Luca Ferraris ha creduto e investito il tutto e per tutto in un vino che fino a 10 anni fa segnava imbottigliamenti sotto i 200.000 pezzi. Oggi, dopo il successo nel mondo del suo Ruché di Castagnole Monferrato DOCG, ha intrapreso un nuovo ambizioso progetto, che riguarda la produzione dell’unico cru del Ruché riconosciuto dal Ministero.
“Qui non si produce vino, qui si creano esperienze uniche”. Sono queste le parole con le quali Luca Ferraris, produttore di Castagnole Monferrato (At), ha accolto nell’arco degli anni i suoi dipendenti. E in effetti un fondo di verità c’è. Quella di Luca è una storia avvincente, che comincia all’inizio del secolo scorso, con i suoi bisnonni, e arriva oggi a toccare le rive di più Paesi oltreoceano grazie alla passione e alla dedizione che hanno legato la famiglia Ferraris, ma non solo, a questo angolo di Piemonte. Più vite legate alla vite, insomma, ma, soprattutto, a un vitigno specifico, il Ruché. Il primo a credere nelle potenzialità di quest’uva per la produzione di un vino varietale, secco e in purezza – e il primo a vinificarlo e a venderlo in bottiglia nella metà degli anni Sessanta – fu un parroco di campagna, Don Giacomo Cauda, tant’è che, molto prima dell’avvento della DOC, questo vino iniziò a farsi conoscere come ‘Ruché del Parroco’. Negli anni Ottanta, poi, il fenomeno Ruché cominciò a prendere consistenza, altri produttori lo impiantarono e il prodotto incontrò sempre maggiormente il favore del mercato, fino al conseguimento della denominazione di origine controllata nel 1987, la quale, in seguito, diventerà controllata e garantita. Nel decennio successivo il fenomeno esplode e il Ruché entra a tutti gli effetti nell’olimpo dei vini piemontesi. È in questo periodo che Luca Ferraris fa la sua comparsa, prendendo in mano le redini dell’azienda di famiglia, giunta con lui alla quarta generazione, e segnando un nuovo inizio, le cui parole d’ordine divengono da un lato passione e ricerca e, dall’altro, rispetto della natura e della storia aziendale.
Galeotta fu quella vendemmia…
Luca dà un volto nuovo alla cantina, ricominciando a vinificare in proprio le uve provenienti dai vigneti di famiglia, un tempo conferite alla Cooperativa Sociale del paese, e diviene il primo produttore in zona a effettuare i diradamenti delle uve per aumentarne la qualità, oltre che a dedicarsi esclusivamente alla produzione di vino venduto in bottiglia; la sua curiosità e la voglia di scoprire realtà diverse lo spingono anche oltre i confini nazionali, alla ricerca di nuovi possibili mercati, trasformandolo in un vero e proprio testimone del Ruché nel mondo. Così la Ferraris Agricola cresce, e dalle poche migliaia di bottiglie dell’annata 2000 si passa, nel giro di tre anni, a produrne 60.000. «La mia passione è nata durante il secondo anno del percorso all’interno dell’Istituto agrario – racconta Ferraris –: all’epoca ero interessato alla zootecnia, fino a quando un giorno, dopo aver partecipato a una vendemmia dal vivo, mi innamorai della pigiatura, dei rimontaggi, della torchiatura. La mia carriera da produttore è poi iniziata in concomitanza con il servizio militare, durante il quale ho impiegato il tempo libero impostando quella che sarebbe divenuta l’attività della mia vita. Era l’anno 2000 quando effettuai la mia prima vendemmia, in un garage dei nonni: 8 quintali di uva pigiata per poco più di 500 litri di Barbera! Prima di allora, tra il diploma da perito agrario e la breve esperienza universitaria di enologia, avevo fatto solamente l’assistente al ricevimento uva della Cantina Sociale di Castagnole Monferrato».
