Un packaging iperfunzionale

Power Of IdeasWinston Churchill sosteneva che “migliorare significa cambiare… essere perfetti significa cambiare spesso”. Nei prossimi anni, cambiamento e innovazione di packaging dipenderanno soprattutto dalle aspettative dei consumatori rispetto ai propri acquisti. Non acquisteranno prodotti, ma soluzioni a un problema contingente, rendendo la fedeltà di marca meno rilevante che in passato.

Si sta facendo strada l’idea di un packaging equiparabile a uno smartphone, non solo contenitore ma strumento le cui app sono l’impiego on the go, la funzionalità giorno dopo giorno, durante l’attività lavorativa o il tempo libero. Una nuova visione che sposterà l’attenzione da una progettazione per il mass market a una progettazione per il singolo fruitore, arrivando in molti casi a un contenitore interattivo, iper-personalizzato, su misura. I suddetti principi si aggiungeranno ai tradizionali key driver della progettazione: sostenibilità, funzionalità, compattezza, leggerezza, capacità di comunicare i benefici di imballaggio e prodotto, visibilità, moda.

Attenzione alle nicchie

Cresce il favore verso alimenti e bevande naturali, fatti a regola d’arte, con cura e precisione, con lavorazioni attente ad ogni dettaglio. In sintesi prodotti quasi di nicchia comprati giorno per giorno sulla scia dell’umore e dell’emotività del momento. Una tendenza già in atto nelle principali capitali europee. Diverse ricerche indicano che molti hanno abbandonato i grandi centri commerciali a favore delle superette (i piccoli supermercati di prossimità).La frequentazione media è in forte crescita (12 volte al mese pro capite), con una notevole concentrazione (33%) dopo le sei di sera, con ordini via smarphone – tablet e ritiro diretto presso il punto vendita o consegna a domicilio.

I risvolti per i produttori di alimenti e bevande sono più che evidenti: maggiori barriere all’entrata e crescenti rischi di estromissione a fronte di magazzini pressoché inesistenti e di scaffali riservati alle private label, ad alcuni grandi marchi e a selezionati fornitori di nicchia.

In questo contesto perde di significato la classica contrapposizione tra materiali “… meglio il vetro o la plastica… la lattina o la pouch…”; tutti avranno le medesime probabilità di affermarsi in una partita giocata sulla capacità di rispondere alla necessità del momento. Ne consegue che il progettista di packaging dovrà aggiungere alla funzionalità industriale e commerciale dell’imballaggio una forte connotazione di consumer experience – il valore aggiunto che quel contenitore svela dopo l’acquisto e durante l’uso.

Le ripercussioni sui formati

È facile prevedere che il successo delle superette costringerà a riprogettare gli imballaggi secondari. Oggi la maggior parte di questi imballaggi (cartoni, vassoi e simili) vengono aperti, vuotati e subito eliminati. Si espongono infatti prevalentemente confezioni singole o multipack assemblati dal produttore. Ricorrono al RRP (Retail-Ready Packaging) quasi soltanto i cash&carry, i discount o poche grandi superfici di vendita. I costi di manodopera e gli stretti corridoi indurranno i gestori di superette a privilegiare cartoni “tear – open”, espositori da scaffale, vassoi da esporre tal quali. Le conseguenze per aziende alimentari e imbottigliatori sono evidenti: l’offerta dovrà essere declinata su un maggior numero di formati: classico cartone da 6 o 12 pezzi, RRP per cash&carry e business to business, RRP a misura di superette. Rapidità di esposizione e riduzione dei costi di manodopera saranno determinanti per scegliere i prodotti da mettere a scaffale.

L’RRP guiderà uno dei grandi filoni dell’innovazione, dovrà diventare ingegnoso, più compatto, maneggevole; sarà meno anonimo e banale, diverrà uno dei protagonisti della comunicazione.

