Ventisette vendemmie in Ca’ del Bosco, Stefano Capelli è oggi il custode di uno stile e di un metodo di lavoro capaci di regalare vini inimitabili per finezza degli aromi e fragranza, per i quali la casa vinicola franciacortina è conosciuta.
Quando André Dubois, rinomato “chef de cave” di case leggendarie dello Champagne, da Taittinger a Moët & Chandon, voluto da Maurizio Zanella alla guida tecnica di Ca’ del Bosco, scomparse improvvisamente, Stefano Capelli, enologo ancora giovanissimo, si ritrovò a gestire l’ormai conosciuta cantina franciacortina. Era il 1990. Lo stesso giorno in cui morì, Dubois avrebbe dovuto iniziare il tradizionale tirage delle bottiglie insieme a Stefano, l’allievo prescelto al quale aveva trasmesso le preziose conoscenze di una vita e un metodo di lavoro che Stefano Capelli ha saputo custodire, sviluppare e trasmettere. Metodo che permea e sottende ancor oggi il lavoro del team di Ca’ del Bosco e che rappresenta l’importante valore aggiunto di questa casa vitivinicola. Sono passati più di vent’anni da quel passaggio di testimone, da caparbio e appassionato enologo Stefano Capelli ha saputo metabolizzare e dare un seguito significativo a quelle conoscenze scrivendo importanti pagine della casa viticola franciacortina.
Stefano Capelli, il maestro, André Dubois, un giorno la scelse per trasmetterle il sapere enologico di una vita…
Gli anni trascorsi con André rimangono indimenticabili. Con lui in cantina, tra i vigneti della Champagne e della Franciacorta, maestro silenzioso e attento… Dubois non mi trasferiva il suo savoirfaire a tavolino, con la sua ricetta scritta, ma direttamente in cantina, mentre lavoravo. Osservava il mio lavoro e, se tutto era svolto correttamente, passava anche una giornata intera senza dirmi nulla; allo stesso tempo, il maestro era sempre pronto a interrompere improvvisamente il suo lungo silenzio non appena riteneva che dovesse darmi qualche nuovo insegnamento. André era convinto che un enologo non avrebbe mai potuto diventare un vero chef de cave, un leader, senza prima aver praticato a fondo il lavoro di cantina. Questo significava lavorare gomito a gomito con i cantinieri e vivere in prima persona ogni fase dell’elaborazione. L’incontro con Dubois fu assolutamente aleatorio. Il caso volle che Mario Gamba, cugino di famiglia, lavorasse come maître in un rinomato ristorante in Germania dove Maurizio Zanella aveva portato i suoi vini, nel suo infaticabile intento di promuovere le sue produzioni. Avevo un diploma di perito agrario in tasca e Mario mi consigliò di propormi in Ca’ del Bosco: lavorare in un’azienda vitivinicola mi attirava parecchio… L’incontro apparentemente non portò risultato, Zanella cercava un enologo da affiancare al maestro francese, io quella qualifica non la possedevo. Zanella si mostrò, tuttavia, costruttivo consigliandomi di continuare i miei studi. A Conegliano, nel 1986 mi specializzai in enologia e con il diploma in mano bussai nuovamente alla porta di Ca’ del Bosco.
Il posto di enologo era ancora vacante?
No! Purtroppo era già stato scelto un neolaureatoamericano… Per premiare però la mia determinazione, soddisfatto forse del fatto che avevo dato seguito al suo consiglio diplomandomi, Zanella mi propose uno stage. In qualità di cantiniere cominciai così a lavorare in Ca’ del Bosco.
C’era il francese, l’americano e… il bergamasco.
Non so come fu ma il bergamasco ebbe la meglio sull’americano! Dubois notò la mia voglia di fare, la mia determinazione e mi volle al suo fianco.
Ca’ del Bosco era, a quel tempo, un’azienda emergente.
All’inizio degli anni 80 Ca’ del Bosco si stava affermando con i suoi Franciacorta e Maurizio creò i primi top wines dell’azienda: lo Chardonnay, il Pinéro e il vino taglio bordolese a cui diede il suo nome, il “Maurizio Zanella”. S’iniziavano a produrre dei Franciacorta “di spessore”, si raccoglievano i primi significativi frutti del lavoro svolto da Dubois dal 1979. Nel 1986 Ca’ del Bosco conduceva 50 ha vitati per una produzione intorno alle 350 mila bottiglie; i dipendenti erano poco più di una decina. Oggi i numeri hanno tutt’altro peso con 1 milione e mezzo di bottiglie all’anno, 160 ha di vigneti e un team di oltre 100 persone.
Anche la Franciacorta era una realtà emergente.
Sappiamo che la viticoltura nelle nostre terre fu portata dai romani, ma per tutto il Medioevo fino al secondo Dopoguerra rimase un’esclusiva dei nobili locali. I contadini del luogo trovavano meno faticoso e più redditizio lavorare le terre di pianura confinanti con le nostre colline. In Franciacorta la storia enologica è stata scritta negli ultimi cinquant’anni da imprenditori che ben sapevano il valore di un investimento e l’importanza di procedere per obiettivi e per risultati. La sfida è stata ardua ma due dei tre ingredienti fondamentali del produrre buon vino − histoire, terroir, passion − c’erano. Mancava sì la tradizione enologica, ma il terroir franciacortino si dimostrò presto straordinario e la mancanza di storia fu compensata dalla forte passione, dalla voglia di emergere e di far parlare delle proprie produzioni. Per pionieri come Zanella, la passione è stata una sorgente emotiva che ha stimolato il suo modo di fare le cose, di pensare diversamente. Dubois portò in Ca’ del Bosco quelle conoscenze enologiche quella tradizione che mancavano, costruì le basi, le solide fondamenta sulle quali l’azienda si è in seguito sviluppata.
Dal 1990, alla guida della cantina di Ca’ del Bosco.
Con Maurizio Zanella abbiamo cercato di portare avanti da soli il nostro modo di lavorare e di svilupparlo al meglio partendo dagli insegnamenti che Dubois ci aveva trasmesso. Quello che ha animato il nostro modo di crescere è la volontà di raggiungere uno stile nelle nostre produzioni, di affermare un profilo del vino che fosse la miglior espressione “in classico” delle varietà Chardonnay e Pinot Nero su questo territorio. Ritengo che il lavoro svolto negli ultimi anni abbia dato i suoi frutti, portando risultati concreti, significativi e riconosciuti.