Oltre 200.000 bottiglie in 35 Paesi
Tre, ci ha spiegato Ferraris, sono le tappe più significative della sua carriera: «La prima è stata la collaborazione col collega Pierfrancesco Gatto, dal quale ho imparato tanti segreti, soprattutto sul vitigno Ruché, mentre la seconda è stata quella che ha lanciato il Ruché nel mondo, ovvero l’incontro con Randall Grahm, titolare della Bonny Doon Vineyards di Santa Cruz, in California. Innamoratosi del Ruché, Grahm scelse me come suo partner per un grande progetto relativo ai vitigni autoctoni italiani; tutto ciò mi diede possibilità di crescere sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista economico e, grazie a questa collaborazione, iniziarono gli investimenti più importanti, sia in cantina che in vigneto. Ultima, ma sicuramente non per importanza, Chiara, mia moglie: con lei è iniziato un percorso di internazionalizzazione incredibile, che ha portato il nostro vino sulle tavole di tutto il mondo». Attualmente l’azienda produce 8 etichette provenienti da 3 varietà – 4 dal Ruché, 3 dalla Barbera e 1 dal Viognier – e realizza circa 200-220.000 bottiglie all’anno, esportandone il 45%. «Il nostro primo mercato estero è quello statunitense, con 14 importatori regionali che coprono l’intero Paese, poi vengono Giappone, Danimarca, Cina e Sud Est Asiatico, per un totale di 35 Paesi».
Dal Ruché DOCG al progetto ‘Vigna del Parroco’
Le peculiarità dei vigneti Ferraris sono legate agli studi e alla ricerca che il produttore ha portato avanti in quindici anni al fianco dell’amico e agronomo Daniele Eberle. «Abbiamo pagato spesso degli errori, i quali, però, ci hanno consentito di crescere tanto. Ad oggi gestiamo una trentina di ettari sparsi in quattro Comuni: abbiamo ricercato terreni e microclimi che conferissero ai nostri vini eleganza, profumo e struttura, per questo non siamo cresciuti a corpo unico, ma ci siamo orientati su undici diversi appezzamenti nel territorio del Ruché, da Castagnole a Scurzolengo, da Montemagno a Grana. La produzione del Ruché DOCG rappresenta più del 50% del totale aziendale, il che ci permette di offrire al nostro pubblico quattro diverse tipologie di questo vino: uno fresco di annata, uno strutturato ed elegante – con passaggio in botte grande -, una ‘riserva’ invecchiata 32 mesi in tonneaux – l’Opera Prima – e, infine, il nostro cru, Vigna del Parroco». Solo un rimando onorifico a Don Cauda, quest’ultimo? Assolutamente no. Perché questo vino proviene proprio dalla vinificazione delle uve di quello stesso vigneto tanto amato dal volenteroso prete vignaiolo. A seguito dell’alienazione del patrimonio fondiario della parrocchia, infatti, avvenuta nel 1993, la proprietà della vigna di Don Cauda rimase in paese, acquistata da Francesco Borgognone, il quale, dopo oltre vent’anni di cure, nel 2016 vendette il terreno proprio a Ferraris, giovane promessa dell’enologia del territorio.
La bandiera del Ruché nel mondo
«La Vigna del Parroco rappresenta per me la storia del Ruché, quella di Castagnole Monferrato e, non ultima, la storia dell’amico Don Giacomo Cauda, un tempo mio vicino di casa: ricordo bene quando, da bambino, mio padre mi portava nel suo cortile per osservare la pigiatura dell’uva. Questo storico e prezioso vigneto ha un valore inestimabile e un patrimonio genetico da salvaguardare e valorizzare: rappresenta l’unico cru di Ruché esistente riconosciuto dal Ministero e non potevo permettere che andasse perduto o finisse in mani sbagliate. Così l’anno scorso ho chiuso gli occhi e ho deciso di fare questa pazzia, spinto anche dalle parole del vecchio proprietario, che mi disse che solo io avrei potuto compiere questo passo”. Tramite una dilazione di pagamento Ferraris è stato in grado di acquistare questo vigneto, dal valore pari alle quotazioni del Barbaresco, e il suo progetto è ora quello di fare della Vigna del Parroco il vino di punta della sua azienda e la bandiera del Ruché nel mondo. «Sono 1,7 ettari di vigneto e potranno crescere a 2,5 a seguito di un’attenta selezione massale, finalizzata a creare le barbatelle. Punto a sviluppare il marchio ‘Vigna del Parroco’ per trainare non solo i prodotti a marchio Ferraris, ma l’intero territorio; è uno storytelling bellissimo, simile a quello dello Champagne, è poetico e colpisce dritto al cuore e spero possa essere il punto di partenza per una nuova serie di successi della denominazione Ruché».
