La Casa vinicola Aldo Rainoldi è stata fondata nel 1925 da Aldo Rainoldi commerciante di alimentari che a un certo punto della sua vita decide di concentrare l’attività solo sul vino. Da allora la ditta, che ha sede a Chiuro nel cuore enologico della Valtellina, ha fatto grandi passi e con l’ingresso in azienda di Giuseppe, figlio del fondatore, comincia a prendere forma. L’offerta della cantina viene via via diversificata e gradualmente all’attività di commerciale è affiancata una struttura produttiva solida, garantita da circa 9,6 ettari di vigneto di proprietà e da una fitta rete di piccoli viticoltori-conferitori costantemente monitorati. Il risultato è la produzione annuale di circa 200.000 bottiglie. Attualmente Giuseppe è affiancato dal nipote Aldo, enologo (figlio di un fratello di Giuseppe) a cui abbiamo rivolto alcune domande.
La vostra produzione quali vini comprende?
La produzione è ovviamente incentrata sul vitigno guida della Valtellina, quella Chiavennasca che è parte della nobile famiglia dei Nebbioli e garanzia di identità oltre che di risultati. Credo che la Chiavennasca, o il Nebbiolo se vogliamo semplificare, sia la più grande eredità, insieme ai terrazzamenti, che i nostri predecessori ci hanno consegnato. Si comprende quindi come la nostra produzione veda ai vertici i classici dell’enologia valtellinese. Lo Sfursat (in primis la versione Fruttaio Cà Rizzieri), le sottozone Sassella, Inferno e Grumello nelle versioni classico e riserva. Abbiamo negli anni affiancato a questi prodotti più tradizionali, una versione spumante metodo classico che sta riscuotendo grande successo essendo prodotta a partire da uve nebbiolo. Inoltre, abbiamo in assortimento due vini bianchi di collaudata qualità, ma l’obiettivo per noi è sempre molto chiaro: produrre grandi rossi che possano coniugare eleganza e longevità ma soprattutto raccontare qualcosa della nostra viticoltura.
La viticoltura valtellinese vien definita eroica per le difficoltà di lavorare terreni scoscesi e impervi. Anche le rese risentono di queste difficoltà dovute al territorio? Voi vi sentite eroi?
La viticoltura valtellinese è certamente eroica ma definirla unicamente così sottrae qualcosa agli sforzi fatti in questi anni sia in cantina sia in vigneto per migliorare un prodotto già di per sé ricco di potenzialità. Direi che i vini valtellinesi sono prima buoni e poi, ma soltanto in un secondo tempo, si identificano con una viticoltura di montagna che riveste un ruolo di tutela paesaggistica oltre che sociale non trascurabile. Eroica sì ma non soltanto. Se fossero vini banali, la nostra viticoltura dovrebbe già essere scomparsa. Se lo facciamo vuol dire che le cose difficili ma di valore hanno ancora molte carte da giocare.
Lo Sfursat è uno dei vostri vini di punta. Come lo si ottiene?
È un vino prodotto con uve Chiavennasca fatte appassire in ambienti freschi e ventilati per un periodo di circa tre mesi, in funzione anche del meteo autunnale. Durante l’appassimento, non soltanto l’uva affronta un calo ponderale stimato intorno al 32-35%, ma all’interno dell’acino avvengono fenomeni di trasformazione di molte delle componenti principali della buccia che aggiungono complessità al vino. È il motivo per cui ritengo si tratti di un vino entusiasmante, non ancora sufficientemente valorizzato: uno dei pochi vini in grado di condensare struttura ed eleganza, lunghezza e rotondità, bevibilità e longevità. Ne produciamo due tipologie: lo Sfursat classico (appassimento presso la sede aziendale a 220 m s.l.m.) e il Fruttaio Cà Rizzieri (le cui uve vengono lasciate appassire nel più alto dei due fruttai, casa Rizzeri).
Come è organizzata la vostra struttura commerciale? E le esportazioni come vanno in questo periodo di crisi economica?
Il 70% della produzione è destinata al mercato italiano mentre il restante 30% raggiunge l’estero. La Valtellina ha tuttavia un mercato prettamente regionale, al di fuori della Lombardia i numeri si fanno via via più piccoli. Per quanto riguarda l’estero, stiamo cercando di incrementare questa quota pur con grosse difficoltà connesse alla dimensione della nostra azienda ma anche alla giungla burocratica oltre che alle barriere commerciali più o meno palesi erette da alcuni Paesi extra-UE. In ogni caso il principale sbocco estero è rappresentato senza dubbi dagli Stati Uniti d’America.
Anche l’imbottigliamento è una fase produttiva importante. Quali macchine usate e quanti addetti sono coinvolti?
L’imbottigliamento è certamente una delle fasi del processo più delicate soprattutto per un vino come il nostro a base Nebbiolo particolarmente soggetto alle ossidazioni e non troppo ricco di pigmenti antocianici. Utilizziamo una riempitrice GAI dotata di risciacquo della bottiglia con acqua microfiltrata prima del riempimento, in grado di iniettare un gas inerte (azoto di norma) prima del riempimento e di controllare il livello nella bottiglia mediante reintegro in campana del vino in eccesso. Sulla stessa macchina è presente il tappatore in grado di creare il vuoto. Essendo i nostri vini destinati a un affinamento in bottiglia più o meno dilatato, da diversi anni distinguiamo le operazioni di imbottigliamento da quelle di confezionamento. Per l’imbottigliamento sono necessari sempre due operatori (uno per il carico sul nastro trasportatore delle bottiglie ed uno addetto al riempimento delle ceste). Il terzo operatore ha il compito di rifornire il punto di carico e di vigilare sul corretto funzionamento del macchinario.
Sul fronte della tutela dell’ambiente e del risparmio energetico come vi rapportate?
Già da tre anni abbiamo ridotto il peso delle bottiglie utilizzate. Tutti i cartoni che impieghiamo per imballare le bottiglie sono prodotti con carta riciclata non trattata e da ultimo alcune delle etichette che usiamo per alcuni vini come il Rosso di Valtellina doc sono di carta riciclata non trattata. In vigneto da sempre adottiamo l’inerbimento sulla fila (il diserbo è ammesso soltanto sotto la fila), la concimazione è di natura organica salvo particolari situazioni di carenza in cui sono necessari degli ammendanti e tutti i trattamenti vengono eseguiti seguendo le direttive di legge.
Le etichette sono il vostro biglietto da visita, come le avete scelte?
Tutte le etichette dei vini riserva sono il frutto di uno studio dei colori dell’autunno valtellinese. Il lavoro benché datato – risale, infatti, ai primi anni ’80 – è stato di tale successo che sono stati fatti solo limitati restyling senza però mai stravolgere il progetto iniziale. Più di recente abbiamo invece rinnovato completamente la veste grafica dei nostri vini classici Sassella, Grumello, Inferno.
Ci siamo affidati a un grande esperto: Renato Grasso. La nuova etichetta riproduce un’incisione rupestre rinvenuta in comune di Chiuro risalente a un’epoca intorno al 2200-1800 a.C.
Nicoletta Morabito