I dispositivi di interblocco associati ai ripari

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La scelta tra codificati o meno è anch’essa un risultato della valutazione del rischio: la chiavetta in un interblocco meccanico rappresenta la classica codifica adottata per un interblocco meccanico (la codifica è la stessa chiavetta, dato che non sono tutte uguali). Tuttavia, il livello di codifica in questo caso è decisamente basso (la chiavetta potrebbe essere replicata) e quindi, qualora la valutazione dei rischi evidenziasse una zona molto pericolosa, l’ipotesi di elusione del riparo interbloccato (sempre da considerarsi in quanto uso scorretto, ma ragionevolmente prevedibile) non deve essere resa possibile e quindi è necessario adottare interblocchi con livelli di codifica più alti, come gli interblocchi non a contatto con codifica reed o addirittura RFID. Ed è proprio sui dispositivi di interblocco non a contatto dove la norma maggiormente si sofferma, in quanto rappresentano la vera novità rispetto a quanto era oggetto della precedente UNI EN 1088.

In particolare sono forniti pregi e difetti (per esempio, soffrono i campi elettromagnetici esterni) e sono ampiamente spiegate le modalità di utilizzo di tali interblocchi, in particolare per quelli di tipo elettromagnetico che dispongono anche di bloccaggio del riparo. A riguardo la norma chiarisce che il bloccaggio non è evidentemente meccanico (come per le elettroserrature) quanto piuttosto dovuto alla forza generata da un campo elettromagnetico tra due componenti: l’attuatore e il dispositivo di interblocco. Importante novità introdotta dalla norma è la definizione di un criterio di progettazione dell’equipaggiamento elettrico che possa portare alla prevenzione della causa comune di guasto secondo la logica già adottata dalla norma UNI EN ISO 13849-1: 2008.

Di fatto, adottando specifici accorgimenti, come l’uso di dispositivi di interblocco ridondanti, uno diretto l’altro indiretto, rispetto allo stesso riparo mobile o la scelta di impiegare dispositivi di interblocco a due canali, permette di prevenire i guasti dovuti alla stessa causa. Dato che entrambi i dispositivi di interblocco devono sempre dare un risultato (positivo o negativo a seconda), nel momento in cui uno dei due dovesse andare a guasto l’altro dispositivo garantirebbe comunque la funzione di sicurezza, ma il sistema arresterebbe la macchina in quanto un canale non ha dato l’esito aspettato. Questa misura di progettazione è richiesta, come detto, anche dalla norma specifica UNI EN ISO 13849-1:2008 relativa alle parti del sistema di comando correlata con la sicurezza e permette di apportare, al parametro CCF della citata norma, un punteggio pari a 20. Ulteriore ampia trattazione riguarda i dispositivi di interblocco meccanici con sistema a chiave prigioniera.

In questo tipo di interblocchi, una chiave è utilizzata sia su un elemento di controllo (tipicamente un selettore a chiave di abilitazione o di potenza) che su un sistema di blocco (tipicamente serratura) su un riparo. Quando la chiave è bloccata sul selettore e non può essere estratta (e questo avviene quando il selettore è in posizione ON) il riparo non può essere aperto. Quando la chiave è bloccata nella serratura del riparo (e questo avviene quando il riparo è aperto), il selettore di abilitazione non può essere ruotato sulla posizione ON. Qualora il sistema a chiave prigioniera si voglia applicare ad un sistema con più ripari interbloccati allora è necessario utilizzare un box di scambio chiavi in cui sono inserite le chiavi di sblocco dei diversi ripari sulla macchina (una chiave per ogni riparo): la chiave estratta dal selettore di abilitazione o potenza deve essere inserito in questo box. Solo a questo punto è possibile estrarre la chiave del riparo che si vuole aprire. Il sistema può anche controllare la sequenza in cui i ripari sono aperti, se questo potrebbe incidere sulla sicurezza dell’operatore o del processo.

In ultimo la norma analizza ampiamente le modalità di progettazione che possano ridurre il fenomeno dell’elusione del dispositivo di interblocco da parte dell’operatore finale. Questo può essere ottenuto:

  • Prevenendo l’accessibilità al dispositivo di interblocco: – posizionamento non raggiungibile dall’operatore; – interblocco protetto da riparo fisso; – montaggio in posizione nascosta.
  • Prevenendo la sostituzione dell’attuatore con altri oggetti adottando dispositivi codificati.
  • Prevenendo lo smontaggio dell’interblocco con l’ausilio di ripari non rimuovibili.
  • Prevenendo utilizzi non previsti mediante monitoraggio da parte del sistema (ad esempio, verificando che il riparo venga aperto solo quando effettivamente richiesto dal ciclo operativo).

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Conclusioni

Da quanto riportato si capisce come l’utilizzo della norma UNI EN ISO 14119:2013 sia fondamentale qualora dalla valutazione dei rischi effettuata sulla macchina risulti la necessità di predisporre un riparo mobile interbloccato. Come abbiamo visto, infatti, non tutti i dispositivi di interblocco sono uguali e la scelta se adottare un dispositivo meccanico o senza contatto piuttosto che un dispositivo con bloccaggio del riparo o meno, deve essere ben ponderata in funzione di quanto emerso dalla valutazione dei rischi e in funzione di quelle che sono le caratteristiche di ogni tipo di dispositivo di interblocco come sono indicate nella norma.