Intervista all'enologo

Il “re” del Sauvignon

La Cantina propone oltre 30 etichette, tre linee di qualità per ogni tipologia di vino

Obiettivo, per il futuro, migliorare la qualità?

Oggi dobbiamo crescere più nella vendita che non in produzione. Quelli che abbiamo realizzato negli anni ‘90 sono impianti eccellenti con il giusto vitigno per ciascun terroir. Purtroppo rimangono zone in cui nonostante gli sforzi, a causa della ridotta vocazione del terreno, non si riesce a spingere maggiormente sulla qualità. In vigna stiamo, comunque, lavorando molto bene; i nostri soci sono parecchio preparati, e questo anche grazie agli input che forniamo durante assemblee periodiche.

Non vogliamo andare oltre, lasciamo il resto al loro senso di responsabilità. È anche vero che un incentivo a produrre bene viene anche dal pagamento a qualità che abbiamo introdotto da diverso tempo. La forbice è ampia tra uve ottime e scadenti anche di 4-5 euro al quintale: partiamo da un prezzo medio di 2 euro per salire ai 5 euro per le uve al top e ai 50-80 centesimi per le uve meno pregiate. Una forbice siffatta incentiva sicuramente a dare il meglio…

Parliamo di tecnica e tecnologia in cantina.

La tecnica che maggiormente mi ha salvato negli ultimi 35 anni è stata quella del controllo della temperatura; sicuramente il parametro che più di ogni altro condiziona il risultato finale. Determinante poi sarà la selezione delle uve e il lavoro del tecnico di cantina. Egli dovrà comprendere la potenzialità delle uve che si trova a vinificare, alcune potranno raggiungere livelli qualitativi molto elevati, altre meno, per questo vinificare separatamente ciascuna produzione con tecniche ad hoc fa l’ulteriore differenza.

Ci capita sovente in vendemmia di arrivare a tarda sera e avere ancora da vinificare raccolti con caratteristiche qualitative molto diverse; magari anche solo 10 quintali! La stanchezza consiglierebbe di unire le due produzioni, vinificare e tornare a casa un po’ prima, ma lavorarle separatamente permette certo di ottenere i migliori risultati.

Per quanto riguarda i sistemi di riduzione?

Non do loro particolar importanza, sono convinto che un po’ di ossidazione nel mosto non guasti. Per alcune uve è addirittura necessaria perché diversamente ci troveremmo, in seguito, troppe sostanze fenoliche che potrebbero creare più di un problema. Quello che importa durante la fase di pressatura sono rapidità e temperatura, meglio quindi refrigerare − ma no troppo − le uve calde; da noi, comunque raramente questo problema si pone.

Per le fasi successive?

Decantazione statica con uso di un po’ di bentonite, fermentazione con lieviti diversi e selezionati. Qui la temperatura riveste un ruolo importantissimo, serve quella ottimale che consenta sia una fermentazione costante, sia a termine. Dopo la fermentazione c’è un’ulteriore refrigerazione per i vini che non vanno in malo-lattica. C’è quindi l’affinamento in legno o in acciaio.

Tutti i vini fruttati, aromatici fanno acciaio, il Sauvignon fa in piccola parte anche legno; il Pinot bianco, il Pinot Grigio, lo Chardonnay fanno anche grande legno; nella linea Sanct Valentin il Gewürztraminer e il Sauvignon fanno acciaio − da quest’anno il Sauvignon anche una piccola parte di legno − mentre Chardonnay e Pinot Grigio legno piccolo, il Pinot Bianco, infine, legno sia piccolo sia grande. Per i vini che fanno legno la fermentazione avverrà in botte perché un vino che fa legno nasce nel legno… Travasi − minor numero possibile − assemblaggio, stabilizzazione, filtrazione ridotta all’indispensabile.

E l’Imbottigliamento?

Quando il vino è pronto per l’imbottigliamento dò molta importanza all’ossigeno: piccole quantità per ridurre i problemi legati all’ossidazione.

Il tappo gioca un ruolo determinante.

La scelta del tappo è purtroppo del consumatore. Usiamo sughero, italiano, ma sui vini di pronta beva, sulla linea classica preferirei, di gran lunga, il tappo a vite. Il problema è che il consumatore non ne vuole sapere. Ci servirà ancora un po’ di tempo!

Un problema che è stato superato in altre nazioni…

La Germania sta lavorando parecchio su questa tipologia di chiusura, l’Austria… per non parlare di Australia e Nuova Zelanda. Mi è capitato di acquistare un vino australiano di gran pregio chiuso con tappo a vite! Sicuramente un eccesso da non imitare, ma l’esempio la dice lunga sul peso che nel continente australe questo sistema di chiusura ha! Certo sui grandi vini della linea Sanct Valentin non utilizzerei mai un tappo a vite, lì è di rigore il sughero, ma su linee di minor prestigio sì.

Il sintetico?

Solo qualche tappo tecnico…

Parlavamo d’imbottigliamento. Quali tecnologie utilizzate?

