Grappaioli dal 1898, i Poli testimoniano con le loro grappe selezionate e di qualità la storia di un prodotto tutto italiano che ha nella forza del territorio, nella tradizione, nel sentimento e nell’esperienza di chi lo produce i suoi motivi d’essere. Con la quarta generazione familiare – quella di Andrea, Barbara, Giampaolo e Jacopo – c’è stata la svolta drastica, fisiologica, decisiva che ha traghettato l’azienda fuori dalle secche di una crisi cronicizzata per far vela verso un futuro roseo e ricco di soddisfazioni. Con le sue produzioni esclusive (da Sarpa, a Maria, a Cleopatra, ecc.), alcune nate da interessanti innovazioni tecnologiche, oggi l’azienda opera sia sul mercato nazionale sia all’estero esportando in oltre 50 Paesi e mantiene salda la rotta verso il futuro contando su autenticità, artigianalità, esperienza, sentimento e territorialità.
Jacopo Poli racconta l’azienda di famiglia.
Tutto cominciò da un’osteria, accanto alla stazione ferroviaria di Schiavon.
Quando la famiglia nel 1885 lascia l’Altipiano di Asiago, dopo una permanenza in quei luoghi di secoli, e approda a Schiavon, apre un’osteria, senza sapere che presto in quel luogo sorgerà la stazione della prima linea ferroviaria che unisce Bassano del Grappa e Vicenza. All’Osteria del Cappello – chiamata così perché nell’esercizio si vendono anche cappelli di paglia che la famiglia produce da generazioni – in attesa del treno si consuma vino, bevande e presto anche grappa. Nel 1898, il bisnonno, Giobatta Poli, acquista, infatti, il primo alambicco mobile (tutt’ora conservato nel Museo della Grappa di Poli Distillerie) che presto per ragioni fiscali dovrà essere istallato in sede fissa. Così, in un locale del grande casamento agricolo in cui vivono diverse famiglie, nasce la distilleria di famiglia, con un alambicco a tre caldaiette. Negli anni le caldaiette aumentano: quattro nel 1956, otto nel 1964 con mio padre, 12 attualmente con noi, quarta generazione di grappaioli.
L’azienda cresce
A fasi alterne, così come altalenante è stato nella storia il mercato della grappa. Sia durante la Prima Grande Guerra, sia durante la Seconda, l’azienda ha continuato a lavorare. Ai tempi il mercato era fortemente localizzato: ciascuna delle migliaia di distillerie dislocate sul territorio operava nel raggio di pochi chilometri. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, c’è stata la necessità di ricostruire. Sono gli anni dell’espansione produttiva, mio nonno aderisce alla fondazione dell’Associazione Industriali di Vicenza, amplia la struttura produttiva e acquista tecnologia: installa un impianto per la produzione di alcol, capace di rettificare fino a 96°, e uno per l’estrazione di olio dai semi di vinacciolo; impianti che affiancano l’alambicco per la produzione di acquavite. L’azienda sotto la guida di nostro nonno, cresce, si consolida, è fiorente. Arrivano però gli Anni ’60, quelli dell’industrializzazione della Grappa, dei grandi impianti in continuo. Le tante piccole distillerie presenti sul territorio, oltre duemila, non reggono l’onda d’urto e la maggior parte di esse viene spazzata via. La nostra azienda sopravvive, ma iniziano le difficoltà, complice anche il ricambio generazionale: mio nonno, nel lasciare ai figli, non dà mandati per la gestione dell’azienda e l’incompatibilità caratteriale tra i due fratelli, che ereditano l’attività, crea più di un problema. Non si fa innovazione, non ci si rende conto del brusco cambiamento del mercato. All’inizio degli Anni ’80, l’Azienda versa in una profonda crisi. Serve una svolta drastica, senza compromessi.
