Dove domina il Carignano

I vigneti della Cantina di Calasetta, all’estremo sud-ovest della Sardegna, sono battuti dal vento e inondati dal sole. Se ne ricava questo nettare vigoroso, messo in bottiglia dopo sapiente vinificazione di un’uva portata qui dai fenici. L’evoluzione dell’impresa, dal vino sfuso alle etichette di qualità.
cal_3927“Hic sunt leones” scrivevano gli antichi cartografi al confine con i territori inesplorati verso i quali non era consigliabile avventurarsi. Certo, non è che Calasetta si trovi ai limiti di un impero, ai bordi di un deserto popolato da animali feroci, ma alla fine del territorio italiano lo è eccome, dopo c’è solo mare blu che si frange su candide spiagge incastonate tra stupende scogliere. Navigando, s’incontrerebbe la Spagna facendo rotta a ovest e l’Africa spingendosi a sud. E proprio dal mare venivano i coloni che nel ‘700 hanno rianimato questi luoghi per secoli disabitati. Si trattava di un gruppo di famiglie di origine ligure che aveva deciso di lasciare l’isola di Tabarka, sulle coste tunisine, dove per molti anni si erano dedicate alla pesca del corallo.

Dal corallo all’uva

Una volta esauriti i banchi del prezioso materiale con il quale ancora oggi qualche esperto artigiano realizza singolarissimi gioielli, quel primo gruppo di Italiani aveva ricevuto da Carlo Emanuele III di Savoia il diritto a trasferirsi in una parte dell’isola di Sant’Antioco, all’estremo sud-ovest della Sardegna. Si tratta dell’area nota come Sulcis, ben conosciuta anche per le miniere dell’Iglesiente e di Carbonia ormai pressoché inattive. Inizialmente i coloni si dedicarono sia alla pesca del corallo e del tonno, che già praticavano anche in Nord Africa, sia all’allevamento del bestiame e alla coltivazione di legumi e cereali. Tuttavia con il passare del tempo si resero conto che quei terreni aridi, battuti dal sole e spazzati dai venti mediterranei si prestavano meglio alla viticoltura. Da quell’uva, spremuta e vinificata, si otteneva infatti un nettare denso e vigoroso, presto apprezzato lungo le coste sarde e tirreniche presso le quali quei contadini, insieme abili navigatori, si inoltravano a proporre il frutto di un lavoro durissimo.