Etichettatura: aspettando dicembre

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Con la fine dell’anno diverrà applicativo il regolamento CE 1169/11. Anche se non stravolge l’impianto legislativo precedente, qualche aggiustamento alle etichette si renderà necessario.

Anche se sembra lontano, il 13 dicembre si avvicina a grandi passi. Che cosa succederà in quella data? Diverrà applicativo il reg. CE 1169/11 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. In pratica – anche se è contemplato un periodo di transizione per permettere lo smaltimento delle scorte – a partire da quella data le etichette di tutti i prodotti alimentari dovranno adeguarsi alle indicazioni di questa norma e anche se, rispetto alla legge attualmente in vigore (D. Lgs. 109/92) non ci sono veri e propri stravolgimenti, qualche ritocco sarà necessario. In ogni caso, il principio portante che guida il nuovo regolamento, come la vecchia direttiva, è la non ingannevolezza: non si possono dare informazioni non veritiere o fuorvianti o non facilmente comprensibili sulle caratteristiche dell’alimento come la natura, l’identità, le proprietà, la composizione, la quantità e l’origine.

ImmagineCon l’aiuto dell’avvocato Giorgia Andreis, dello studio Avvocato Andreis e Associati, di Torino, specializzato in diritto alimentare, cerchiamo di mettere in luce i principali cambiamenti rispetto al passato. “In linea generale – spiega – il regolamento 1169, come il 109, si applica a tutti i comparti alimentari, anche se può esserci qualche distinguo per i settori per cui esistono norme specifiche che fanno riferimento anche all’etichettatura”. Una questione su cui il nuovo regolamento si sofferma con particolare attenzione è la definizione del responsabile delle informazioni al consumatore, una questione che è diventata di gestione via via più complessa, con il diffondersi di pratiche come il co-packing, la produzione conto terzi e la private label. Se un’azienda produce, confeziona e mette sul mercato un prodotto con il proprio marchio non ci sono dubbi sui chi sia responsabile dell’etichetta, ma se la filiera è più complessa può essere necessaria qualche ulteriore riflessione. L’operatore responsabile delle informazioni è, secondo il 1169, quello che “ci mette la faccia”, ovvero quello con il cui nome o ragione sociale è commercializzato un prodotto. “Il distributore che mette il suo marchio su un prodotto – sottolinea il legale – è responsabile delle informazioni al consumatore. In caso di etichettatura irregolare è anche il distributore ad assumere una posizione di garanzia verso il consumatore, fermo restando il principio per cui tutti gli operatori della filiera hanno una responsabilità nei confronti dei consumatori, come impone il reg. CE 178 del 2002”. Per i prodotti importati da Paesi terzi, il responsabile dell’etichetta è l’importatore, che nel momento in cui porta il prodotto in Europa se ne rende garante.

Attenzione alla leggibilità

Un altro importante elemento di differenziazione riguarda la leggibilità delle etichette. Il legislatore chiede esplicitamente che l’etichettatura sia leggibile, quindi impone delle dimensioni minime dei caratteri sull’etichetta, cosa che precedentemente non era prevista così in dettaglio: le indicazioni obbligatorie devono infatti essere stampate in caratteri la cui parte mediana (altezza della x) è pari o superiore a 1,2 mm (o in dimensioni diverse a seconda della grandezza dell’imballaggio). “Ciò – commenta la Andreis – rende l’informazione leggibile e comprensibile per il consumatore, che deve essere messo nella condizione di poter chiaramente individuare ogni indicazione e capirla”. La leggibilità deve essere garantita anche nel caso di etichetta multilingue, pertanto se un’azienda commercializza in diversi Paesi e deve mettere 4 o 5 lingue diverse su un unico pack deve valutare se le è possibile o se è necessario invece predisporre più etichette. La questione della leggibilità si ripercuote indirettamente anche sulle informazioni facoltative. “Anch’esse – prosegue – devono rispettare i principi generali di non ingannevolezza, trasparenza, correttezza e veridicità. Per esempio, se un operatore vuole vantare delle caratteristiche nutrizionali o salutistiche dei suoi prodotti, lo può ben fare, ricorrendo a claims autorizzati e rispettando la relativa normativa. In ogni caso, tornando alla questione leggibilità, queste dizioni non devono sovrastare, nascondere o occupare lo spazio disponibile per le informazioni obbligatorie”. Tra le informazioni che devono risultare particolarmente leggibili figurano gli allergeni. “Già la norma attuale – precisa Giorgia Andreis – impone di indicarne la presenza. Il 1169 richiede che l’indicazione degli allergeni sia posta in risalto rispetto agli altri ingredienti, utilizzando caratteri diversi per stile, dimensioni o colore di sfondo (per esempio, il grassetto), perché non si tratta solo di corretta informazione (che già è un bene fondamentale) ma di tutela della salute. Il consumatore allergico deve essere posto nella condizione di capire subito se il prodotto che sceglie contiene l’allergene o meno”. Per la precisione, il regolamento conferma che quando la denominazione dell’alimento fa chiaramente riferimento all’allergene, non è obbligatorio indicare l’allergene. In tutti gli altri casi, invece, l’allergene deve sempre essere indicato.

