Intervista

Le battaglie di AssoDistil

L’associazione che riunisce il 100% delle distillerie del Belpaese, fa il punto sulla sua impegnativa funzione. Un’attività costantemente volta alla difesa dagli attacchi dei prodotti esteri e al sostegno delle prerogative di qualità e unicità delle produzioni italiane.

Chiunque si sorprenderebbe se, in un qualsiasi bar della Penisola, non trovasse la grappa tra le mensole delle bevande, ma in pochi sanno che questo, al pari di pasta, pizza e vino, rappresenta un prodotto tipicamente nostrano. Forse più apprezzato all’estero che in Italia. Sì, perché ormai la grappa, come altri distillati, sta lentamente regredendo nel ranking delle scelte degli italiani, più attirati dai superalcolici di marca anglosassone che dai “campioni” storici della bottiglieria italica.

Le cose vanno diversamente negli scambi commerciali con l’estero, dove i nostri distillati stanno riscuotendo un successo sempre crescente. E a volte inatteso, se si considerano i trionfi di vendite in Paesi lontani dalla nostra cultura culinaria come Thailandia, Filippine e Giappone. Di tutto questo, e dei grandi sforzi compiuti da AssoDistil nel salvaguardare gli interessi dei nostri prodotti di qualità in Italia e nel mondo, parliamo con il presidente Antonio Emaldi.

Un anno complicato, quello che sta per concludersi, e che vi ha visto impegnati su molti fronti…

È vero, la nostra associazione si è trovata ad affrontare un anno difficile, non soltanto per l’economia italiana, ma anche per l’industria distillatoria, un comparto che, a pieno titolo, rappresenta il made in Italy. Il nostro è un settore composto per lo più da piccole e medie imprese a conduzione familiare, legate al territorio e a un’antica tradizione; è quindi facile immaginare come la complessa congiuntura che stiamo vivendo abbia influito sulle nostre aziende che, peraltro, hanno dimostrato di saper reagire. Il nostro compito, in un anno così delicato, è consistito soprattutto nel portare avanti le battaglie che meglio tutelavano gli interessi delle nostre aziende, aiutandole a orientarsi nel complesso scenario normativo in continuo mutamento. Una battaglia, non nuova per i distillatori, è quella contro l’aumento delle accise.

Un provvedimento, come dimostrato anche dagli indicatori del ministero dell’Economia, non soltanto inutile dal punto di vista fiscale, ma che non ha nemmeno quegli effetti “salutistici” con i quali si giustifica, di norma, questo vecchio sistema per fare cassa. Tra le iniziative più importanti, mi sembra poi giusto ricordare la nostra battaglia per il mantenimento degli aiuti a favore della distillazione dei sottoprodotti della vinificazione, misura fondamentale sia per la tutela della qualità dei vini, sia in una logica di rispetto delle norme ambientali.

Ma anche sul fronte europeo mi pare ci siano state iniziative davvero singolari, per non dire nefaste…

Esatto. Abbiamo infatti proposto alle istituzioni comunitarie il vincolo di imbottigliamento della grappa in Italia. Il Mipaaf ha depositato una proposta di “scheda tecnica” relativa alla IG Grappa, in cui si chiede per la nostra acquavite di bandiera la misura del confezionamento nel luogo d’origine. Una tutela che la UE può concedere anche per le indicazioni geografi che delle bevande spiritose, allo scopo di tutelarne la reputazione e l’autenticità.

Sulla stessa falsariga si inserisce la nostra difesa del brandy europeo, che rischia di essere letteralmente declassato, a causa di un’ipotesi di modifica del disciplinare relativo alla prestigiosa acquavite che consentirebbe l’impiego, al posto del vino, di sottoprodotti vitivinicoli come fecce e vinacce. Il brandy, insomma, non sarebbe più lo stesso e, al contrario, ne risulterebbero penalizzate le straordinarie caratteristiche. In generale abbiamo dunque cercato di continuare quel dialogo con le istituzioni, improntato al confronto e alla collaborazione, che ci ha consentito, negli anni, di rappresentare al meglio la categoria.

Antonio Emaldi

E come stanno cambiando i gusti degli italiani? Come ci collochiamo, in termini di consumi, rispetto agli altri Paesi europei?

Negli ultimi dieci anni si è assistito a una progressiva diminuzione degli acquisti delle bevande alcoliche nazionali. Gli italiani prediligono la grande distribuzione, dove i distillati sono considerati un prodotto di nicchia. In confronto col resto d’Europa i volumi di alcol prodotti e consumati sono decisamente minori. Eppure i distillati si sono conquistati uno spazio importante nella cultura enogastronomica del nostro Paese.

C’entra nulla la crisi dei consumi o è si tratta proprio di un cambio di abitudini nella scelta dei superalcolici?

Se guardiamo ai soli numeri, nel 2012, si è registrata una diminuzione dei consumi di grappa pari al 5% e del brandy italiano del 7%. Tuttavia segnali incoraggianti arrivano dall’aumento di produzione della grappa pari al 18% e dell’acquavite da vino pari al 14% rispetto allo scorso anno, segnale che manifesta una certa fiducia nella ripresa. La grappa resta comunque il distillato più amato dagli italiani. Alcune categorie hanno mostrato vivacità anche in tempi non facili, come i distillati d’uva, i cui volumi di vendita sono cresciuti dello 0,5%.

È possibile avere un inquadramento quantitativo della produzione di alcol etilico in Italia nell’ultimo anno?

