In etichetta le sostanze allergenizzanti

Mal di testa, rush cutanei, naso chiuso sono alcune delle sintomatologie che il consumatore può manifestare − seppure i casi siano estremamente sporadici e poco documentati dalla letteratura scientifica − dopo aver bevuto un bicchiere di vino. Se i solfiti sono riconosciuti tra i potenziali allergeni, è pur vero che poco ancora si conosce di altre sostanze allergenizzanti presenti nel vino. Uno studio scientifico, presentato alla fine del 2010 da un gruppo di ricerca italiano guidato dal biologo molecolare Giuseppe Palmisano, pubblicato su Journal of Proteome Research, ha identificato 20 glicoproteine, con struttura simile ad allergeni già conosciuti, in uno Chardonnay; un primo passo della comunità scientifica in uno scenario, quello delle allergie da vino, tutto da esplorare e verificare. Intanto l’Unione europea gioca d’anticipo imponendo l’obbligo di riportate in etichetta la presenza di albumina e caseina, coadiuvanti tecnologici utilizzati nel processo di chiarifica del vino, qualora ne sia stato riscontrato il contenuto tramite i metodi di analisi raccomandati dall’OIV (Organizzazione internazionale della vigna e del vino).

[box title = “La sicurezza alimentare è un obbligo da rispettare”]

Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini

Alla normativa sugli allergeni è sempre stata dedicata particolare attenzione e gli studi afferenti a questa materia hanno conosciuto nel tempo diversi aggiornamenti. Il reg. 579/2012 era indispensabile per regolare le indicazioni nelle etichette dei vini dell’eventuale presenza di derivati del latte e delle uova. La particolarità di queste sostanze e del loro impiego in enologia ha portato la Commissione UE a stabilire che vanno dichiarate non in funzione dell’impiego, ma della loro presenza nel prodotto finito, determinata con il metodo di analisi adottato dall’OIV. Il dibattito che ha accompagnato la stesura del regolamento ha coinvolto in particolare la Direzione generale per la sicurezza alimentare e deiconsumatori della Commissione Europea e l’EFSA: le ricerche effettuate non hanno escluso il rischio di reazioni allergiche a qualsiasi livello, da parte dei consumatori. Gli esperti del settore, dal canto loro, hanno incontrato difficoltà a individuare numeri significativi di soggetti allergici per poter eseguire le prove, secondo le linee guida dell’EFSA, in quanto costituiscono una parte molto piccola della popolazione. Questo scenario ha determinato l’obbligo di dichiarazione cui il settore si adeguerà certamente. Non si tratta di una questione di utilità: la sicurezza alimentare è un principio che gli operatori sono obbligati a rispettare e intendono riportare, avendo particolare riguardo nei confronti dei consumatori più sensibili. Per certi versi riportare sempre più indicazioni in etichetta può provocare eccessi controproducenti, può gettare discredito su un prodotto, questo in particolare quando le informazioni nascono sulla base di automatismi di legge e non sono comprese dal consumatore. Se si ritiene però che le indicazioni siano rilevanti per il consumatore, è giusto prevederle. È vivo l’auspicio che si guardi sempre al complesso delle indicazioni e non al solo inserimento di nuove. Occorre che l’etichettatura sia facilmente leggibile dal consumatore e però, allo stesso tempo, non comporti oneri eccessivi per gli operatori. [/box]

Finisce l’esonero

Scattata il 30 giugno 2012 e applicata a “vini ottenuti interamente o parzialmente da uve della vendemmia degli anni 2012 e successivi ed etichettati successivamente al 30 giugno 2012”, la disposizione impone che i vini trattati con caseina, ovoalbumina e lisozima adottino un’etichettatura specifica ai sensi del regolamento europeo n. 1266/2010 quando il residuo sia uguale o superiore a 0,25 mg/l per le prime due sostanze, e a 0,2 mg/l per il lisozima, valori che coincidono con gli attuali limiti di rilevabilità delle metodiche analitiche in uso. Il modello è analogo a quanto già previsto per i solfiti, utilizzando in etichetta, per le proteine di latte, la dicitura “latte, prodotti del latte, caseina del latte o proteine del latte”, mentre per i prodotti a base d’uovo “uova, proteine delle uova, prodotti delle uova, lisozima delle uova, ovoalbumine”. Diciture che potranno essere accompagnate, ma non sostituite, da pittogrammi.

[box title = “L’informazione e la tutela del consumatore non screditano l’immagine del vino!”]

