Gli intenditori più informati sanno che tra i gioielli dell’enologia italiana vi sono vini per i quali il processo d‘imbottigliamento non si esaurisce nei pochi istanti in cui il contenitore di vetro viene colmato e chiuso, ma si protrae a lungo nel tempo, anche per cinque anni. È quel che accade, ad esempio, con il Franciacorta DOCG “Palazzo Lana” Berlucchi Riserva, l’etichetta top di gamma del produttore lombardo che ha introdotto in Franciacorta lo spumante prodotto con il metodo classico, lo stesso utilizzato per lo Champagne. Un primato che ha permesso all’azienda di mantenerne negli anni un altro, quello della leadership di mercato nel segmento con circa 4,5 milioni di bottiglie prodotte ogni anno a Borgonato, in provincia di Brescia, nel cuore di una delle zone più vocate al mondo per la coltivazione delle uve più adatte a questo scopo.
La ragione del lungo e complesso processo d’imbottigliamento sta nell’ambizioso traguardo da raggiungere: un vino delizioso, brillante, dal perlage finissimo, ricco di profumi eccezionali e con un gusto che dona sensazioni uniche, per ottenere le quali è necessario applicare procedure particolari al pregiato vino che quando entra in bottiglia spumante ancora non è.
In Franciacorta, il territorio in cui è racchiusa l’area esclusiva per la produzione delle uve Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Bianco, le uniche con le quali è consentito produrre il Franciacorta Denominazione di origine controllata e garantita, si vendemmia tra metà agosto e metà settembre. È questo il periodo giusto affinché le uve non maturino eccessivamente sui filari, mantengano i loro aromi e non generino un grado alcolico troppo alto, tale da compromettere le caratteristiche organolettiche di cui si è alla ricerca.
«Anche la modalità di raccolta delle uve è tuttavia molto importante perché il frutto non deve rompersi – spiega Ferdinando Dell’Aquila, enologo della Guido Berlucchi – in caso contrario si innescherebbero fenomeni fermentativi non controllabili che inciderebbero negativamente sulla qualità del prodotto».
Ecco allora che la raccolta avviene a mano, ponendo Chardonnay e Pinot Nero (Berlucchi preferisce non utilizzare il Pinot Bianco) in cassette di plastica da 18-20 kg facendo sì che arrivino in cantina integre e il più velocemente possibile. Qui la spremitura è immediata, ma lenta e soffice, con presse la cui azione è delicata e graduale per ricavare il mosto-fiore che deve sgrondare con una certa rapidità, senza rimanere a lungo a contatto con le bucce e i raspi che potrebbero rilasciare sostanze tanniche non volute.
La prima fermentazione
È da questo momento che parte la prima fermentazione. «Che avviene alla temperatura controllata di circa 16°C per tre-quattro settimane in contenitori d’acciaio, tranne una porzione di mosto destinata alle versioni top di gamma che fermenta in barrique, piccole botti di rovere che cedono particolari sostanze che impreziosiranno ancora di più il Franciacorta», avverte Dell’Aquila. Il mosto, che in partenza ha all’incirca un proprio contenuto zuccherino di 170-190 gr/litro, diventa dunque al termine di questa prima fermentazione il vino base spumante, ancora fermo.
Dopo aver riposato per il periodo necessario a far precipitare le sostanze in sospensione ed essersi reso limpido (tre-quattro mesi), si è fatta primavera ed è l’ora che il vino base, trasformati gli zuccheri del frutto in alcol per l’11% circa del volume, sia imbottigliato con una particolarissima procedura detta tiraggio.
Per effettuare questa operazione al vino base si aggiungono dello zucchero e i lieviti che svolgeranno la seconda, lenta, fermentazione o rifermentazione. Aggiunti zucchero e lievito la bottiglia viene chiusa da una bidule di plastica e da un tappo a corona e posta a riposare in posizione orizzontale all’interno di speciali ceste metalliche. Il processo d’imbottigliamento è però lontano dal potersi dire concluso.
La presa di spuma
Il vino base entra, infatti, in una fase di lungo sonno, detta presa di spuma, durante la quale si sviluppa anidride carbonica e di conseguenza sale la pressione interna della bottiglia, sino a raggiungere le 5-6 atmosfere secondo la tipologia di spumante in elaborazione. L’effervescenza dei Franciacorta Berlucchi si crea come conseguenza dell’azione dei lieviti selezionati che si nutrono dei 24 gr/litro di saccarosio aggiunti in bottiglia nel caso ad esempio della Cuvée Imperiale, una delle diverse linee prodotte a Borgonato. I lieviti, che sviluppano l’anidride carbonica nel processo di produzione del metodo classico, non danno luogo solo al fine perlage ma alzano pure, come dicevamo, la gradazione alcolica dell’1,5% circa.
Il vino base, privo inizialmente di CO2, sale quindi dall’11% alcol a 12,5% e a 6 atmosfere per, ad esempio, l’etichetta Cuvée Imperiale Brut mentre se si lavora al Palazzo Lana Satèn, per il quale lo zucchero aggiunto si limita a 20 gr/litro, la gradazione finale sarà del 12% con 5 atmosfere di pressione, dando luogo a una sensazione più “setosa” al palato, con un che di leggerezza, finezza e cremosità.
