A giusto merito Salvo Foti può essere considerato il paladino dei vini etnei, l’enologo che più di ogni altro ha saputo difendere e valorizzare una tradizione enoica millenaria
Il vino sull’Etna è storia millenaria che si perde in cronache e leggende antiche. Ne parlò Omero nella sua Odissea – il vino etneo, in grandi otri, servì ad ammansire il terrifi co gigante Polifemo; Ateneo, grammatico greco del II secolo dC, riferì che proprio sull’Etna venne piantata la prima vigna in Sicilia da Oresteo, re dei Locresi. Ancora: Catone nel suo De Re Rustica descrive quei Palmenti, le antiche cantine etnee, dei quali ancora è ricchissimo il catanese.
La storia è pregna di testimonianze che raccontano l’atavica tradizione enoica etnea; storie di uomini, di famiglie contadine ancorate a una terra diffi cile, faticosa, ma, nello stesso modo, generosa. Di questa ruralità oggi ne rimane l’eco, il ricordo, ma, pure la testimonianza viva alimentata dall’opera dei Vigneri, uomini che lavorano con maestria, come tradizione insegna, la vigna, non solo quella etnea. L’idea di rinnovare la tradizione dei Vigneri è venuta a Salvo Foti l’enologo che oggi più di ogni altro è espressione viva del vino dell’Etna, come la storia ce l’ha tramandato. Il vino e la coltivazione della vigna, da generazioni, fanno parte della famiglia Foti: Salvo, giovanissimo, s’iscrive alla scuola di Enologia di Catania, studia, approfondisce le conoscenze tecnologiche, applica la scienza a quel sapere enoico tramandato. Inizia un percorso diffi cile, controcorrente in anni in cui, anche in Sicilia, soffiano venti di rinnovamento che vogliono espiantare i vecchi vitigni autoctoni.
Salvo Foti, con il suo modo di far viticoltura ed enologia, crea un precedente che non passa inosservato. I suoi vini dai contenuti importanti – minerali, alcolici – meravigliosamente equilibrati, emozionano. Le mode passano, l’alloctonia lascia il passo alla valorizzazione dei vitigni autoctoni, l’idea enoica di Salvo Foti segna uno stile al quale non si può rimanere oggi indifferenti.
Un percorso difficile il suo, Salvo Foti, del quale raccoglie importanti soddisfazioni…
Sono figlio di viticoltori. Lo sono stati i miei genitori, i nonni, le generazioni passate… A un certo punto della mia vita, mio padre dovette emigrare; crebbi coi nonni e con loro passai molto del mio tempo tra le vigne. La campagna mi piaceva, il coltivare l’uva, vinificare… Ai quattordici anni m’iscrissi alla scuola di Enologia, ce n’era una a Catania, storica, nata con un Regio Decreto del 1881. Quegli studi furono il substrato sul quale attecchirono molte altre conoscenze, alcune maturate dal rapporto con insigni studiosi del settore e scienziati. Mi premeva di capire a fondo la nostra viticoltura, c’era una tradizione tramandata da generazioni, ma nessun confronto con la moderna scienza vitivinicola, con l’agronomia, la chimica, la microbiologia…
La ricerca viticola mi appassionò, volevo comprendere dal punto di vista enologico che cosa fosse un Frappato, un Nero d’Avola, un Caricante, vini che nella nostra terra sono sempre stati prodotti. Questi approfondimenti tecnicoscientifici furono utilissimi perché capii le vere potenzialità di un vitigno al di là delle mode.
Le mode enoiche…
Erano quelli gli anni dei vitigni internazionali, si pensava anche in Sicilia a espiantare il vecchio per varietà internazionali: largo agli Chardonnay, ai Cabernet Sauvignon, ai Merlot! Si voleva imporre un’enologia d’importazione. Tutto questo non aveva niente a che fare con l’enologia siciliana antica di secoli e secoli. Per fortuna le mode sono passeggere e alcuni anni dopo si riprese il senno!
Lei fece la sua parte nel difendere la tradizione enoica siciliana.
Sentii affermare da enologi di fama mondiale che il grande problema della Sicilia erano il Mascalese, il Caricante…, i vitigni autoctoni. Pensai: se da migliaia di anni si coltivano sull’Etna questi vitigni qualche motivo ci sarà! Feci indagini approfondite, ragionai partendo da situazioni storiche e culturali; le analizzai sotto la lente delle mie conoscenze tecnicoscientifiche. I tempi non furono brevi perché quando si parla di viticoltura tutto si dilata notevolmente, anche per la più semplice selezione massale! Da una delle molte ricerche condotte, per esempio, emerse che l’alberello Mascalese se coltivato con i nuovi sistemi a spalliera, con sistemi di forzatura e irrigazione, produceva un’uva e da essa un vino di qualità notevolmente inferiore.
In un’altra si evidenziò come i vitigni autoctoni etnei raggiungessero la loro migliore espressione nel contesto pedoclimatico nel quale si erano evoluti sintetizzando alcune sostanze polifenoliche e antocianiche diversamente non presenti. I risultati confermavano sempre più la validità dell’enologia siciliana. Abbandonare alla leggera quell’ecosistema perfetto frutto di un sapere antico, in nome di una moda, di una tendenza sarebbe stato imperdonabile e fatale. Quella moda si rivelò una chimera e oggi tutti acclamano il Mascalese, il Caricante e gli altri vini etnei.
La sua idea coraggiosa fu sposata da Giuseppe Benanti.
Non avrei mai pensato che un imprenditore potesse sposare un’idea così “conservatrice”: riprendere una tradizione atavica e investire in essa risorse. Benanti accettò di buon grado, poco propenso alla nuova enologia che si stava affermando. Con lui ci fu la possibilità, anche economica, di proseguire nel mio progetto di valorizzazione della vitivinicoltura etnea. In quegli anni avviai anche la commercializzazione del vino prodotto nell’azienda di famiglia, piccole produzioni rimaste tali; toccherà in futuro ai figli svilupparle, se lo riterranno opportuno.
Parlava di ecosistema. L’uomo ne fa parte.
Abbiamo parlato di vitigni autoctoni evolutisi in un contesto pedoclimatico che li esalta. Ma chi alleva la vigna? L’uomo autoctono, quello che da sempre popola quella terra, la conosce, ne fa parte, è latore di un sapere contadino tramandato di padre in figlio che permette di realizzare l’eccellenza in un vino, già a partire dalle uve con le quali verrà prodotto. Da questa convinzione nasce l’idea di formare dei professionisti del vigneto.
[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=””]Le scelte tecnologiche del Consorzio I Vigneri
Linee di imbottigliamento: Alfatek, 2 da 5.000 bottiglie/ora, 1 da 2.000 bottiglie/ora
Diraspapigiatrice: Vaslin e Scharfenberger
Pressa pneumatica: Willmes e Scharfenberger
Pompe peristaltiche: CWM srl
Pompe mohno: CSF Inox
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