Domenico Bosco, responsabile vino Coldiretti

Sebbene la letteratura non abbia riportato casi di reazioni allergiche in consumatori sensibili che hanno bevuto vini trattati con caseina o derivati del latte e/o albumina o derivati dell’uovo, dal momento che le due sostanze sono classificate allergeniche la Ue impone anche per i vini l’etichettatura obbligatoria delle due sostanze che si sono andate ad aggiungere ai solfiti. Va precisato peraltro che a differenza di altre sostanze allergeniche e degli stessi solfiti, caseina e albumina sono utilizzate come chiarificanti e che al termine del processo di filtrazione sono eliminate dal prodotto che viene immesso in commercio salvo eventuali tracce o contaminazioni accidentali. Per questo motivo l’Ue non impone in assoluto l’obbligo di indicare “contiene albumina” per il solo fatto di averla utilizzata ma solo se la sua presenza è riscontrabile utilizzando gli attuali metodi di analisi ufficiali. Fatta questa doverosa premessa si condivide la necessità di tutelare il consumatore anche quando non si hanno evidenze di reazioni allergiche; d’altronde sembra veramente poco plausibile che ce ne possano essere di documentate essendo, di fatto, le sostanze in genere non presenti e se presenti, solo in quantità tali da ridurre le possibilità di risposta allergica. È ovvio che questa disposizione stia creando non pochi problemi alle aziende che sono costrette a effettuare analisi di presenza delle due sostanze prima di imbottigliare e rivedere le etichette, con ulteriore aggravio sui costi di produzione, finendo per scrivere sempre e comunque “contiene solfiti, albumina e caseina”. Così facendo l’etichetta dei vini rischia di divenire un insieme di scritte in lingue diverse alle quali i consumatori finiscono per non prestare più la giusta attenzione. In questo senso Coldiretti ritiene utile accelerare il processo di autorizzazione dell’utilizzo esclusivo dei loghi predisposti dall’Ue, utilizzabili per ora solo in aggiunta alla dicitura. Allo stesso modo sarà necessario investire in educazione alimentare in modo che il consumatore possa conoscere sempre meglio il vino, come viene prodotto, come consumarlo, come leggere l’etichetta. Non riportare in etichetta informazioni che in genere il consumatore si aspetta di trovare sarà dannoso nel medio lungo periodo. [/box]

Una disposizione dibattuta, adottata dopo un lungo iter di verifica che ha coinvolto gruppi di esperti scientifici in seno all’Unione europea, i diversi Stati membri e organizzazioni di settore. Per vero, in materia di etichettatura di prodotti alimentari, la legislazione europea prevedeva già da tempo la dichiarazione in etichetta di tutti quegli ingredienti che possano rappresentare un rischio per il soggetto allergico, elencati nell’allegato 3 della direttiva comunitaria 2003/89 e nella successiva integrazione 2006/142. La disposizione, che l’Italia ha recepito sei anni fa con il dl n. 114 dell’8 febbraio 2006, ha esentato il settore del vino che ha goduto in questi anni di una deroga all’etichettatura degli ingredienti. L’esenzione è stata messa in discussione a seguito dell’utilizzo in enologia, durante il processo di chiarificazione, di additivi e coadiuvanti proteici tra i quali caseinati e albume/ovoalbumina, sostanze presenti nell’elenco degli ingredienti potenzialmente allergenizzanti.

Chiarificare  per eliminare sostanze indesiderate

Impiegati per rimuovere sostanze indesiderate come i polifenoli, che potrebbero indurre nel vino torbidità, sensazione di amarezza o astringenza, i metodi di chiarificazione utilizzano sostanze di origine animale o minerale. Oltre alla caseina del latte − chiarificante classico per i vini bianchi per il suo effetto illimpidente e brillante −, all’albumina − ottimo detannizzante e per questo indicato per vini rossi DOC e DOCG di alto profilo −, alle gelatine di origine animale − tra le sostanze chiarificanti più in voga −, comune in cantina è anche l’impiego di bentonite, un’argilla utilizzata per la chiarificazione e la stabilizzazione dei vini sia bianchi sia rossi.

Tutte queste sostanze, impiegate in chiarificazione, interagendo con i composti fenolici e unendosi a essi, creano complessi che vengono eliminati dal vino per decantazione, centrifugazione o filtrazione. Le sostanze proteiche chiarificanti derivanti da latte e uova, non subendo particolari trattamenti tecnologici in fase di preparazione mantengono però attivi gli epitopi − le porzioni della molecola proteica in grado di legare gli anticorpi specifici e indurre la reazione allergica − rappresentando un potenziale rischio per i soggetti allergici. Da qui, l’importanza di utilizzare metodi analitici sensibili e affidabili in grado di determinare l’eventuale presenza di chiarificanti nel vino.

