Icim: certificare crea plus valore

ICIM – ente di certificazione indipendente italiano che nel 2018 ha compiuto 30 anni – ha messo a punto degli schemi proprietari per la certificazione volontaria in ambito di prodotto. Alcuni riguardano specificatamente il settore del food&beverage. Ne abbiamo parlato con Valeria Mesolella, Responsabile Sviluppo Food presso ICIM.

Valeria Mesolella, responsabile sviluppo food presso ICIM
Valeria Mesolella

Partiamo dall’inizio: perché certificare, soprattutto se la certificazione è volontaria?

Le motivazioni addotte in ambito volontario possono riassumersi in due punti principali. Da una parte, vi è la consapevolezza che la certificazione è un valore aggiunto, in quanto conferma la correttezza nel modus operandi di un’azienda e, quindi, la conformità dei suoi prodotti o processi rispetto alla normativa. Questa trasparenza permette di distinguersi rispetto ai competitor. Se, ad esempio, un imbottigliatore usasse macchinari e imballaggi certificati, potrebbe usare questo argomento nella sua campagna di comunicazione e marketing presso i suoi clienti, puntando sulla sicurezza della sua filiera e tracciabilità del suo prodotto. D’altro canto, spesso ci si certifica perché l’azienda ha la necessità di essere supportata da un ente terzo, indipendente e neutrale come è l’ente certificatore, che dichiari che essa sta lavorando in maniera corretta, a tutela di se stessa e dei suoi clienti. Questo accade soprattutto quando ci sono adempimenti da seguire in base a normative giovani, entrate in vigore di recente e l’utenza non sa come adempiere ad esse. In questi casi l’organismo certificatore, con le proprie competenze tecniche, è in grado di fornire strumenti idonei per la corretta applicazione delle prescrizioni.

Dal vostro punto di vista, invece, perché la certificazione, anche volontaria, è cosi importante?

L’ente certificatore ICIM – con l’autorevolezza che gli deriva dall’accreditamento di Accredia – ha interesse a che le norme vengano rispettate. È nella sua mission essere utile nel fornire strumenti di supporto per facilitare il rispetto delle leggi.

E dal punto di vista di chi utilizza prodotti certificati, qual è il vantaggio di una certificazione del suo fornitore?

Per i diversi attori della filiera l’utilizzo di prodotti certificati significa la garanzia della qualità e idoneità d’uso di quanto utilizzato; significa avere la certezza che tutti i processi a monte sono stati scrupolosamente e periodicamente controllati da un ente terzo e che sono rispettosi delle normative contemplate. La domanda è se l’operatore – ad esempio, l’azienda imbottigliatrice – è a conoscenza degli obblighi legislativi e quindi se richiede al suo fornitore il possesso di certificazioni adeguate. Questo, in alcuni ambiti, tra cui ad esempio quello del beverage, succede oggi ancora troppo poco.

Cosa indica ciò?

Indica che vi è ancora molta necessità di cultura divulgativa, anche tra operatori e supplier dei prodotti e delle macchine. Spesso si acquista consapevolezza di determinati obblighi solo quando si verifica un’allerta sanitaria, per cui si diventa improvvisamente consapevoli, ad esempio, che certi materiali usati negli imballaggi o nelle macchine non erano atti al contatto alimentare. Un’idonea certificazione del produttore degli imballaggi e, prima ancora, dei macchinari utilizzati per la produzione  degli stessi e nella trasformazione alimentare eviterebbe queste brutte sorprese.

Chi riguarda la certificazione?

Se rimaniamo nel settore del food&beverage, si pensa spesso che le certificazioni riguardino esclusivamente i produttori degli alimenti e delle bevande. In realtà, le stesse macchine che entrano a contatto con l’alimento o la bevanda e il packaging devono essere conformi a determinate normative. Queste indicano, ad esempio, chiaramente quali materiali possano venire a contatto con gli alimenti, anche durante la loro produzione e imballaggio; quali siano le buone pratiche di fabbricazione; quali siano i limiti di migrazione di materiali dall’imballaggio o dalla macchina negli alimenti, ecc. Si tratta, dunque, di regolamentazioni ad ampio raggio di azione, che interessano tutta la filiera del food&beverage, dai produttori di macchine per la lavorazione di alimenti, ai produttori di imballaggi a processi e sistemi di lavorazione. Tutti questi stakeholder sono potenzialmente interessati da certificazioni.

Il settore beverage non è il più attivo e sensibile alle certificazioni
Il settore beverage non è il più attivo e sensibile alle certificazioni

Quindi, facendo l’esempio di un imbottigliatore, non basta che richieda la certificazione sul packaging che utilizza…

Non basta. Non è sufficiente pensare che la sicurezza di una bevanda dipenda solo dalla bevanda stessa o dal suo imballaggio. E cosa sappiamo delle macchine e dei processi di produzione?  Tutta la filiera è coinvolta nella sicurezza del prodotto finale.

Rimanendo nel settore del beverage, quale è la situazione in termini di consapevolezza e livello di certificazione?

Tra i vari comparti che ICIM segue, il settore beverage non è il più attivo e sensibile alle certificazioni. Ci siamo resi conto che altri comparti sono più avanti nella conoscenza degli adempimenti da rispettare. Vi è quindi una certa necessità di cultura e divulgazione in questo settore. Nello stesso tempo, questo significa che vi è anche una buona potenzialità per il settore, che ha l’opportunità di sfruttare una leva di differenziazione sul mercato ancora poco utilizzata.