No alle informazioni ridondanti

I nuovi imballaggi non dovranno limitarsi ad informare ma dovranno comunicare in modo semplice, diretto, comprensibile, senza rinunciare ad attirare l’attenzione. Un mondo senza packaging non può esistere, i contenitori sono utili e la loro utilità aumenta quando sono sfruttati anche come potenti strumenti di comunicazione a costo zero. Per centrare questo obiettivo devono essere progettati e decorati se non in funzione di una “grande idea” almeno di “un’idea chiara”. Per anni si è sovraccaricato il consumatore con informazioni ridondanti; i grandi progressi di linee di confezionamento e materiali non sono stati affiancati da altrettanta qualità nel comunicare. La tecnologia trasmette messaggi in modo più facile e veloce, ma spesso a scapito di forma, sostanza e professionalità. Si notano confezioni con loghi piccoli, schemi colore incomprensibili, immagini che nulla hanno a che fare con il retaggio culturale del prodotto, in sintesi “poco efficaci”.

Perché dare spazio a messaggi banali che non aggiungono nulla di veramente interessante? Le regole base sono chiare: un marchio ben riconoscibile sul fronte della confezione (logo grande, colori caratterizzanti, contrasti rispetto agli altri elementi della comunicazione), altrettanto rilievo per il messaggio principale ossia per il RTB (nella duplice accezione di “Reason To Believe” e “Reason To Buy”), un concetto che attiri l’attenzione del potenziale acquirente. L’RTB deve essere “strillato” come il titolo di prima pagina di un quotidiano o di apertura di un notiziario. Strillato equivale a visibile, potente e convincente. Sul retro della confezione è obbligatorio riportare molte diciture legali e informazioni di servizio, perché quindi sottrarre spazio ripetendo un logo già evidente sul fronte?

Ogni dicitura deve davvero informare, comunicare e valere il tempo impiegato per leggerla.

Caratterizzare la forma della bottiglia

Il settore bevande ha il grande vantaggio di potersi avvalere di bottiglie dalla forma personalizzata, riproducibile con qualsiasi tipo di materiale. Nonostante le facilitazioni derivanti dalle nuove tecniche di progettazione (analisi degli elementi finiti e simili), prototipazione (stampanti 3D) e produzione, si prediligono formati standard o comunque forme poco caratterizzate. Eppure le case history Coca – Cola e Absolut dovrebbero far riflettere. Adottare una propria bottiglia è un investimento, ma nei marchi di successo gli extra costi sono compensati dalla riconoscibilità nei punti vendita dove la forma originale è un comunicatore tutt’altro che silenzioso. Come accennato per la grafica, anche nel packaging design dovrebbero regnare concetti come: definire le priorità (per esempio la funzionalità del packaging RRP); massimizzare l’appeal della confezione; semplificare il layout; ridurre la complessità; eliminare il superfluo.

Loghi e brand identity di Coca – Cola, S. Pellegrino, Ferrarelle e altri non si possono cambiare, ma la loro immagine è costantemente rivitalizzata da edizioni limitate e campagne di marketing che fanno tendenza.

Prudenza nel restyling

Se è sconsigliabile modificare i capisaldi dell’identità di marca, tutto il resto deve stare al passo con i tempi. È importante che il consumatore noti, consciamente o inconsciamente le novità. La parte più emozionale dell’identità di marca, sia essa il logo, il colore, la forma del contenitore, lo stile, il pay off deve essere “maneggiata con cura” ed evolvere senza brusche trasformazioni. Impostare una strategia significa disegnare il futuro; prima di modificare una componente della brand identity è sempre utile chiedersi “come cambierà la percezione del consumatore, di fronte a questo nuovo dettaglio?”. Non bisogna mai cadere nel tranello “modificare per modificare” o “arte per il gusto dell’arte”: ogni intervento deve avere un obiettivo, sia questo semplice come aumentare l’impatto visivo o complesso come il riposizionamento del prodotto.