Nel 2012 la produzione italiana di alcol etilico è stata di circa un milione di ettanidri (un ettanidro corrisponde a 100 litri di alcol anidro, cioè puro, quindi a 100 gradi, ndr), registrando così una crescita del 15% rispetto allo scorso anno. Circa il 50% della produzione riguarda l’alcol da cereali mentre l’alcol da vino e materie vinose rappresenta circa il 45% del totale. Tuttavia i volumi prodotti in Italia non sono riusciti a coprire le esigenze della domanda interna.

Da qui la necessità di garantirsi un certo approvvigionamento dai mercati esteri. Le importazioni di alcol etilico nel 2012 sono state pari a 2.756.000 ettanidri, in aumento del 28% rispetto allo scorso anno. Per quanto riguarda poi il numero di persone coinvolte indirettamente nell’industria italiana delle acquaviti, le aziende del comparto distillatorio contano circa 1.500 dipendenti ma, data la complessità e le caratteristiche del settore, le sue produzioni e i numerosi attori della filiera, risulta particolarmente difficile stimare il personale dell’indotto che risulta essere comunque molto rilevante.

E quanti sono attualmente i vostri soci e quale rappresentatività esprimono in termini di fatturato?

Rappresentiamo circa 60 aziende che coprono oltre il 95% della produzione di alcol etilico di origine agricola, per un fatturato complessivo di circa un miliardo di euro.

E l’export come sta andando? Avete messo in cantiere strategie particolari a questo riguardo?

Proprio grazie all’export abbiamo visto aumentare la competitività delle nostre piccole imprese, per lo più a conduzione familiare. Mentre il mercato interno vive un momento difficile, l’export si dimostra la “nuova frontiera” dei prodotti italiani, soprattutto per la grappa. Secondo i dati Istat, nel 2012 si è registrata una crescita nelle esportazioni del 15% rispetto allo scorso anno. La grappa riesce a ritagliarsi nuovi spazi anche in Paesi che, oltre a essere consumatori, sono anch’essi produttori e questo è esemplificativo dell’elevato standard di qualità raggiunta.

La strategia delle nostre aziende è sempre la stessa: la ricerca costante di nuove opportunità all’estero, praticamente a ogni latitudine. È stato quindi il distillato nazionale per eccellenza a trainare l’attività distillatoria nel 2012 e nell’avvio del 2013: i volumi sono lievitati del 18%.

E dove esportiamo maggiormente?

Il principale Paese importatore continua a essere la Germania, che copre il 62% delle esportazioni del prodotto in bottiglia. Seguono poi la Francia, l’Austria e gli Stati Uniti. Ottimi i risultati dell’export nell’Est Europeo, con la crescita delle vendite in Estonia (+10%), Lettonia (+24%), Slovacchia (+13%) e Albania (+64%). In Russia, dove addirittura si è registrato un boom del distillato più amato dagli italiani, si registra un incremento del 27%. Ma la grande sorpresa arriva dall’Oriente, grazie alle esportazioni in Thailandia (+60%), nelle Filippine (+40%), in Giappone (+20%) e a Taiwan (+76%).

Altri enti collaborano con AssoDistil con tavoli di lavoro su problematiche comuni. Ce li vuole illustrare?

AssoDistil crede da sempre nel dialogo con le altre realtà del mondo vitivinicolo. Per la nostra attività, collaboriamo stabilmente con l’Istituto Nazionale Grappa, con Unindustria Treviso e E-pure, l’associazione europea per l’etanolo da fonti rinnovabili. Siamo associati ad alcune importanti realtà associative in ambito confindustriale come Federalimentare, con la quale lavoriamo in completa sintonia.

E fuori dai nostri confini?

A livello internazionale siamo associati a Origin, il network internazionale delle indicazioni geografiche. Gestiamo da oltre cinque anni il segretariato generale della Cedivi, la Confederazione europea delle distillerie vinicole che rappresenta oltre il 65% della produzione di acquavite di vino in UE, in virtù della presidenza di turno italiana.

Parliamo di ecosostenibilità: che cosa significa per le aziende che aderiscono ad AssoDistil?

Quella della distillazione è un’industria di enorme importanza soprattutto dal punto di vista ambientale. Basti pensare all’impiego dei sottoprodotti vitivinicoli su cui si basa il nostro lavoro, che consente così all’intero settore di dar vita a un percorso virtuoso, capace di valorizzare fecce, vinacce, vinaccioli e i residui della lavorazione della frutta, per creare eccellenze della produzione italiana come la grappa. Ed è quindi forte l’interesse delle imprese aderenti ad AssoDistil nei confronti della produzione di energia “verde”.

I benefici ambientali derivanti dal recupero e utilizzo a fini energetici dei sottoprodotti della distillazione sono infatti davvero significativi. Da un’indagine dell’Associazione svolta due anni fa tra le imprese aderenti, è emerso che gli investimenti delle distillerie industriali in questo ambito ammontavano a 250 milioni di euro, pari a 500.000 tonnellate di biomasse utilizzate per fornire elettricità. Per il biogas, poi, si arriva a 1 milione e mezzo di tonnellate lavorate.

Nell’85% dei casi, le distillerie hanno impiegato biomasse da filiera corta, ovvero derivanti da attività agricole situate entro 70 km dall’impianto di produzione elettrica. Alcune imprese scommettono sulla cogenerazione, impiegando biomassa da rifiuti, come gli stralci di potatura e reflui liquidi. In tal senso, anche a causa di alcune zone d’ombra nella normativa ambientale, Assodistil chiede alle autorità competenti di fare chiarezza sulle regole del comparto, allo scopo di rendere gli operatori sicuri dei propri investimenti.