In casa Ponti, l’aceto cambia pelle

A volte può essere necessario un cambiamento davvero radicale nel packaging. L’importante è gestirlo correttamente.

Giacomo Ponti, general manager dell’azienda di famiglia.

Cambiare il materiale della bottiglia non è una scelta che riguarda soltanto il reparto confezionamento: perché i forti investimenti produttivi vengano premiati dal mercato serve il coinvolgimento del marketing e della forza vendita. Lo sa bene Giacomo Ponti, general manager dell’azienda di famiglia, che ha seguito da vicino il delicato passaggio dal vetro al pet per la bottiglia dell’aceto.

Quale ruolo ha la bottiglia di aceto da litro nel vostro portafoglio prodotti?

La bottiglia da litro dell’aceto di vino bianco e rosso è uno dei nostri prodotti più importanti. Ne vendiamo circa trenta milioni di pezzi all’anno. La nostra divisione industriale è molto avanzata dal punto di vista dell’automazione e, complessivamente, produciamo e vendiamo oltre 65 milioni di pezzi ogni anno.

La nostra capacità di imbottigliamento è di circa mezzo milione di bottiglie al giorno. In Italia Ponti è un marchio icona per il mondo dell’aceto: controlliamo circa il 50% del mercato in Italia. L’aceto è un prodotto che, val la pena di ricordarlo, ha un indice di penetrazione del 95-96%. La nostra è una bottiglia storica, è presente immutata sul mercato da 40 anni ed è personalizzata, con la sua tipica impugnatura.

Quali motivazioni, allora, vi hanno spinto a un cambiamento tanto radicale?

Anche il marchio più consolidato ha bisogno di rinnovare la propria immagine e, talvolta, c’è bisogno di uscire dagli schemi per guadagnare visibilità. Inoltre Ponti è leader di mercato e come tale ha anche la responsabilità di portare innovazione nel settore. Noi abbiamo fatto la scelta di modifi care il materiale, pur mantenendo il profi lo della bottiglia praticamente inalterato.

Solo il diametro è leggermente diminuito. L’altezza è identica, come pure il colore dell’etichetta e – ovviamente – il marchio. Il vetro è un materiale con tanti i pregi ma anche qualche difetto, come la pesantezza e la frangibilità; per questo abbiamo deciso di passare al Pet. Pensi che siamo passati dai 330 grammi della bottiglia tradizionale ai 35 grammi della nuova.

In quale occasione vi siete avvicinati per la prima volta ai materiali polimerici?

Per decenni, la nostra azienda ha usato esclusivamente il vetro per tutte le produzioni, a parte le confezioni per la ristorazione di sottoli e sottaceti, per cui si usava la banda stagnata. I materiali plastici non erano mai stati impiegati, neppure per le conserve, perché non sarebbero in grado di sopportare i trattamenti di stabilizzazione termici necessari. Abbiamo introdotto per la volta negli stabilimenti un materiale plastico nel 2008, per la Glassa Gastronomica a base di Aceto Balsamico di Modena. Un pack nuovo per un prodotto nuovo.

La glassa Ponti è stata creata per rispondere a un’esigenza espressa da un target di clientela: gli chef statunitensi, che erano soliti decorare i loro piatti con una riduzione di aceto balsamico. Il nostro importatore ci ha suggerito di creare un prodotto ad hoc per questo target, così è nata la glassa. Per confezionarla il vetro non era adatto: ci voleva un materiale plastico, che fosse possibile comprimere per permettere di realizzare guarnizioni anche elaborate, ma che poi riacquistasse la forma iniziale. Abbiamo usato il PE, ottimo da un punto di vista funzionale.

Che cosa ha comportato in termini di organizzazione dei siti produttivi il passaggio dal vetro al Pet?

Gli investimenti sono molto pesanti, dell’ordine di svariati milioni di euro per ciascuno stabilimento. Passare da un impianto di imbottigliamento per il vetro a uno per il Pet non è uno scherzo. D’altro canto gli investimenti necessari per modificare gli impianti sono tali che costituiscono una seria barriera all’ingresso. Questo ci permette di distinguerci maggiormente dai competitor sullo scaffale.

