per il mezzo litro. Tutto ciò è stato possibile grazie al lavoro svolto sin qui in termini di barriere, attive e passive, che evitano l’ingresso di ossigeno e la fuoriuscita di anidride carbonica, ma anche grazie alle attività di sviluppo di bottiglie sempre più accattivanti, di cui noi siamo attivi promotori, sempre più lontane da quell’idea cheap che, fino a poco tempo fa, veniva automaticamente associata alla plastica.
Quali sono i punti di forza di questo materiale?
I contenitori in PET sono infrangibili e richiudibili e, da sempre, più economici, leggeri e resistenti rispetto ai competitor in vetro. Oltre a questi punti di forza, poi, il PET si contraddistingue poiché dà la possibilità di realizzare qualsiasi forma e qualsiasi decorazione laddove il vetro e l’alluminio presentano forti limitazioni, sia per le loro intrinseche caratteristiche tecniche che, in particolare per il vetro, per gli alti costi di produzione. Il PET, al contrario, con investimenti ridotti consente di creare contenitori distintivi in grado di comunicare appieno i valori del brand, diversificando il prodotto in modo chiaro rispetto alla concorrenza: anche i produttori di medie e piccole dimensioni, quindi, possono permettersi di lanciare un proprio contenitore sviluppato ad hoc, cosa che, con il vetro, riescono a fare solo per i colossi del beverage, che ammortizzano i costi sui grandi volumi di produzione. È da considerare, infine, la forte personalizzazione che il PET permette grazie a tecnologie di embossment e debossment, attraverso le quali è possibile creare un numero pressoché infinito di texture e decorazioni, e grazie all’addizione di coloranti che fanno sì che per il proprio prodotto venga creato un colore assolutamente unico.
In che modo P.E.T. Engineering ha cercato di migliorare l’estetica dei suoi contenitori in PET per birra?
Dal 2002 abbiamo promosso diverse migliorie e cambiato radicalmente l’aspetto dei contenitori in PET, i quali, inizialmente, per resistere alla pressione interna generata dalla presenza di gas, consistevano in grossi cilindri con importanti fondi petaloidi. Oggi siamo arrivati a proporre contenitori che difficilmente possono essere distinti da quelli in vetro se non, ovviamente, prendendoli in mano e soppesandoli. Ultimamente le modifiche apportate alle nostre bottiglie sono nate, almeno da parte nostra, in risposta a un problema che si è presentato verso la fine del 2013 e che ha visto il PET in pericolo di estinzione per le bevande alcoliche nei territori della Federazione Russa. Una proposta parlamentare, infatti, ha sancito il progressivo ridimensionamento dell’utilizzo del PET per il confezionamento degli alcolici sopra i 4 volumi/litro, aumentando la tassa già applicata e penalizzando, così, i grandi formati: tutto ciò si è tradotto in un progressivo down-sizing dei packaging da parte degli imbottigliatori. Entro il 2016, se approvata, la legge impedirà il confezionamento di bevande alcoliche quali birra, sidro e kvass, in contenitori di capacità superiore al mezzo litro; a quel punto il PET, scelto dai produttori soprattutto per la sua economicità e la sua possibilità di imbottigliare grandi quantitativi, potrebbe subire, per la prima volta dopo 15 anni, un forte ridimensionamento e una altrettanto agguerrita concorrenza da parte degli altri materiali, in particolare del vetro. A parità di volume, sebbene resti il materiale più economico e leggero, l’utilizzo del PET potrebbe subire un brusco arresto a causa soprattutto dell’errata percezione che ne hanno i consumatori come di un materiale adatto a prodotti di massa e dal packaging di limitato valore estetico. Da qui il nostro impegno nella progettazione di contenitori in PET che assomigliassero al vetro, in modo che i produttori continuassero a vedere in essi bottiglie premium adatte alle loro birre.
Quali nuovi prodotti avete lanciato sul mercato recentemente?