L’ora del risveglio
Terminato il periodo di maturazione che trasforma il vino base, fermo, in spumante, è ora che esso si risvegli dal torpore. Le bottiglie vengono trasferite dagli angoli più remoti, silenziosi e bui delle vaste cantine Berlucchi a uno spazio dove i cestoni che le contengono vengono fatti ruotare e inclinare molto lentamente, a piccoli step, affinché la loro posizione diventi da orizzontale verticale nel giro di qualche settimana. È così che i residui dei lieviti si raccolgono per gravità all’interno della bidule, quella sorta di cilindretto cavo di materiale plastico che avevamo visto inserire nell’imboccatura della bottiglia prima che fosse sigillata col tappo a corona.
Separati con questa procedura, detta remuage, i residui dei lieviti dallo spumante, il pregiato vino s’avvia alla complessa linea lungo la quale prosegue e termina l’imbottigliamento iniziato anni prima. La serie di macchine è aperta dalla postazione Champagel dove due robot prelevano le bottiglie dai cestoni che le contengono immergendole in una capace vasca di raffreddamento che ha il compito di congelare il vino nella parte prossima al tappo a corona, dove i residui di lievito si erano accumulati in seguito al remuage.
La bottiglia con il collo ancora gelato viene quindi avviata alla decapsulatrice. Qui il tappo a corona viene fatto saltare automaticamente, la pressione interna del vino espelle il “ghiacciolo” che ha intrappolato i residui dei lieviti e la bottiglia continua il suo percorso entrando in una macchina “a tre stazioni”, la prima delle quali estrae una piccola quantità di vino, la seconda aggiunge la “liqueur d’expedition”, mentre la terza riporta il contenuto a livello. «È opportuno togliere e poi aggiungere del liquido perché al momento della ‘sboccatura’ non tutte le bottiglie reagiscono allo stesso modo. È sufficiente una lieve variazione di temperatura in cantina perché si perda una quantità diversa di vino, per cui è necessario provvedere a riportare a livello alla perfezione il contenuto con la macchina adibita a questa operazione. Scolmando e ricolmando siamo certi di avere in ogni bottiglia i 75 cl», spiega Dell’Aquila.
Eccoci arrivati all’inserimento del tappo a fungo con la tappatrice e al sistema di controllo della chiusura attraverso una fotocamera digitale che confronta quel che vede in quell’istante con ciò che ha ricevuto in memoria: se quel che incrocia il suo campo visivo è coerente con le istruzioni che ha ricevuto la macchina non reagisce, altrimenti allarma la linea. «Insomma è determinante l’uniformità del prodotto – continua l’enologo di Berlucchi – cioè che il tappo sia inserito correttamente, non troppo per non causare difficoltà al momento dell’apertura della bottiglia per il consumo, né troppo poco per il rischio che la gabbietta non lo afferri con la dovuta sicurezza con il pericolo che fuoriesca del vino».
Controlli di conformità
Eccoci appunto alla gabbiatrice che blocca saldamente il tappo alla bottiglia e poi a due stazioni di lavaggio, la prima per il lavaggio intensivo e la seconda per il risciacquo. Spiega ancora l’enologo: «Può capitare che qualche bottiglia durante la presa di spuma esploda, sporcando quelle che ha intorno. Eventuale polvere accumulatasi nel tempo se ne andrebbe con la semplice spruzzata d’acqua, ma i residui del lievito scagliati intorno dalla pur rara rottura di una bottiglia causano incrostazioni su quelle vicine che non è semplice eliminare. Da qui l’esigenza del lavaggio intensivo e poi del risciacquo seguito dall’asciugatura delle bottiglie».
Ma non è ancora finita. Al termine del tunnel di asciugatura interviene, infatti, la macchina che scuote le bottiglie per far sì che la liqueur aggiunta poco prima si distribuisca per bene all’interno del contenitore. La liqueur contiene tra l’altro degli zuccheri che non saranno divorati dai lieviti, non più presenti nella bottiglia, ma contribuiranno a conferire al prodotto alcune caratteristiche volute dal produttore per migliorarlo e distinguerlo dalla concorrenza. Terminata questa fase le bottiglie di Franciacorta lasciano la cantina con un nastro trasportatore che le porta al livello superiore. Qui avviene il confezionamento finale con l’applicazione della capsula (con la macchina incapsulatrice), della fascetta di Stato e del trittico di etichette composto da collarino, etichetta e retro etichetta.
Prima di essere riposte nella loro confezione, il cartone da sei bottiglie piuttosto che una scatola regalo per ricorrenze, le bottiglie passano in rassegna davanti a un’altra apparecchiatura elettronica che verifica il corretto allineamento delle etichette, la precisa disposizione della fascetta di Stato e così via. A questo punto sì che l’imbottigliamento dei Franciacorta Guido Berlucchi può dirsi terminato.