Avete valutato la sostenibilità ambientale della bottiglia in Pet?

Come esce dal confronto con il vetro? Certo che ci siamo posti il problema. Quella di passare al Pet si è rivelata una scelta vincente anche da un punto di vista ambientale. Immettiamo meno gas di scarico legati all’approvvigionamento delle bottiglie: abbiamo levato dalla strada quasi 1.300 autotreni all’anno in ingresso agli stabilimenti.

Un autotreno carico trasporta circa 23.000 bottiglie in vetro, contro le 600.000 preforme in Pet, considerando una produzione annua di 30 milioni di pezzi, si arriva ai 1.300 autotreni risparmiati. Inoltre il Pet, come il vetro, è riciclabile.

In quale modo vi siete preparati, da un punto di vista strategico, per sostenere un cambiamento di così grande portata?

La nostra è un’azienda familiare e ha un approccio al mercato giustamente prudenziale: prima di fare passi di questo genere ci siamo assicurati di avere tutte le garanzie del caso. Dati gli investimenti in gioco non sarebbe stato saggio lanciarci in questo progetto a testa bassa, senza nemmeno interrogarci sulla possibile accettazione del mercato. Anzitutto abbiamo considerato l’esperienza di altri settori tradizionali dell’agroalimentare, come quello dell’olio, dove il passaggio dal vetro al Pet è stato recepito senza difficoltà dai consumatori.

Comunque, prima di intervenire pesantemente sugli impianti di imbottigliamento, abbiamo effettuato test in un punto vendita virtuale. Pensi che una buona parte dei consumatori tester non si era nemmeno accorta che non si trattava della solita bottiglia. La differenza si nota solo se la bottiglia in vetro e quella in Pet sono l’una accanto all’altra, altrimenti si devono prendere in mano per capire che il peso è diverso da prima.

Addirittura abbiamo rilevato che, sia i consumatori abituali del nostro aceto, sia i non users erano molto attratti da questa bottiglia e che le valutazioni sul nuovo pack erano superiori di quello tradizionale di circa il 5%, in entrambi i gruppi di consumatori tester. Superati i test, abbiamo lavorato sulla forza vendita, cui abbiamo presentato i risultati ottenuti nei test. È stato dato agli agenti un piccolo memorandum da presentare anche ai nostri partner commerciali, che spiega il motivo per cui l’azienda ha scelto di affrontare questa sfida.

I risultati di mercato ottenuti fino a oggi vi hanno dato ragione?

Direi di sì: ora sul mercato la nostra distribuzione è quasi totale perché sia i supermercati che i consumatori finali hanno apprezzato la nostra scelta. Non ci sono stati particolari “traumi”, anzi la rotazione all’interno dei punti vendita sta aumentando rispetto alla bottiglia in vetro perché sono stati subito compresi i plus del nuovo pack, che è più leggero ed infrangibile. Certo crescere in questa categoria è difficile perché i consumi sono stabili, il mercato è maturo e già noi ne occupiamo una quota discreta.

[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=”Una lunga storia di imbottigliamento”]

1867: nasce Ponti. L’azienda produceva vino e aceto venduto in damigiane ai piccoli esercizi, dove il consumatore li acquistava riempiendo le proprie bottiglie di vetro

1920: si inizia a imbottigliare l’aceto in vetro a rendere 1939: inizia la produzione di conserve vegetali in olio e aceto, dapprima confezionati in banda stagnata, oggi in barattoli di vetro

Anni Settanta: si inizia a utilizzare il vuoto a perdere

1985: la gamma si arricchisce con prodotti come l’aceto balsamico di Modena e l’aceto di mele

2006: si procede a un restyling del marchio e delle forme delle bottiglie e dei vasi di vetro che richiedono l’adattamento delle linee di imbottigliamento

2009: inizia la produzione dell’aceto di vino in PET con l’aggiornamento progressivo degli impianti di imbottigliamento negli stabilimenti di Ghemme (NO) e Anagni (FR). Lo stabilimento di Casier (TV) imbottiglia ancora in vetro.

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