In onore e in memoria di Don Cauda
A compimento di questo progetto uscirà questo autunno l’etichetta ‘Vigna del Parroco’, frutto del restyling della storica immagine che da sempre ha accompagnato il Ruché del Parroco, un angelo con le ali aperte. «Ho deciso di mantenere l’etichetta che, a suo tempo, era stata disegnata da Don Cauda, limitandomi a un restyling curato dalla nostra wine stylist Cristina Ciamporcero – specifica Ferraris –. Abbiamo rintracciato bottiglie e foto delle prime annate prodotte dal Don al fine di scegliere quale contenitore usare, optando, in ultimo, per una borgognotta antique Saverglass che deteniamo in esclusiva per la zona, la bottiglia più simile che esista a quella che Don Cauda usó nel 1967 con il suo primo Ruché. L’etichetta, invece è stata ricreata cercando di mettere in risalto la menzione ‘Vigna del Parroco’ ancor più che la denominazione, anche se abbiamo dovuto fare molta attenzione alle regolamentazioni del disciplinare. Il marchio è stato infine rielaborato, conservando comunque lo stemma storico del parroco e conferendo un’estrema eleganza alla scritta, inserendo la dicitura ‘Don Giacomo Cauda’ in suo onore e in sua memoria».
Alla guida della denominazione
Una sfida importante, quella della Vigna del Parroco, che investe Ferraris della responsabilità di essere alla guida della nascita e della storia di questa denominazione. «Sì, una bella sfida – conferma –, anche se per me la prova più impegnativa e gratificante è stata quella di credere e investire il tutto e per tutto in un vino che fino a 10 anni fa segnava imbottigliamenti sotto i 200.0000 pezzi. Impiantavo vigneti di Ruché passando per pazzo, e invece…». Le difficoltà, certo, non sono mancate. Inizialmente l’azienda ha dovuto confrontarsi con la mancanza di uva, poiché gli impianti non riuscivano a soddisfare il crescente mercato del Ruché. «Ci siamo dovuti organizzare affittando vigneti già esistenti sparsi sul territorio». La seconda criticità è legata all’enorme differenza esistente tra le varie aziende produttrici in zona: «Diverse realtà, ma ancora molto poche a mio avviso, credono fortemente in questo vitigno e hanno raggiunto quella massa critica che gli permette di investire; c’è però una miriade di piccolissime aziende che tentennano, osano e non osano. Da un punto di vista tecnico, invece, le problematiche che abbiamo incontrato lavorando il Ruché sono tante, a partire dalla fortissima vigoria fogliare che caratterizza questa varietà fino all’elevata presenza di zuccheri nell’uva, con le conseguenti complicanze in fase di vinificazione».
Investimenti in produzione, ma non solo
Difficoltà che non hanno scoraggiato questo appassionato winemaker, al quale abbiamo chiesto, in ultimo, il segreto del suo successo. «Sicuramente il team aziendale – rivela –. Ho trasformato la mia cantina nella cantina dei miei dipendenti e in ogni ambito ho preteso, e pretendo, una cura maniacale: non ci sono orari di lavoro, solo risultati, e ognuno di noi va a casa quando gli obiettivi vengono raggiunti. Abbiamo in corso tanti nuovi progetti, soprattutto da un punto di vista produttivo: dopo l’acquisizione della Vigna del Parroco nel 2016 e il suo lancio nel 2017, abbiamo impiantato circa 12 nuovi ettari, di cui 4 di Viognier e 8 di Ruché nella zona Castelletto di Montemagno, in cui prevediamo di creare un nuovo cru. Da quest’anno produrremo esclusivamente Ruché e Viognier. Svariati investimenti riguardano anche la cantina, dove stiamo raddoppiando la metratura produttiva con un aumento importante anche in fase di vinificazione, in attesa, per l’appunto, delle uve provenienti dai nuovi vigneti. Diciamo che mi piace stare sveglio la notte! A chi mi ispiro? Davvero a tutti: amo leggere e ascoltare le esperienze altrui per fare mio ciò che ritengo più giusto e adatto alla mia azienda».