Ridisegnare l’export

Con la “Partnership per gli scambi commerciali e gli investimenti transatlantici (Ttip)”, USA e Unione Europea si impegnano a creare una zona di libero scambio per beni e servizi. Le contrattazioni, avviate nel 2013, dovrebbero terminare nel 2015. Secondo gli esperti, l’accordo frutterà all’Europa maggiori introiti per 120 miliardi di euro/ anno (545 euro per famiglia); l’economia statunitense crescerà di 90 miliardi di euro/ anno e altri 100 miliardi annui andranno alle principali economie satellite. Siano o non siano rispettate le previsioni, ‘libero scambio’ significherà più scelta per i consumatori e più competizione sui prezzi. Nell’ottobre 2013, Canada ed Europa hanno siglato un accordo similare, stimato in un incremento di export UE pari a 12 miliardi di euro/anno. Il Canada esporterà più carne, l’Europa più agroalimentare di qualità, poiché il Paese nordamericano ha riconosciuto 145 indicazioni geografiche UE (39 italiane). Se alcuni prodotti continueranno a coesistere con marchi ‘Italian sounding’, da tempo registrati e affermati in Canada, le etichette di tutti i nuovi prodotti che hanno assonanza con le tipicità italiane dovranno riportare diciture come ‘…stile italiano’, ‘imitazione di…’ o ‘tipo…’. In Canada, le denominazioni europee dei vini sono protette da oltre un decennio, ma le importazioni potrebbero trarre vantaggio dal fatto che i dazi, oggi calcolati sul valore del prodotto, saranno in futuro calcolati sui volumi importati. L’ipotetico accordo USA – UE dovrebbe invece essere di più ampio respiro. L’idea di costituire una grande zona di libero scambio non è nuova, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare; per esempio per arrivare all’accordo Nafta, Canada, Usa e Messico hanno impiegato trent’anni. Negli anni ’90, la UE propose, senza successo, il Tafta, un’area di libero scambio transatlantica. L’ iniziativa fu poi sostituita dalla ‘Nuova agenda transatlantica’, anch’essa arenatasi e nel 2007 dalla ‘Nuova partnership economica transatlantica’ che portò a risultati modesti. Il futuro Ttip mira a difendere l’economia tradizionale dall’avanzata delle nuove economie, rimuovendo le poche residue barriere doganali e soprattutto cercando di rendere compatibili le legislazioni UE e USA, che oggi rispecchiano le visioni del tutto diverse degli stipulanti su temi come la tutela di: ambiente, salute, consumatore, diritti d’autore. Un argomento spesso citato dai favorevoli al Ttip è l’idea di un’armonizzazione delle norme verso l’alto, per meglio contrastare le economie di Paesi con regole più permissive. Se così fosse, gli USA dovrebbero rivedere buona parte della propria legislazione alimentare, oggi più indulgente di quella europea in merito a OGM e trattamenti ammessi per alcune categorie di prodotti. Un altro grosso nodo da sciogliere è costituito dalle denominazioni d’origine; l’attuale registrazione dei marchi in USA esclude le indicazioni geografiche e la normativa sull’ etichettatura prevede il ‘Product of country X’ e non il “ ‘Product of EU’.

Quanto saranno tutelati i prodotti italiani, ossia la principale quota delle denominazioni di origine UE? Oggi, in USA, a fronte di un fatturato agroalimentare ‘italiano e affine’ superiore a 24 miliardi di euro, l’export di prodotti garantiti dalla legislazione UE sulla denominazione di origine è 3,3 miliardi di euro; meno di un euro su otto. Se non si arrivasse ad un vero avvicinamento legislativo, in USA, l’Italian sounding continuerebbe ad essere legittimo e il vero Made in Italy ad essere solo una delle tante componenti dell’offerta. Per comunicare al consumatore le particolarità dei propri prodotti, le aziende italiane dispongono solo delle denominazioni d’origine. Questi marchi sono le nostre regole, ma in casa altrui si entra rispettando le regole dell’ospitante o impostando regole comuni. D’altro canto, il Ttip coinvolge un terzo dell’export mondiale e ogni trattato di libero scambio (la UE è al momento impegnata in 25 negoziati commerciali bilaterali) reca con sé delle opportunità per chi lavora bene, ha efficienza economica nonché il coraggio di confrontarsi con il mercato e di evolvere.