Insieme a Teo abbiamo parlato di Baladin, ma anche del mondo birra artigianale in un contesto di mutamento dei mercati e dei consumi
Dopo il successo incredibile della campagna di equity crowdfunding conclusasi lo scorso anno con oltre 2,5 milioni di euro raccolti in meno di 24 ore dal lancio sulla piattaforma Mamacrowd grazie al coinvolgimento di 2.197 investitori (la cifra finale raccolta è pari a 5 milioni di euro, record europeo per una campagna di crowdfunding), Baladin ha dato il via al proprio piano di sviluppo al 2028 che prevede una crescita del fatturato, la creazione di un ciclo dell’acqua circolare attraverso la costruzione recentemente avviata di un pozzo, e l’avvio di Open Hub, il primo birrificio condiviso d’Italia.
Partiamo proprio da Open Hub
«Open Hub è una parte importantissima del progetto di equity crowdfunding. Open Hub nasce con l’idea di raggiungere due obiettivi: da un lato, ristabilire la fiducia da parte del mondo dei distributori nei confronti del mondo della birra artigianale; dall’altro, creare una linea di birra artigianale che vada a posizionarsi sulle spine dei pub, dove, ancora oggi, il “monopolio” è appannaggio delle birre internazionali. Ecco allora l’idea di creare un birrificio condiviso scegliendo 5 birrifici partner che rientrano nella top ten dei birrifici artigianali italiani e tra cui corre un legame molto positivo anche dal punto di vista umano, fondamentale quando si parla di collaborazioni. Abbiamo lavorato tutto il 2024 investendo sotto diversi aspetti: la messa a punto delle modifiche necessarie agli impianti produttivi, la realizzazione di una linea di confezionamento in fusto, e la costruzione di una rete vendita dedicata allo sviluppo del progetto Open Hub.
I 5 birrifici partner, oltre a Baladin, sono Altavia, Ritual Lab, Birrificio MC77, Birrificio Perugia e Birrificio Opperbacco, ognuno interprete di 5 stili canonici: Italian Pils, Italian Bock, Blanche, Pale Ale e American IPA, a cui si aggiungono i due stili Baladin, Blond Ale e Strong Amber Ale. Una regola condivisa: utilizzare solo malti italiani e almeno il 50% di luppoli coltivati in Italia.

Siamo entusiasti e molto ottimisti perché abbiamo avuto un’ottima risposta da parte dei distributori, così come dei pub che hanno colto e compreso l’opportunità di questo progetto in termini sia di efficientamento che di semplificazione, oltre al fatto che i birrifici partner, pur nella loro indipendenza, hanno dimostrato completa fiducia in Baladin in qualità di coordinatore del progetto.
Il nostro obiettivo era raggiungere i 6.000 hl a fine 2024, il progetto ha preso il via con un po’ di ritardo per questioni burocratiche, ma puntiamo a superare i 12.000 hl nel 2026. Sono convinto che la direzione sia centratissima e puntiamo, nello sviluppo futuro del progetto, a inserire altri birrifici che vogliano diventare partner di Open Hub per ampliare gli stili e quindi la gamma, far crescere la visibilità in generale del mondo birra artigianale così come anche dei singoli birrifici partner, e creare affezione al prodotto artigianale da parte dei clienti dei pub».
In quale contesto si inserisce il lancio della linea analcolica Botanic? E quale, in generale, il ruolo della birra analcolica oggi all’interno del mercato craft?
«Abbiamo iniziato con un progetto di ricerca 5 anni fa, testando 3 referenze per un anno. È stato un lungo percorso dovuto al fatto che, non potendo pastorizzare, ci siamo trovati ad affrontare un processo produttivo estremamente delicato quando si parla di un grado alcolico al di sotto dello 0,5% che ha previsto una serie di protocolli e controlli qualità estremamente rigorosi, con attenzioni dal punto di vista dell’igienicità oserei dire folli. Le birre analcoliche della linea Botanic vengono prodotte secondo la tecnica di fermentazione classica con ceppi di lievito Saccharomyces cerevisiae, senza processi di dealcolazione.