E qui entra in gioco la quarta generazione
Quando sono entrato in azienda la prima cosa che ho fatto è stata quella di ridurre drasticamente la produzione eliminando del tutto l’insilamento: oggi distilliamo la vinaccia freschissima via via che arriva nell’arco delle ventiquattro ore. Già questo ci ha permesso di produrre una grappa completamente diversa rispetto al passato. Ma non ci siamo fermati qui! Una conduzione più attenta dell’impianto di distillazione ci ha portato a effettuare maggiori tagli delle teste e delle code, eliminando così quei composti volatili indesiderati che inficiano sulla purezza del prodotto. Un terzo aspetto al quale ci siamo dedicati è stato poi quello impiantistico, abbiamo introdotto la distillazione bagnomaria tradizionale con caldaietta a vapore nel 2001, sottovuoto nel 2009, e in questo modo abbiamo differenziato il processo produttivo dando a ogni vinaccia, a ogni grappa la tecnologia che garantisca il miglior risultato. Oggi convivono in azienda i due impianti a bagnomaria e un alambicco tradizionale.
A ogni vinaccia il suo impianto
Non mi sento di dire che il bagnomaria sia meglio del classico alambicco a vapore, ciascuno esalta al meglio vinacce diverse. Lo testimonia una prova che abbiamo eseguito in azienda utilizzando, per la stessa materia prima, i tre impianti di distillazione. I prodotti ottenuti, molto diversi tra loro, dimostrano in maniera inequivocabile che ciascun impianto estrae i composti volatili in maniera diversa. Il sistema a vapore esercita un’azione meccanica di strippaggio più incisiva, va quindi più a fondo nella struttura cellulare della vinaccia, “strizza” fuori gli aromi con maggiore incisività: è ottimo quindi per grappe più intense, corpose, più definite, con una spiccata personalità. Il bagnomaria è, invece, un impianto che riscalda in maniera più lenta e dolce, estrae in maniera meno violenta: il distillato viene più rotondo, a volte peccando di note di cotto, molto più floreale, fine, pulito.
Con il bagnomaria nasce ‘Maria’, la grappa biologica
Secondo tradizione, l’antico metodo di distillazione a “bagnomaria” fu inventato da Maria Giudea, sorella di Mosé, da qui il nome che abbiamo dato a questa grappa ottenuta da uve coltivate in regime di coltivazione biologica. L’idea di una grappa “bio” nasce dalla necessità di sottolineare quanto Poli Distillerie sia attenta all’ambiente e sempre più si orienti verso produzioni sostenibili. Maria è una grappa ottenuta da vinacce di Merlot, Cabernet e Amarone, dal gusto caloroso, pieno, vigoroso, e con aroma di mosto, erba appena tagliata, giacinto.
Sempre dall’antichità arriva ‘Cleopatra’, grappa ottenuta dalla distillazione sottovuoto
Anche Cleopatra, come Maria Giudea, era un’alchimista. Un documento cartaceo, oggi conservato presso la biblioteca Marciana di Venezia e attribuito a lei, descrive per la prima volta un alambicco. Così abbiamo voluto collegare la nascita e il futuro della distillazione, perché di futuro si tratta quando parliamo di distillazione in bagnomaria sottovuoto, una tecnologia ancora sperimentale in Italia. Un sistema complesso di difficile messa a punto, che però per determinati vitigni dà risultati impagabili. È l’esempio di Cleopatra una grappa che produciamo nelle tre declinazioni Moscato oro, Prosecco Oro, Amarone Oro. Cleopatra Moscato Oro è ottenuta da vinacce di Moscato Fior d’Arancia e Moscato Bianco dei Colli Euganei, dall’aroma di prato fiorito, frutta fresca e agrumi, miele, pasticceria, questa grappa si caratterizza per il suo gusto morbido, pulito, molto elegante. Da vinaccia di uve Glera impiegata nella vinificazione del Prosecco di Valdobbiadene, nasce, invece, Cleopatra Prosecco Oro, una grappa delicata, pulita, fragrante, dall’aroma elegante di fiori e frutta gialla, con gradevoli note di erbe aromatiche e di vaniglia. Cleopatra Amarone Oro, infine, è una grappa ottenuta da vinaccia di Corvina, Rondinella e Molinara per Amarone di Valpolicella, dall’aroma di frutta secca, vaniglia e cacao, legno fresco lievemente tostato dal gusto morbido, sincero, intenso ma elegante.
Pensando a soli trent’anni fa!
