Inchiesta

Export e promozione

La difficoltà in cui versa il mercato italiano spinge sempre più aziende vinicole a puntare sull’estero. La promozione è fondamentale, ma come metterla in atto? La rete è sempre più lo strumento di riferimento

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Calano i consumi di vino in Italia”, una frase, un refrain, una litania che ha preso sempre più la connotazione di una triste epigrafe riportata e scandita sul web, sulla carta stampata, in TV. Coldiretti stima che per il 2013 il consumo pro capite di vino annuo è sceso sotto i 40 litri, 5 in meno rispetto al 2007; inutile “riavvolgere” ulteriormente il nastro a quegli anni d’oro, purtroppo non così lontani, in cui in Italia di litri se ne consumavano ben oltre cinquanta.

Tempi che cambiano, ma non siamo i soli, bevono di meno i nostri cugini d’Oltralpe – sono a 47,4 litri contro i 52 del 2007 – e ancor meno gli spagnoli che, nello stesso arco di tempo, lasciano sullo scaffale ben 7,6 litri di vino passando da 29,4 a 21,8 litri. Abbiamo perso anche il significativo primato di consumatori di vino rosso: ci sorpassano i cinesi che ne bevono di più di francesi e italiani; lo dice una recente ricerca di mercato commissionata da Vinexpo, la fiera internazionale dedicata a vino e alcolici. Un dato atteso se negli ultimi 7 anni l’assunzione di vino rosso in Cina è quasi triplicata – +136% rispetto al dato 2008 – mentre in Italia ha subito una flessione del 5,8% e di ben il 18% in Francia.

La crisi economica e non solo…

A spiegare perché il primo produttore ed esportatore enoico al mondo consumi sempre meno vino ci prova la rivista generalista statunitense Newsweek, che in lungo articolo adduce tra i motivi della disaffezione: la crisi economica, i cambiamenti demografici e il crescente interesse per la cultura della birra artigianale. Che la crisi economica abbia impattato pesantemente sui consumi è un dato di fatto, lo sottolineano anche i dati ISTAT che evidenziano una minor penetrazione totale delle bevande alcoliche. Su questo dato è interessante notare come il vino, pur rimanendo la bevanda alcolica preferita, risulti meno attraente per il consumatore: se 15 anni fa la penetrazione del vino era, infatti, 10 punti percentuali superiore a quella della birra e 17 punti sopra quella delle altre bevande alcoliche, nel 2012 il vantaggio è sceso a 6 e 12 punti percentuali rispettivamente. Dati non certo rincuoranti per chi produce, anche se, proprio tra i produttori, c’è chi, nella profonda notte dei consumi, accende un lume di speranza sul business enoico in Italia. A poche ore dalla fine dell’anno il portale WineNews ha sondato 15 marchi top italiani, significativi per dimensioni, storia, rinomanza, rappresentatività e qualità.

Ne è emerso un quadro confortante con un incremento medio del fatturato complessivo nell’ultimo trimestre del 7%. A stupire non sono probabilmente i dati dell’export, ma il buon andamento registrato nelle vendite in Italia: anche sul mercato nostrano il campione indica un segno positivo, +4%. Qualcosa si muove? Prematuro dirlo, intanto l’export diventa sempre più una necessità incontrovertibile. All’estero il mercato non va affatto male. Il dato aggregato di Assoenologi dei primi sei mesi 2013, sottolinea una crescita degli introiti dell’8,4%, passando da 2,16 a 2,35 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo del 2012. I volumi, pur mantenendosi intorno ai 10 milioni di ettolitri, registrano un calo di poco più del 3%, mentre cresce di quasi il 12% il valore medio, passando da 2,13 a 2,38 euro al litro, che sta a significare: meno vino ma di maggiore qualità e valore aggiunto.

Tira l’export alimentare, vola il vino

L’export, quindi, “tira” e in generale in tutto il comparto alimentare che segna un nuovo record: 33 miliardi di euro secondo le prime proiezioni di Coldiretti. «La maggior parte delle esportazioni», sottolineano da Coldiretti «interessa i Paesi dell’Unione europea per un valore stimato di 22,5 miliardi (+5%), ma il Made in Italy cresce anche negli Stati Uniti con 2,9 miliardi (+6%), nei mercati asiatici (+8%, 2,8 miliardi) e su quelli africani dove si è avuto un incremento del 12%, arrivando a quota 1,1 miliardi. A livello generale, l’aumento dell’export rispetto allo scorso anno è stato del 6%, ma tra i principali settori del Made in Italy, il prodotto più esportato si conferma il vino, con 5,1 miliardi (+8%)».

L’Italian food, l’Italian wine aumentano il loro gradimento, complici, in molti Paesi extraeuropei, i cambiamenti socioeconomici in atto che si traducono in un incremento e una diversificazione dei consumi. Un momento favorevole, quindi, che le aziende vinicole italiane devono sfruttare appieno. Per esportare il proprio vino all’estero fondamentale è, innanzitutto, la comunicazione e la promozione del proprio prodotto.

[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=”Una “quality story” se non unica, diversa”]
Ettore Nicoletto, amministratore delegato di Santa Margherita Gruppo Vinicolo
Ettore Nicoletto, amministratore delegato di Santa Margherita Gruppo Vinicolo

Vendere vino all’estero? Occorre innanzitutto scegliersi un buon distributore, aver ben chiaro il mercato di riferimento e una solida strategia commerciale. E poi occorre investire, investire e… ancora investire! Nel proprio brand prima di tutto, la cosa più importante da promuovere, quindi in una “quality story” che sia, se non unica, almeno diversa, per cultura d’impresa, territorio e innovazione. Una volta che si è strutturati – e le dimensioni aziendali poco contano per raggiungere questo primo obiettivo – occorre lavorare sul distributore, in quanto sarà il nostro veicolo per raggiungere il trade. Gli incentivi vanno dosati tra forza vendita del distributore e trade, in quanto devono “vincere” entrambi. La presenza di un membro di una famiglia o di un manager dell’azienda fa sempre la differenza – se la persona è competente, s’intende – in quanto i mercati vanno frequentati per essere promossi.

Poi ci sono le fiere, i concorsi, le riviste di settore, le PR e tutta una serie di leve più o meno operative sulle quali lavorare per rendere la promozione più efficace. Per il business del Gruppo Santa Margherita, il Nord America – Caraibi inclusi – è decisamente l’area più importante, USA in primis anche se, forse, non tutti sanno che il nostro mercato più importante per consumo pro capite è il Canada… L’Europa è sicuramente l’area più difficile per puntare sulla crescita, ma rappresenta ancora una porzione sostanziale del nostro business. I risultati più incoraggianti – anche in prospettiva – arrivano dall’area Asia Pacific, sia da mercati maturi quali il Giappone, l’Australia e la Cina. Il futuro comunque rimane a stelle e strisce per il gruppo, data anche la recente costituzione di una società controllata a Miami. Vi sono, infatti, alcuni brand del nostro portafoglio che esprimono un buon potenziale di sviluppo.
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