Abbiamo scelto macchine italiane caratterizzate da grande affidabilità: la linea d’imbottigliamento con una capacità oraria di 5000 bottiglie/ora è di Bertolaso, così pure la tappatrice; mentre di Robino & Galandrino è l’incapsulatrice; l’etichettatrice è di Cavagnino & Gatti; per il depallettizzatore, l’incartonatrice e il pallettizzatore abbiamo scelto Bortolin Kemo. Tutti impianti molto performanti ai quali di recente si è aggiunta una lavabottiglie di Games, al fine di ottenere un recipiente perfettamente pulito dopo l’imbottigliamento.

Dovremo forse pensare in futuro a un’etichettatrice più sofisticata perché vorremmo dare maggior peso all’immagine, all’etichetta; opteremo probabilmente ancora su una Cavagnino & Gatti.

Tra i primi in Alto Adige Hans Terzer ha lanciato in Alto Adige il Sauvignon nel 1989. Pochi anni dopo nel ‘94 il suo Sanct Valentin Sauvignon si è aggiudicato i “Tre bicchieri” del Gambero Rosso. Menzione che ha poi conquistato 17 anni di seguito

È soddisfatto dei suoi vini?

Nonostante i lusinghieri traguardi raggiunti, il mio sogno è di produrre un vino ancor più eccelso, interessante. Magari un Sauvignon, poche migliaia di bottiglie in tutto… Per il resto, ho qualche progetto in mente in cantina. Vorrei investire ancor più sul Pinot Bianco e soprattutto sul Pinot Nero, da vent’anni lavoro su questo vitigno e oggi, con l’invecchiare delle vigne, stanno arrivando i primi importanti risultati.

L’età della vigna è fondamentale…

La vigna ha bisogno di tempo, quando è pronta devi individuare la tecnica di vinificazione che ti permette di ottenere il meglio dalle sue uve: macerazione a freddo oppure no, temperatura bassa, più alta… Purtroppo di vendemmia ne abbiamo solo una all’anno! Interfacciarci con chi più esperto di noi sicuramente aiuta: andare in Borgogna… ma la Borgogna non è l’Alto Adige e viceversa!

Il suo Sauvignon ideale.

Sogno un vino dall’assoluta pulizia, brillante per complessità. Un diamante chiaro come la luce, senza incrinature e connotazioni non gradite; perfetto! Un vino inattaccabile dalla critica, molto ampio in bocca e persistente; non un vino “muscoloso”, ma elegante, fine e piacevole, capace di regalare una vera avventura sensoriale all’assaggio.

Esiste un vino così?

Di recente ho bevuto un Barolo DOCG Le Rocche del Falletto Riserva 2004 di Bruno Giacosa: da mettersi in ginocchio! Uno dei migliori vini che abbia bevuto ultimamente. Magari anche un Masseto, un Ornellaia, un Solaia…

Rossi, quindi?

Ottimi anche alcuni bianchi italiani, ma non eccelsi o tali da ispirare il mio vino bianco ideale. Per berne uno di prestigio bisogna bussare Oltralpe: Olivier Leflaive, i grandi vini di Borgogna.

Arriverà questo grande vino?

Il nostro lavoro è fatto di attesa, attesa che le vigne invecchino. Molti nostri vigneti hanno 10- 15 anni, vigneti dalle grandi potenzialità che produrranno uve di livello sempre più elevato. La nostra cantina è pronta ad accoglierle e vinificarle!

Sotto la sua guida, la Cantina San Michele ha subito un’incredibile metamorfosi…

Sono parte di questa cantina e la cantina è parte mia. Ho sempre lavorato come se l’azienda mi appartenesse, quindi non risparmiandomi mai, profondendo il massimo impegno. a fine anni ‘70 la cantina era economicamente a terra. Penso non si potesse che migliorare lo stato in cui gravava. Decisi di puntare sulla qualità, l’unica via che poteva salvarci a quei tempi e che ci permetterà di rimanere competitivi anche per il futuro: siamo condannati − io dico − a produrre qualità!

Non possiamo, infatti, competere con altre regioni italiane, le nostre liquidazioni sono molto alte, intorno ai 20mila euro per ettaro; devo quindi vendere bene e per vendere bene devo produrre qualità! Il consiglio direttivo della cantina ha creduto in me, mi ha dato carta bianca, questa estrema libertà, insolita per la maggior parte delle strutture produttive, mi ha permesso di impostare il lavoro al meglio, di costruire un mercato solido e prospero.

A proposito di mercati…

Qui è la nota dolente, purtroppo, perché il mercato italiano arranca. Su questo mercato noi siamo la cantina altoatesina leader per il canale horeca: oltre 1 milione di bottiglie vendute. Sebbene abbia sempre dato la massima importanza al mercato nazionale, convinto che i vini di territorio debbano essere bevuti nella zona dove si producono, malgrado il mercato estero fosse più remunerativo, da oggi, a malincuore, dovremo guardare sempre più oltre confine.

Quest’anno abbiamo ridotto la produzione in vigna del 5-7%: questo ci permetterà di tamponare il calo degli affari, ma nello stesso tempo di produrre qualità ancora più elevata. Il socio ridurrà i suoi guadagni: siamo consapevoli che dobbiamo un po’ soffrire, ma non troppo! Non vorrei che questi trent’anni d’intenso lavoro venissero vanificati dalla sofferenza dei mercati…