Certo di strada se n’è fatta! Un tempo la grappa era un prodotto semplice, indifferenziato perché ottenuto da vinacce miste. Come è accaduto per il vino tra gli Anni ’70 e ‘80, quando abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione, così è avvenuto nella grappa: c’è stata la diffusione di grappe di monovitigno. Un’innovazione epocale che ci ha permesso di uscire dall’anonimato delle vinacce miste e di dare a ogni grappa maggiore identità, un profilo sensoriale più distinto, non dico riconoscibile ma, perlomeno, differente rispetto a grappe di altri vitigni. Con il monovitigno si è potuto notevolmente ampliare la gamma, anche se di monovitigno oggi si abusa con il rischio di confondere, per l’eccessiva offerta, il consumatore.
- Impianto di distillazione tradizionale: FRD, Tullio Zadra
- Bagnomaria classico: CID di Giuseppe Lusetti
- Bagnomaria sottovuoto: Iteco
- Riempitrice: MBF
- Tappatura ed etichettatura: Cavagnino & Gatti
L’innovazione è sempre positiva
Condivido in parte, penso però anche a quell’innovazione tecnologica che ha permesso di realizzare gli impianti di distillazione in continuo negli Anni ’60: spazzò via molte aziende artigianali, stritolate dalla dura legge della concorrenza. Fu un’innovazione troppo spinta che, di fatto, portò all’industrializzazione della grappa, privilegiando la marca a discapito di un background sociale, culturale, territoriale. Valori, questi ultimi, che fortunatamente, oggi sono stati recuperati. Penso che il prodotto debba rimanere ben saldo agli aspetti che, da sempre, lo hanno fortemente identificato: il territorio, i vitigni che quel territorio esprime, una famiglia o un distillatore che attraverso il prodotto grappa sa esprimere dei valori. È pur vero che a quel “sisma” qualcuno è sopravvissuto e ha saputo fare quadrato sugli errori, ha imparato a distillare meglio, sono nati così grappe più eleganti e fini che connotano oggi un mercato del distillato di bandiera così lontano da quello di cinquant’anni fa, un’acquavite che appaga i sensi più che riempire lo stomaco.
Ogni distillatore ha il suo modo di pensare la grappa. Voi?
Quello che facciamo noi oggi è di mantenere un legame molto forte con il territorio quindi parliamo di Veneto, di vitigni che il Veneto esprime, parliamo di una famiglia che ha nell’artigianalità, nella cultura e nella volontà di parlare di questi valori attraverso il suo prodotto, i suoi punti di forza. Per noi la grappa è un modo di raccontare il gusto delle cose ben fatte, buone. L’innovazione è pure importante, purché sia ben innestata su radici forti.
Tradizione e innovazione. ‘Sarpa’ è una grappa che esprime appieno questo blend vincente.
‘Sarpa’, che in dialetto veneto significa vinaccia, è una grappa che ho nel cuore. Prodotta da vinacce di Cabernet e di Merlot, Sarpa è stata pensata come un ponte tra la grappa del passato – quindi una grappa molto rude, rustica aggressiva – e la grappa del futuro, una grappa molto esile, elegante, raffinata, perfino eterea. Questa grappa ha i profumi della tradizione senza però averne i difetti, una grappa sincera, onesta, autentica che esprime i profumi vinosi dell’uva senza per altro essere aggressiva, ma nemmeno troppo morbida. Una grappa che non ti fa storcere il naso ma che ti fa venire la voglia di assaggiarla, un progetto che io avevo in mente già da quando ho cominciato distillare, all’inizio degli Anni ’80. Dalla profonda esperienza maturata con Sarpa sono nati progetti più complessi, arditi come Maria e Cleopatra.
L’invecchiamento è la prossima sfida?
C’è una richiesta crescente di grappe invecchiate. Attualmente proponiamo due grappe invecchiate a due e quattro anni, ma l’obiettivo è quello di aggiungere a catalogo una grappa con 10 anni d’invecchiamento. Con l’ampliamento della cantina e della barricaia dovremmo farcela in 3-4 anni. Una sfida ardua, perché proporre una grappa invecchiata di qualità non è così banale!
Qualcos’altro bolle in pentola?
C’è una grappa, alla quale abbiamo dedicato molte energie, che uscirà l’anno prossimo, ma non possiamo dire di più. Sempre nel 2015 proporremo una grappa Kosher che si chiamerà ‘Eve’. Una grappa prodotta in ossequio ai principi della Kashrut, le norme alimentari ebraiche.