Il mercato ha appetito di birre analcoliche speciali – che poi l’essere speciale è la natura stessa della birra craft – e qui abbiamo deciso di inserirci, cogliendo questa esigenza e in considerazione del fatto che le birre analcoliche prodotte dall’industria sono principalmente lager. Sicuramente non dobbiamo considerare la birra analcolica come una risoluzione dei problemi del comparto birrario, ma è sicuramente un’alternativa con un significativo spiraglio di posizionamento sul mercato. Ritengo che se, da un lato, dobbiamo continuare a proteggere la definizione e l’essenza stessa di birra artigianale dove la non pastorizzazione è stata una bandiera importantissima per il movimento craft, dall’altro dobbiamo concedere ai birrifici artigianali la possibilità di pastorizzare la produzione analcolica al fine di offrire ai consumatori birre speciali. Questa ritengo sia la strada più intelligente che il comparto della birra artigianale oggi possa percorrere».
Una tua riflessione sul comparto birrario italiano e le strategie da mettere in campo per rimanere competitivi
«Non è sicuramente un momento facile sotto molti punti di vista, oltretutto in un comparto come il nostro dove 5 aziende detengono l’80% del mercato. Alti e bassi nella storia della birra artigianale ce ne sono sempre stati, ma dobbiamo rimanere ottimisti: ritengo, infatti, come ho già sottolineato, che le birre speciali abbiano delle possibilità piuttosto importanti. Dobbiamo continuare ad affermare con forza la nostra identità di produttori di birre speciali in un momento in cui il consumatore tende a bere meno e a bere analcolico. Come farlo? Il comparto birrario deve innanzitutto fare massa critica ed efficientare i processi produttivi e distributivi. Occorre che le varie Associazioni di categoria collaborino tra loro per aprire anche quelle sfumature legislative che oggi sono necessarie all’interno della stessa definizione di birra artigianale. Così come è necessario anche ridimensionare gli inutili allarmismi sul fatto che di fronte alle nuove regole del Codice della strada non si possa più bere. Non è assolutamente vero, si può tranquillamente uscire e bere due birre con tranquillità. Cerchiamo di fare chiarezza! E in questo le Associazioni di categoria, così come quelle della ristorazione, devono fare la loro parte. Sicuramente in questo contesto, la birra analcolica gioca una partita importante».
Hai parlato di collaborazione tra le Associazioni di categoria. Come si sta muovendo il Consorzio Birra Italiana?
«Il ruolo del Consorzio è quello di sostenere i piccoli produttori e creare filiere territoriali. Abbiamo finalizzato il progetto importantissimo per rendere la filiera della birra sarda sempre più sostenibile e integrata, progetto che ha portato alla realizzazione della prima birra da filiera sarda presentata al Vinitaly.
Abbiamo fatto un grandissimo lavoro sotto l’aspetto politico, in collaborazione con le altre Associazioni per ottenere la stabilizzazione della riduzione delle accise, fondamentale per il nostro settore.
Continuiamo il nostro impegno per la filiera del luppolo e dell’orzo italiani: è recente la firma del progetto FILO, Filiera Italiana Luppolo Orzo. Tre i fronti operativi strategici: produzione di luppolo 100% italiano; messa a punto di una tecnica di maltazione da genetica italiana; collaborazione con la Scuola Sant’Anna di Pisa per la realizzazione entro la fine del 2028 di un tool di calcolo da mettere a disposizione dei piccoli produttori per monitorare il proprio impatto ambientale dal punto di vista agricolo, produttivo e distributivo, un calcolo che sarà sempre più fondamentale nei prossimi anni, anche in funzione della finanziabilità da parte dalle banche o per essere accettati in particolari contesti commerciali, soprattutto all’estero.
Rimane poi saldo il nostro impegno nel modificare la legge 1354 in considerazione del contesto di mercato attuale e delle mutate esigenze di cui abbiamo parlato sopra».