Twins è la nostra ultima novità per il confezionamento della birra. Il packaging è nato proprio dall’idea di nobilitare il PET attraverso lo studio degli elementi accessori, quali etichetta e overpackaging, al fine di creare non singole shape ma sistemi prodotto in grado di riconfigurare la percezione della bottiglia in PET nella mente di imbottigliatori e consumatori finali. Twins è un piccolo formato dal profilo essenziale ma distintivo, fondo champagne e tappo a corona, e si configura come un’alternativa al vetro facilmente industrializzabile sulle linee di imbottigliamento. Il bi-pack contiene due bottiglie, ciascuna raffigurante un soggetto diverso – il luppolo e la spiga -, mentre la decorazione è stata applicata tramite tecnologia direct printing, che ricorda la stampa serigrafica comunemente utilizzata per le bottiglie in vetro e permette di stampare, su ogni singola bottiglia, un ornamento diverso, rendendola la tecnologia ideale per le serie limitate. Hero è un altro prodotto, identico a Twins tranne che per una caratteristica: invece di una stampa direct printing direttamente sulla superficie della bottiglia, le abbiamo applicato una full body sleeve color argento, che la fa assomigliare ai contenitori in alluminio attualmente sul mercato. Per quanto riguarda Royal, il nostro terzo prodotto pensato per questo segmento, si tratta di una bottiglia immediatamente industrializzabile caratterizzata da dimensioni e sistema di tappatura standard, dotata quindi del classico tappo in plastica utilizzato per le bottiglie di birra e i soft drinks; quello che la differenzia è la forma, particolare e inusuale.
Quanto è importante la competenza e l’expertise di settore in fase progettuale?
È fondamentale. Solo una visione completa dell’intero processo di produzione e una profonda conoscenza del materiale e del suo comportamento ci permettono di garantire contenitori performanti e di qualità. Tutto il nostro team è specializzato nello sviluppo di questa tipologia di contenitori, in particolare il reparto R&D, che ha una profonda conoscenza non solo dei materiali utilizzabili ma, soprattutto, dei processi produttivi e degli effetti che possono manifestarsi sul prodotto e sul contenitore. Un esempio: da poco abbiamo concluso una serie di test su alcune bottiglie per birra destinate al mercato nordafricano; la bottiglia in PET doveva subire un importante trattamento termico di pastorizzazione, passando dai 2-4°C del riempimento fino ai 62°C, temperatura che doveva essere mantenuta per 10 minuti. Grazie all’attenta progettazione di preforma e bottiglia e alla conoscenza dei materiali e della linea di imbottigliamento, il contenitore ha superato il test senza subire modifiche né nella forma né nelle prestazioni.
Quali sono le criticità più frequenti legate a progetti di questo tipo?
La birra è un prodotto particolarmente sensibile all’ingresso di ossigeno, che ne altera gusto e colore; la conoscenza dei materiali più adatti a preservarne le qualità è, quindi, fondamentale. A volte, però, tale conoscenza non è sufficiente ed è necessario andare oltre, indagando anche i rapporti tra tale materiale e gli altri aspetti progettuali. Un esempio è il difetto della delaminazione, che si presenta spesso in concomitanza con l’utilizzo di barriere multistrato (PET-Nylon-PET), in particolare in presenza di loghi o texture. Solo le competenze di designer, ingegneri e ricercatori possono, se utilizzate sinergicamente, evitare il problema, garantendo la creazione di contenitori che non solo siano in grado di contenere efficacemente il prodotto, ma possano anche divenire uno strumento al servizio del reparto marketing del cliente.
Prevedete, in un prossimo futuro, che il PET possa raggiungere la stessa diffusione del vetro nel settore, se non addirittura superarlo?
Sì, anche se siamo consapevoli che non sarà cosa semplice né nel nostro Paese né nella restante Europa occidentale. Ci sentiamo forti, però, dei nostri recenti successi, che confermano quella che è ormai una vera e propria tendenza, ossia la penetrazione del PET in campi che gli erano prima preclusi. Solo nel novembre scorso, infatti, abbiamo ricevuto il World Beverage Innovation Award per Devin – Crystal Line nella categoria ‘Best bottle in PET’, con la motivazione che la nostra bottiglia, ‘meravigliosamente progettata e somigliante a un contenitore in vetro premium, ha condotto il PET in un nuovo territorio’: una grande soddisfazione, oltre che un risultato davvero importante.