Export negli USA: affrontare il mercato al dettaglio

Puntare al massimo sulle peculiarità dei prodotti, sulla tradizione, sulla storicità e sul packaging, senza lesinare in alcun modo sulla qualità. Sono queste le indicazioni e gli orientamenti delineati da uno studio MRA – Management Resources of America per Parma Alimentare e Camera di Commercio di Parma con l’obiettivo di fornire alle aziende italiane utili direttive per affrontare al meglio il mercato al dettaglio dei generi alimentari negli Stati Uniti, vincere la sfida della competitività e abbattere il fenomeno dell’Italian sounding.

Grandi opportunità all’orizzonte

L’indagine (risalente a qualche mese fa) è stata condotta attraverso un set di interviste a esperti di mercato – 10 nel segmento retail e 8 nel segmento del fuori casa – e un piano di rilevazioni in 20 insegne complessive – di cui 15 nel Nord Est degli USA e 5 nel Midwest. Una metodologia d’analisi innovativa, basata su capillari visite nei supermercati americani più indicati per le specialità italiane – spesso non rilevati dai principali istituti di ricerca sul retailing alimentare in USA, come IRI o AC Nielsen – che ha permesso di generare e condividere una conoscenza di grande dettaglio dello stato dell’offerta negli Stati Uniti. La conclusione? Ad oggi esiste una grande opportunità per le specialità alimentari italiane esportate in Nord America, dove sempre più consumatori – si stima siano oltre 40 i milioni di americani benestanti appassionati di enogastronomia – preferiscono i prodotti autentici e dove si trovano retailer ideali veicolatori dei prodotti italiani di qualità, che oggi segnano la tendenza anche nei confronti dei supermercati tradizionali.

Gli specialty stores americani, come Trader Joe’s e Whole Foods, sono negozi focalizzati su produzioni di specialità e di eccellenza qualitativa in cui i commessi sono veri e propri consulenti di prelibatezze.
Gli specialty stores americani, come Trader Joe’s e Whole Foods, sono negozi focalizzati su produzioni di specialità e di eccellenza qualitativa in cui i commessi sono veri e propri consulenti di prelibatezze.

Foodies e health conscious consumers

Ma chi sono questi consumatori, destinatari delle nostre eccellenze? Si dividono in due tipologie, i ‘foodies’ e gli ‘health conscious consumers’, nuove generazioni di utenti che stanno alla base del trend di incremento qualitativo dell’offerta, della produzione biologica e dei prodotti senza glutine registrati in questi anni nei supermercati e nei ristoranti americani. Dietro questi nuovi consumatori, più informati, esigenti e attenti agli aspetti salutistici della loro alimentazione, ci sono i sempre più diffusi ‘trend setting retailers’, insegne della fascia alta di mercato maggiormente propense a offrire prodotti di qualità e autentici Made in Italy rispetto ai supermercati tradizionali, e per questo preferiti dai foodies. Sebbene questi punti vendita non siano esclusivamente concentrati sulle produzioni italiane, al pari dei singoli negozi indipendenti o delle ‘isole italiane’ presenti in alcuni contesti metropolitani di New York o San Francisco, essi sono ugualmente in grado di garantire, grazie ai numerosi negozi sparsi sul territorio, buoni volumi di vendita e, anche per questo, dovrebbero essere approcciati in via prioritaria dai nostri produttori.

I consumatori su cui puntare

Foodies

  • sanno riconoscere la qualità del cibo
  • sono curiosi di apprendere la storia del prodotto
  • amano sperimentare
  • il loro interesse per il cibo è motivato da passione per i sapori e per le loro possibili combinazioni
  • guardano i food networks
  • adorano l’Italia
  • sono consumatori tendenzialmente fedeli
  • quasi sempre vivono in aree metropolitane
  • hanno un reddito annuo non inferiore ai 75.000 $
  • sono stimati essere oltre 40 mln negli USA
  • influenzano le decisioni di acquisto degli altri consumatori
  • sono approcciabili con azioni promozionali attraverso newsmagazine specializzati e canali televisivi dedicati

Health conscious consumers

  • prestano estrema attenzione agli ingredienti e alle proprietà nutrizionali e salutari dei prodotti –
  • considerano il cibo una fonte di energia pulita e salubre per l’organismo, prima che una fonte di piacere per il palato
  • sono propensi a scegliere alimenti biologici e organici, non OGM e possibilmente senza glutine
  • studiano attentamente e in modo continuo le proprietà degli alimenti e i loro effetti sul corpo umano
  • sono disponibili a pagare un prezzo premio per prodotti che abbiano alti valori nutrizionali e che siano realizzati in modo naturale
I wholesale clubs, tra cui Costco, sono punti vendita in cui è possibile acquistare le specialità in quantità maggiori e a un prezzo più conveniente.
I wholesale clubs, tra cui Costco, sono punti vendita in cui è possibile acquistare le specialità in quantità maggiori e a un prezzo più conveniente.