Forse, nell’immaginario comune, il concetto di certificazione è legato a qualcosa di oneroso in termini di tempo, denaro e lavoro…

Questo viene percepito solo da chi non ne conosce le opportunità. In effetti ci siamo resi conto che vi è, in generale, un certo interesse da parte delle aziende a certificarsi, ma nel contempo molte affermano di non avere risorse da dedicare o di non sentirsi pronte in termini tecnici per affrontare il processo di certificazione. Ecco perché ICIM svolge anche un’intensa attività di divulgazione e formazione, in modo da accompagnare le aziende nel miglior modo possibile a esser pronte per affrontare il processo di certificazione. Questo naturalmente richiede un certo investimento di forza lavoro da parte dell’azienda stessa ma lo sforzo, anche per le piccole o microimprese, può essere facilmente contenuto se si viene guidati correttamente nelle scelte da compiere.

E si domanderanno se il gioco vale la candela…

Bisogna considerare che dietro a una certificazione volontaria ci sono obblighi, normative. Gli obblighi vanno rispettati, altrimenti vi sono sanzioni, anche pesanti. In quest’ottica, una certificazione che documenti il rispetto delle normative è una tutela per l’azienda e, non dimentichiamolo, per la salute del consumatore finale.

Cosa è esattamente la certificazione MOCA?

Si tratta di una certificazione per materiali e componenti usati in ambito alimentare: MOCA è, infatti, l’acronimo di Materiali e Oggetti a Contatto con Alimenti. È uno schema proprietario sviluppato da ICIM e si rivolge a tutti i fabbricanti di materiali e componenti che vengono a contatto con alimenti o bevande. Si tratta di una certificazione volontaria, dietro alla quale ci sono, però, obblighi legislativi per il cui mancato rispetto sono previste pesanti sanzioni. Infatti, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.Lgs 29/2017 è stato stabilito in Italia un regime sanzionatorio per le violazioni della normativa europea sui materiali e oggetti destinati al contatto con gli alimenti che prevede multe fino a 80.000€ in caso di inadempienza.

A chi si rivolge concretamente?

La certificazione MOCA messa a punto da ICIM riguarda una filiera molto ampia e complessa che comprende numerosi operatori del settore manifatturiero, come ad esempio i produttori di macchine per la lavorazione, preparazione conservazione e somministrazione di cibi e bevande, di vending machine e di imballaggi per alimenti.

Quali sono i materiali MOCA?
Per rendersi conto di quanto sia ampia la platea di stakeholder a cui può interessare la certificazione MOCA, basti definire cosa sono i materiali e oggetti a contatto con gli alimenti. Sono tutti quei materiali e prodotti che:

  • sono destinati ad essere messi a contatto con prodotti alimentari;
  • sono già a contatto con prodotti alimentari e sono destinati a questo fine;
  • si prevede che possano essere messi a contatto con prodotti alimentari o possano trasferire i propri componenti ai prodotti alimentari nelle normali condizioni di impiego.

(Fonte: ICIM)

Quali passaggi sono necessari per ottenere la certificazione MOCA?

I passaggi dipendono da quanto l’azienda sia pronta o meno a perseguire il processo di certificazione, in alcuni casi bastano davvero pochi mesi. Gli step principali comportano l’analisi documentale del processo produttivo e dei prodotti sottoposti a certificazione; l’analisi dei materiali e l’individuazione delle possibili cessioni attraverso test di laboratorio specifici; audit in campo per la valutazione della congruità dei processi produttivi, gestione del magazzino, istruzioni di installazione e manutenzione, in breve, la corretta applicazione delle cosiddette GMP, le Buone Pratiche di Fabbricazione. Se tutti questi passaggi hanno una conclusione positiva, l’azienda riceve la certificazione MOCA. Tale certificazione dura 5 anni, periodo in cui l’azienda viene sottoposta a visite di sorveglianza da parte dell’ente certificatore.

Ben più quindi delle autocertificazioni di conformità derivate da analisi di laboratorio una tantum…

Esattamente. Una certificazione è un processo complesso, condotto da esperti e da ispettori  indipendenti. Va ben oltre semplici analisi di laboratorio che le aziende possono fare per proprio conto e, naturalmente, ha ben altro valore rispetto a un’autocertificazione. Incontriamo aziende che sono in buona fede, ma in caso di controlli l’autocertificazione potrebbe non bastare a non incorrere nelle sanzioni previste dal D.Lgs 29/2017.

Cosa raccomandate agli stakeholder coinvolti?

La sicurezza alimentare e la tutela della salute del consumatore sono ormai obiettivi irrinunciabili e prioritari per il mercato e per tutto il comparto agroalimentare: questo dato di fatto è la base di partenza per capire il valore di una certificazione. La certificazione va vista come uno strumento di sviluppo e supporto ai processi di un’impresa, un mezzo per aumentare la conoscenza, competenza ed esperienza del proprio personale e fare sì che all’interno della propria organizzazione tutto vada costantemente secondo quanto richiesto dalle norme. La certificazione è un partner per l’azienda, non un onere.