Intervista

Qual è la confezione giusta per l’olio?

Preservare il prodotto dalle reazioni ossidative è fondamentale per mantenere il livello qualitativo dell’olio di oliva. La scelta del packaging ha un ruolo importante.

Nella conservazione dell’olio d’oliva il problema principale è l’irrancidimento, dovuto alle reazioni di degradazione ossidativa, accelerate dalla presenza di luce. Analizziamo quindi le diverse opzioni di packaging in funzione di questo parametro con l’aiuto di Giovanni Lercker, del dipartimento di Scienze dei Prodotti Agro-Alimentari dell’Università di Bologna.

Professor Lercker, come si è evoluto il packaging dell’olio?
In passato le confezioni più diffuse erano le latte da 3 o 5 litri, poi ha preso piede il vetro, anzitutto in bottiglie da 1 litro, poi nel formato da 0,75 litri. Anche sul colore del vetro c’è stata un’evoluzione, da quello trasparente si è passati anche al verde o marrone. L’uso del vetro si è affermato perché i consumatori vogliono vedere l’olio al momento dell’acquisto e, poiché il principale indicatore per capire se un olio è veramente da olive è il colore verde, il vetro doveva essere trasparente. Purtroppo, però, basta aggiungere un po’ di clorofilla per far diventare verde qualunque tipologia di olio, per cui la possibilità di vederne il colore dà in realtà solo una falsa sicurezza al consumatore. Quello che è reale, invece, è che la luce accelera il danno ossidativo e quindi l’irrancidimento dell’olio. Partendo da questo presupposto, seppure con fatica, sono quindi riuscite ad affermarsi le bottiglie in vetro scuro, anche se neppure loro sono in grado di schermare completamente la luce.

Venendo all’oggi, cosa c’è di nuovo sul fronte dell’imbottigliamento?
Oggi la vera novità è negli impianti: si sta diffondendo, per lo stoccaggio dell’olio pre-confezionamento finale, l’utilizzo di cilindri in cui viene insufflato azoto dal fondo, che sale saturando il tank e sostituendo l’ossigeno. In questo modo quando vengono riempite, l’olio non ha contatto con l’ossigeno prima dell’imbottigliamento e si conserva nelle condizioni ottimali, almeno fino a quel momento. Ricordo che è dal momento dell’imbottigliamento che parte il computo dei 18 mesi di shelf-life per l’olio, ma ormai anche in questa fase è consolidato il riempimento dello spazio di testa con una goccia di azoto liquido. In questo modo l’olio viene protetto dalle reazioni di irrancidimento fino a quando la confezione è sigillata.

Può spiegarci meglio la questione delle reazioni ossidative?
L’ossigeno reagisce con le molecole di acidi grassi insaturi che compongono l’olio, provocandone l’irrancidimento. Quando si confeziona l’olio, se non si usa azoto liquido nello spazio di testa della bottiglia, resta una quantità residua di ossigeno che reagisce con l’olio stesso. Una volta esaurito questo ossigeno, le reazioni si interrompono e l’olio resta stabile fino all’apertura della bottiglia. A questo punto la situazione è più complicata, perché a ogni riapertura della bottiglia si rinnova la quantità di ossigeno presente nella confezione e di volta in volta ripartono le reazioni ossidative: se la confezione è grande e il consumatore impiega troppo tempo per esaurirla, alla fine avrà solo olio rancido. Il processo è peggiorato dalla luce, non solo quella solare, ma anche quella del neon che illumina le corsie dei supermercati. La luce eccita le molecole di ossigeno, con l’aiuto del mediatore fotosensibilizzatore, portandole a un livello energetico superiore. Ciò accelera di circa 30.000 volte la velocità delle reazioni ossidative, rispetto a quello che avverrebbe con ossigeno allo stato fondamentale. La fotosensibilizzazione, oltretutto, è accelerata da alcune componenti dell’olio, come le clorofille e le xantofille. I caroteni, invece, sembrano avere un effetto protettivo.

Detto questo, come deve essere il packaging ideale per l’olio d’oliva?
Io sceglierei la tipologia di confezione che rallenta il più possibile l’azione di fotosensibilizzazione dei pigmenti presenti nell’olio: quindi maggiore è il potere schermante, meglio è. Il vetro scuro non è il massimo quanto a efficienza, perché comunque riduce solo del 30% l’assorbimento della luce. Penso che la soluzione migliore sia la bottiglia rivestita da un film metallico, che consente la massima schermatura. Certo i costi di un sistema simile sono alti, per cui quando vedo bottiglie di olio vendute sottocosto, magari con il prezzo al pubblico che copre appena il costo della bottiglia all’imbottigliatore, non posso fare a meno di pormi qualche domanda sulla qualità dell’olio stesso! Si potrebbe anche pensare a una bottiglia di vetro con sleeve in plastica coprente, a patto che si dimostri che non è permeabile alla luce al neon.