Obiettivo: specialty stores e wholesale clubs!

Due sono le tipologie dei trend setting retailers: da una parte gli specialty stores, negozi focalizzati su produzioni di specialità e di eccellenza qualitativa in cui i commessi, in alcuni casi, sono veri e propri consulenti di prelibatezze, come Whole Foods, Wegman’s e Trader Joe’s; dall’altra i wholesale clubs, tra cui Costco, BJ’s e Sam’s Club, punti vendita in cui è possibile acquistare le specialità in quantità maggiori e a un prezzo più conveniente, ma soltanto corrispondendo prima un abbonamento annuale, come un vero e proprio circolo al quale ci si iscrive. Al di là dei differenti formati, le catene trend setter sono caratterizzate dagli stessi tratti distintivi: hanno una connessione più diretta e quasi personale con foodies e health conscious consumers, offrono loro prodotti di qualità, anche a marchio privato, sono sempre alla ricerca di nuove specialità per sorprendere i clienti, hanno dimensioni spesso considerevoli, il che garantisce buoni volumi di vendita, assicurano eccellenti esperienze d’acquisto e sono predisposti al tema dell’autenticità della produzione. Numerosi progetti di ricerca, infatti, hanno confermato il fatto che, rispetto alle insegne tradizionali, presso le catene trend setter le percentuali di prodotti ingannevoli sono sensibilmente minori per ciascuna categoria di prodotto.

Nuovi spiragli anche nella ristorazione

Trainato dalla domanda dei foodies, anche il mondo della ristorazione sta rapidamente cambiando: attenti all’autenticità delle ricette e dei vini che assaporano, i consumatori americani pretendono sempre più spesso la qualità anche all’interno dei locali che frequentano. Si assiste così al fenomeno dei trend setting restaurants, per il quale sempre più ristoranti italiani, ma anche continentali, offrono ricette nuove e ingredienti autentici, rendendo possibile un’espansione della distribuzione dei prodotti italiani nel canale foodservice che va oltre la nicchia etnica e interessa anche i grandi player nazionali. L’innalzamento del livello qualitativo dei ristoranti ‘medio-alti’, sia pure lento e diversificato a seconda delle categorie di prodotto, è un processo attualmente in corso e sembra verificarsi anche in canali diversi dalla ristorazione, come il catering o all’interno dei Campus universitari; inoltre i grandi distributori Horeca generalisti, e non più, quindi, solo i distributori etnici, sono spinti a dotarsi di un portfolio di prodotti autentici e a presentare le specialità italiane attraverso venditori più preparati riguardo ai vari prodotti. Trend, questi, che costituiscono una grandissima opportunità per le aziende del Belpaese, perché in grado di generare interesse presso grandi catene di ristoranti nazionali con decine di punti vendita, e non solo.