Le metodiche analitiche in uso

«I metodi attualmente impiegati per la determinazione delle caseine e albumine nel vino», spiega Roberta Danzi, direttore tecnico dei laboratori di Unione Italiana Vini, «sono quelli indicati dall’OIV. Sono metodi ELISA e in questo caso, in realtà, più che una metodica vera e propria, l’OIV ha fornito criteri attraverso i quali operare ed effettuare correttamente l’analisi, come: la tecnica e il principio del metodo; il tipo di reagenti da utilizzare; quali performance il metodo deve garantire; quali i limiti di quantificazione, di rilevabilità; indicazioni sulla ripetibilità minima ecc.

[box title = “Metodiche analitiche a portata di cantina?”]

Roberta Danzi, direttore tecnico dei laboratori di Unione Italiana Vini

I metodi per la determinazione del contenuto in caseina e ovoalbumina nel vino rimangono a pannaggio di laboratori specializzati.

Il metodo ELISA per il dosaggio di queste sostanze potenzialmente allergenizzanti richiede attrezzature specifiche come un lettore di piastre ELISA dedicato, non basta il normale spettrofotometro UV visibile in dotazione nella maggior parte dei piccoli laboratori di cantina.

Laddove il kit preveda tempi d’incubazione a temperature controllate servono inoltre stufe termostatiche. Non ultimo, infine, una buona manualità e competenza essendo la metodica non banale da applicare! [/box]

Sono criteri molto puntuali, nei quali viene specificato anche il tipo di anticorpo da impiegare.

Utilizzando kit analitici di produttori diversi, l’analista dovrà oltre alle indicazioni dell’OIV seguire anche quelle specifiche per il kit in possesso, quindi: temperatura di conservazione, minuti d’incubazione, quantità dei diversi reattivi e di campione che devono essere impiegati. L’OIV, tra le indicazioni fornite, ha anche precisato il limite di rilevabilità che il kit impiegato deve possedere, attualmente, pari a 25 mg/l».

Patrizia Restani

“Sonni tranquilli”  per i vini in commercio

Se il problema dell’allergenicità ai chiarificanti non è da sottovalutare, e per questo corrette sono le recenti disposizioni di legge che tutelano il consumatore da questo potenziale rischio, è pur vero che i risultati di test analitici condotti su vini in commercio ci permettono di “dormire sonni tranquilli” circa la presenza di sostanze allergenizzanti nel prodotto finito. VINALL, progetto di ricerca patrocinato dal MiPaaf, conclusosi lo scorso anno, ha evidenziato l’assenza di proteine del latte e dell’uovo, testando un’ampia gamma di vini in commercio. «VINALL», spiega Patrizia Restani, docente alla Facoltà di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Milano, membro della commissione IV dell’OIV e responsabile del progetto, «aveva lo scopo di verificare se vini chiarificati con proteine allergeniche, quindi latte e uovo, avessero dei residui del prodotto finito in modo da poter rappresentare un rischio per il consumatore allergico. Sono stati per questo raccolti 62 bianchi vini italiani in commercio provenienti da diverse regioni. I campioni comprendevano: 3 vini da tavola, 28 IGT, 24 DOC e 7 DOCG. Utilizzando in parallelo tre tecniche analitiche, è stato possibile dimostrare che tutti i campioni di vino inclusi nello studio sono risultati privi di residui di caseinati. Nel caso dei vini rossi, abbiamo analizzato anche vini provenienti da altri Paesi, tra i quali Australia, Francia, Nuova Zelanda e Spagna, ottenendo sempre l’assenza di chiarificanti nel prodotto finito. Grazie ai risultati ottenuti da VINALL e da altri progetti in seno ai diversi Paesi dell’Unione europea, pur ribadendo l’obbligatorietà di riportare in etichetta l’utilizzo di sostanze allergenizzanti nel processo produttivo, la Commissione europea ha lasciato spazio a esonero qualora non si riscontri la presenza di allergeni attraverso analisi chimica. Un’apertura dell’Unione Europea che si riallaccia oggi a una proposta dell’OIV per esonerare dall’obbligo di etichettatura quei vini sottoposti a filtrazione e dosaggio, filtrazione, ulteriore step del processo di chiarifica che è in grado di offrire garanzie pressoché assolute circa l’eliminazione delle proteine chiarificanti dal vino».

Roberto Tognella