La Calcinara: “sulle corde del Conero”

Eleonora e Paolo Berluti

Nelle Marche, a Candia in provincia di Ancona, a ridosso del Conero, i fratelli Eleonora e Paolo Berluti, 40 anni lui e 34 anni lei, come titolari dell’azienda La Calcinara hanno una lunga storia di viticoltori alle spalle. Prima di loro, il padre Mario, ancora in attività con un’azienda che porta il suo nome. Prima ancora, il nonno Gualtiero e il bisnonno Agostino. Con la prima vigna di Montepulciano, che nel 1967, quando il Rosso Conero diventa Doc, diventa una delle prime iscritte all’albo. Come racconta Eleonora Berluti, una laurea in Agraria all’Università di Ancona e un anno di esperienza sul campo a Bordeaux, dove ha potuto degustare la differenza del medesimo vitigno coltivato su suoli diversi, dai più sabbiosi a quelli a ciottoli, passando per i terreni più argillosi: «Questo nostro suolo è pieno di tanti calcari attivi. Il nostro è un territorio unico. Un vino rosso forte, in un territorio vicino al mare, è un’unicità. Per questo, abbiamo messo a frutto questo territorio, per farne oro. Il nostro vino racconta la storia di questo luogo e di questo popolo».

Le origini

«La nostra è un’azienda a conduzione familiare – spiega Eleonora -. Titolari siamo io e mio fratello Paolo, e certamente non ci manca l’aiuto di nostro padre Mario e di nostra madre Paola. Siamo alla quarta generazione di viticoltori. Ma prima di noi producevano tutti vino sfuso, mentre noi puntiamo esclusivamente al vino in bottiglia, senza fare sfuso. Abbiamo continuato il “mestiere di famiglia” come fosse naturale. Un giorno mentre cercavamo dei nuovi spazi con nostro padre, ci siamo imbattuti in questi terreni qui a Candia, in contrada Calcinara, e ce ne siamo subito innamorati. Così è nata la nostra prima vendemmia, ormai già quattordici anni fa, nel 2007».

I vigneti e la cantina

«Abbiamo dato all’azienda il nome della contrada, perché questo territorio è ciò che identifica i nostri vini. Qui in contrada Calcinara il suolo è molto calcareo. Si trovano fossili marini e conchiglie nei terreni. Questo permette ai nostri vini di essere fortemente identitari, di essere espressione di questo territorio, riportando soprattutto nei rossi quella mineralità dei vini del Conero, che negli ultimi anni sembrava essersi perduta. Il nostro è stato un recupero di autenticità. E per questo abbiamo lasciato che questo stretto rapporto si intendesse già dal nome. Qui coltiviamo undici ettari e mezzo di vigneti e quasi tre ettari di oliveti, tutti certificati a coltivazione biologica. Non abbiamo mai fatto uso di diserbanti chimici. Ci siamo convertiti al biologico a partire dal 2014 e siamo certificati da un paio di anni. Prediligiamo vitigni autoctoni. Coltiviamo principalmente vigneti di Montepulciano e di Verdicchio, un po’ di Sangiovese e un mezzo ettaro di Chardonnay. Da pochissimo, abbiamo introdotto anche un po’ di Trebbiano e giusto tre filari di Malvasia. Annualmente, raccogliamo attorno ai 600 quintali di uva, con raccolta a mano. La nostra cantina è interrata ed è stata costruita a cavallo tra 2004 e 2005. Abbiamo una capienza attorno agli 800 ettolitri di acciaio; 200 ettolitri di cemento e 150 ettolitri di legno».

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