Vini e liquori: occhio all’export!
La categoria dei vini e dei liquori costituisce un vero a proprio ‘mondo a parte’ rispetto alla distribuzione alimentare in USA, perché per questo settore la legislazione americana è particolarmente complessa e varia da Stato a Stato (in alcuni casi da città a città). Per esportare vino negli Stati Uniti è in primo luogo necessario che i contenitori rispettino precise capacità: dai multipli di litro, a 1,5 litri, 1 litro, 750 e 500 ml, fino a 375, 187, 100 e 50 ml; anche la forma dei contenitori è regolamentata, per evitare che possano dare un’idea ingannevole del contenuto, e per questo motivo il vuoto interno della bottiglia non deve superare il 6% della capacità totale di bottiglie da 187 ml e oltre, e il 10% per le altre bottiglie. Generalmente il TTB (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau), uno dei principali attori coinvolti nell’importazione di vini e liquori in USA, non prevede particolari controlli sulle importazioni di bevande alcoliche di provenienza dall’Italia, poiché gli standard validi nel nostro Paese per esportare sono recepiti e accettati in America. In alcuni casi, tuttavia, e particolarmente per bevande alcoliche che contengono aromi e/o coloranti, o per elevate gradazioni alcoliche, è richiesta una procedura preliminare di verifica del prodotto, chiamata ‘pre-COLA’(Certificate Of Label Approval), che prevede analisi di campioni in laboratorio volte a verificare che quanto riportato nell’etichetta sia veritiero e non ingannevole. Il TTB, agenzia del USDT (United States Department of the Treasury), regolamenta anche i canoni dell’etichettatura, che ha lo scopo di aiutare e guidare il consumatore affinché il processo di scelta avvenga nel modo più consapevole possibile, e approva ogni etichetta prima che la spedizione venga effettuata. È l’importatore a richiedere che sia autorizzata l’etichetta, la quale deve contenere, rispettando determinati requisiti specifici: nome della marca, origine, varietà del vitigno utilizzato, nome e indirizzo del produttore, imbottigliatore o esportatore, Paese di provenienza, contenuto netto, contenuto alcolico, Government Warning, solfiti e nome e indirizzo dell’importatore autorizzato. L’indicazione dell’annata può essere inserita nell’etichetta qualora non meno del 95% delle uve utilizzate sia stato vendemmiato in quell’anno. Nel caso in cui il prodotto sia stato trattato con coloranti, si deve segnalare sul front attraverso le diciture ‘Certified Color’ o ‘Artificially Colored’, così come si deve specificare espressamente l’eventuale utilizzo del colorante FD & C Yellow NR 5. L’etichetta posteriore, infine, deve lasciare sufficiente spazio libero per il codice a barre; è da tener presente che il sistema europeo prevede 13 numeri, mentre quello americano 12. (Fonte: Parma a stelle e strisce: vendere negli USA il ‘food’ italiano: istruzioni per l’uso – MRA).

Competere puntando sulla qualità

Il grande sviluppo del segmento di specialità/premium statunitense, in cui competono i prodotti italiani, è ormai evidente: i consumatori sono disposti a pagare fino a 3-4 volte tanto, per poter disporre di articoli migliori. E in questo contesto nuovi competitori, sia americani che europei, si affacciano al mercato con offerte di livello qualitativo superiore rispetto al passato. L’immagine dell’Italia e l’associazione al nostro Paese è comunque ancora fortissima, ma va presidiata: il fenomeno dell’italian sounding, infatti, è molto radicato anche nella fascia alta di mercato, e quindi nei trend setting retailers, e, anzi, si assiste a una sorta di ‘italian sounding di seconda generazione’, cioè alla comparsa di falsi e imitazioni caratterizzati da un deciso incremento qualitativo, oltre che visivo, con prezzi paragonabili a quelli dei prodotti italiani importati. Questa situazione, tuttavia, potrebbe rivelarsi un’opportunità per le nostre imprese, conferma Carlo Alberto Bertozzi, Presidente e fondatore di MRA: “Il prodotto italianeggiante per certi versi agisce da ponte e prepara il terreno alla produzione autentica italiana, contribuendo a stabilire una relazione forte tra una determinata categoria di prodotto e il nostro Paese. Quello che dobbiamo fare è sottrarre quote di mercato a queste imitazioni puntando a elevare ulteriormente la qualità dei prodotti che esportiamo. Secondo le nostre stime, se le aziende italiane aggredissero il mercato dei falsi Made in Italy potrebbero arrivare anche a triplicare le proprie vendite negli Stati Uniti!”.

Il packaging è fondamentale

Come fare, quindi, per affrontare al meglio questi nuovi mercati, tanto competitivi quanto ricchi di opportunità, in un Paese il cui apprezzamento per la cucina italiana ha radici che vanno oltre il puro riconoscimento della bontà dei cibi e dei vini e si legano all’ammirazione per il nostro lifestyle? Il primo e più efficace veicolo promozionale è certamente il packaging dei prodotti. È bene prestare una grandissima attenzione a questo aspetto e pensare a confezioni dedicate, evitando, dove possibile, packaging multilingue. L’origine italiana, un punto di forza sensibile rispetto alla competizione locale, va valorizzata adeguatamente e il più possibile, tramite un package efficace che racconti il prodotto e le materie prime utilizzate, proponga ricette e abbinamenti e faccia riferimenti diretti alla storia dell’azienda, in particolare nel caso di imprese a conduzione familiare attive da generazioni. Anche l’educazione del personale in store assume una grande importanza per valorizzare l’unicità del Made in Italy alimentare, così come il saper presidiare al meglio il canale internet, i blog e i social network, senza dimenticare la promozione di gran lunga preferita dai foodies: le prove di assaggio e le degustazioni nei punti vendita, una pratica diffusa nei trend setting retailers americani che contribuisce a creare un’eccellente esperienza di acquisto per i consumatori, fidelizzandoli.