Ma la latta non può essere un sistema valido?
Certo che può esserlo, soprattutto perché negli anni la qualità della latta è migliorata: viene, infatti, realizzata in un unico metallo e senza saldature. La saldatura è la parte più delicata di questo pack, perché promuove lo sviluppo di corrosione e libera ferro in forma ionica, che catalizza il processo di degradazione ossidativa dell’olio all’apertura delle confezione. Evitando le saldature tra metalli diversi questo problema è scongiurato.

E quanto alle bottiglie di PET, che cosa ne pensa?
La plastica è sicuramente un packaging comodo: è leggero, non si rompe, ma sinceramente lo eviterei per un prodotto come l’olio, in quanto poche sono le confezioni in plastica impermeabili all’aria. Per avere le sue proprietà di elasticità e flessibilità, infatti, il Pet ha bisogno di additivi, i plastificanti, senza i quali la plastica risulta rigida e friabile, fragile. Non a caso, con l’andar del tempo, quando perde queste componenti la plastica “invecchia”, si screpola e si irrigidisce. Insomma perde tutte le proprietà che ne rendono l’utilizzo vantaggioso . Il problema è che i plastificanti contengono ftalati che sono – purtroppo – molto solubili in olio. Queste molecole (si tratta di esteri) sono ormai ubiquitari e purtroppo sono sospettati di avere degli effetti negativi sugli organi riproduttivi. Purtroppo già rischiano di finire nell’olio perché guarnizioni, tubi e raccordi in materiale plastico degli impianti di trasformazione e di imbottigliamento ne contengono. Meglio quindi evitare di aggravare la situazione confezionando l’olio in bottiglie di Pet.

A queste sue osservazioni, un operatore del commerciale o del marketing potrebbe obiettare che il vetro non è la soluzione migliore per esportare olio d’oliva in mercati lontani e poco avvezzi all’uso di questo condimento…

Io affronto la questione dal punto di vista dell’esperto di alimenti, non del manager di un’azienda, ma mi rendo conto che trasportare il vetro è sicuramente più complicato – per il rischio di rottura – e costoso – per il peso – rispetto, per esempio, alla plastica, soprattutto se si tratta di distanze molto lunghe. Ciò non cambia però le mie considerazioni sulle performance dei vari imballaggi. Pensate a cosa succederebbe se, con l’andar del tempo, emergessero in questi Paesi problemi di salute legati al consumo di olio di oliva confezionato in bottiglie di plastica? Sarebbe un enorme autogol anche in chiave di marketing. Se un’azienda pensa di esportare grossi quantitativi, penso che le convenga esportare l’olio nei cilindri di cui le parlavo poc’anzi e confezionare in loco, o appoggiandosi a un imbottigliatore locale o addirittura aprendo un impianto di imbottigliamento proprio. Solo così si può essere certi di esportare un olio che esprima al massimo il proprio potenziale. A proposito di qualità, se ci si rivolge a mercati “vergini”, dove l’olio di oliva è poco conosciuto, va considerata un’altra questione. Se i primi oli di oliva ad arrivare in questi Paesi prodotti avranno un gusto tendente al rancido, perché imbottigliati con sistemi non ottimali, assoceranno a quel gusto il sapore dell’olio di oliva e rifiuteranno gli oli di qualità, qualora arrivassero sul mercato.

In conclusione che cosa suggerirebbe a un imbottigliatore di olio in merito al sistema di confezionamento?

Tenendo bene a mente l’importanza di preservare il più possibile le caratteristiche dell’olio di oliva, anche dopo l’apertura, io inviterei i produttori a investire nel comunicare ai consumatori l’importanza di acquistare l’olio in contenitori dimensionati al loro utilizzo reale. È inutile prendere una latta o una bottiglia da un litro se si è single e si mangia spesso fuori. Certo, si risparmia, ma alla fine si usa olio rancido. Una famiglia più numerosa che consuma molto olio lo può fare. Prendiamo esempio da quello che è successo in altri mercati: per i piatti pronti o i preaffettati l’uso delle monoporzioni è ormai consolidato, anche se il prezzo al chilo di questi prodotti è più alto delle confezioni risparmio. Bisogna che il settore oleario si impegni a creare le basi affinché anche nell’olio diventi naturale acquistare formati piccoli da parte di chi ha consumi scarsi.

 

Matilde Martini

2 Commenti

  1. Gradirei saper quanto può essere conservato l’olio d’oliva in fusto in acciaio inox a chiusura con tappo a vite e guarnizione in gomma. L’olio viene prelevato nel tempo da un rubinetto sempre inox. Ringrazio per le informazioni

  2. molto interessante, specialmente per quanto riguarda l’argomento delle bottiglie di plastica che contengono ftalati molto pericolosi per la salute

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