Tabella nutrizionale: presto obbligatoria

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Una sezione della norma si occupa specificamente delle indicazioni nutrizionali. E su questo punto c’è una importante novità. “Il regolamento – spiega Giorgia Andreis – impone che dal dicembre 2016 la tabella nutrizionale, denominata “dichiarazione nutrizionale”, diverrà obbligatoria (tranne che per alcuni specifici alimenti). Rispetto a oggi ci sarà qualche cambiamento nella tabella nutrizionale. Per esempio l’ordine in cui sono elencati i nutrienti non sarà quello attuale; poi non si parlerà più di contenuto di sodio, ma di sale, ritenuto più comprensibile dai consumatori. Poi il colesterolo scomparirà dall’elenco dei componenti”. Il tema dell’etichettatura nutrizionale è ancora aperto al dibattito perché nei diversi Paesi dell’UE, che hanno diverse tradizioni e culture, si può ricorrere anche a sistemi differenti per indicare la qualità nutrizionale di un prodotto. “Tra le questioni più dibattute – precisa – c’è quella dei “semafori” usati nel Regno Unito e in altri Paesi per comunicare in maniera immediata quali prodotti possano essere consumati con tranquillità e quali meno. Il 1169 non impone, né vieta, pittogrammi o simboli che diano queste informazioni, ma richiede che il loro utilizzo venga monitorato a livello nazionale e sia attuato nel rispetto di una serie di requisiti posti esplicitamente dall’art. 35”. La questione dei semafori ha implicazioni commerciali forti, perché può risultare penalizzante per diversi prodotti. “Il semaforo rimane comunque un segno facoltativo – ribadisce la Andreis – anche nei Paesi in cui è più comune. Per cui un produttore italiano che voglia vendere il proprio prodotto nel Regno Unito non è tenuto ad apporre il semaforo sull’etichetta. È più che altro un discorso di strategie di mercato: ogni azienda deve valutare se le conviene apporre un simbolo del genere, tenendo conto anche della diversa percezione dei consumatori nei diversi Paesi”. Sempre a proposito di dichiarazione nutrizionale, un altro aspetto dibattuto riguarda l’etichettatura dei prodotti destinati al mercato USA, dove l’etichetta nutrizionale (già obbligatoria) è diversa da quella comunitaria. “La Commissione europea – sostiene il legale – in linea generale ha ritenuto che riportare entrambe le tabelle sulla stessa etichetta potesse confondere il consumatore e ha espresso la preferenza verso la formulazione di un’etichetta ad hoc per i prodotti destinati agli Stati Uniti, cosa che però sarebbe più complicata e onerosa per le aziende. Sembra che però che la Commissione stia riconsiderando la sua posizione”.

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È ora di pensarci

Questa è una delle tante discussioni ancora aperte in materia di etichettatura: in sede comunitaria sono ancora in via di definizione vari aspetti. Per esempio, il regolamento può essere integrato con disposizioni specifiche da parte degli Stati Membri. Una di esse è l’indicazione delle sede di produzione e di confezionamento, un obbligo solo italiano. “La legge comunitaria – precisa Giorgia Andreis – prevede solo che debbano essere indicati il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare. A suo tempo, il decreto legislativo 109/1992 aveva aggiunto l’indicazione della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento, per facilitare gli organi di controllo. Non è detto che questo obbligo non permanga anche con l’entrata in vigore del regolamento 1169, se l’Italia lo riterrà opportuno”. Nonostante i possibili aggiustamenti, è bene che un’azienda cominci a interrogarsi su come deve modificare le proprie etichette, compatibilmente con i propri tempi e la sua organizzazione, seppure il regolamento preveda un periodo transitorio. Gli alimenti già immessi sul mercato o etichettati prima del 13 dicembre 2014 che non soddisfano i requisiti della norma, possono essere, infatti, commercializzati fino all’esaurimento delle scorte. Stesso discorso vale per la dichiarazione nutrizionale. Al momento, comunque, non sono ancora state definite  delle sanzioni in caso di inadempienza al regolamento. “In ogni caso – conclude – si tratterebbe di sanzioni di tipo amministrativo, trattandosi di un regolamento europeo. Non escludo che con la violazione di questa norma si possa applicare anche il Codice del Consumo, che sanziona le pratiche commerciali scorrette e quindi la presentazione ingannevole o fuorviante dei prodotti. Una eventuale segnalazione in questo senso potrebbe pervenire dalle autorità di controllo, da semplici cittadini o associazioni consumeristiche”.

Elena Consonni