Imbottigliatore del mese

Dalle castagne toscane alla birra artigianale

Dal 2006 esiste una piccola azienda che ha puntato sulla valorizzazione della propria zona d’origine e dei suoi frutti caratteristici: nell’assortimento di Birrificio Amiata spicca, come punta di diamante, una bevanda a base di castagna IGP del monte Amiata.

Da oltre dieci anni il consumo di birra artigianale è preferenza quotidiana di un numero sempre crescente di italiani. Credere nel prodotto locale invece che nei brand di massa è una strategia alla base di molte PMI nostrane. C’è inoltre chi ha voluto declinare questa visione in un vero e proprio dogma: stiamo parlando del Birrificio Amiata. Sorto sette anni fa in provincia di Grosseto da un’idea della famiglia Cerullo, oggi questa piccola realtà (che, fra produzione ed uffici, impiega stabilmente cinque persone nell’organico) sta conquistando nicchie di mercato grazie a una birra preparata con castagne IGP del monte Amiata, in particolare con quelle di una varietà detta “bastarda”. Il rispetto della IGP impone che gli alberi non siano trattati con fertilizzanti sintetici o fitofarmaci e che i frutti siano raccolti a mano o comunque con sistemi volti a conservarne l’integrità e la qualità. L’azienda acquista le castagne essiccate e sbucciate direttamente dai produttori del locale consorzio, le macina in parti grandi quanto grani d’orzo, integrandole poi nelle fasi iniziali della produzione. La bevanda assume dunque un aroma caratteristico: le castagne cedono amidi che, successivamente, si trasformeranno prima in zuccheri più semplici e poi in alcol, grazie all’opera dei lieviti. Il birrificio produce circa duemila ettolitri di birra l’anno. Nella gamma proposta spiccano quattro tipi di bevanda con castagne: la “Bastarda Rossa” prodotta secondo una ricetta in cui le castagne IGP dell’Amiata rappresentano il 20% degli ingredienti secchi; la Bastarda Doppia per la quale le castagne IGP rappresentano il 40%; la “Tripla Bastarda” nella cui ricetta compaiono castagne fresche, arrostite, sbucciate e macinate al 30%; e, infine, Marronbona con farina di castagne. Abbiamo rivolto alcune domande a Gennaro Cerullo, direttore commerciale e socio fondatore.

Ogni prodotto mutua il nome da tradizioni storiche delle vostre terre (“Aldobrandesca”, “Drago della Selva”, “San Niccolò”). Quali sono le peculiarità e le sfumature migliori delle vostre birre? Come mai le avete battezzate con questi nomi?
Una delle nostre caratteristiche fondamentali è l’acqua, molto leggera. L’Amiata, vecchio vulcano ormai spento, filtra infatti moltissimo le acque. Poi c’è la nostra passione e gusto, che ci porta a produrre birre il più possibile equilibrate, in cui, senza avere un palato allenato, si possano percepire tutti i costituenti classici (orzo, luppoli, esteri provenienti dalla fermentazione). Per i nomi, volevamo votarci alla massima territorialità: abbiamo così preso al balzo l’idea dei differenti nomi, per far conoscere, almeno agli appassionati, la storia e  le leggende dell’Amiata, un ambiente incontaminato, ancora sconosciuto a molti. Tra l’altro queste storie sono state raccolte in un libro recentemente pubblicato: “10 nomi in 10 etichette”. Per la cronaca, poi, la linea prodotta con castagne oltre all’orzo, trae origine da una delle 3 varietà di castagne dell’Amiata: il marrone, il cecio e appunto a Bastarda Rossa.

Nell’ambito delle materie prime, quali scelte attuate per avere il prodotto che desiderate?
Selezioniamo con cura le materie prime, specialmente l’orzo, proveniente dalla Germania e dall’Inghilterra (anche se stiamo testando per una clientela speciale degli orzi italiani). Anche il luppolo è selezionato in accordo con il più importante rivenditore in Italia. Senza essere ripetitivo, poi l’acqua, che compone oltre il 90% della birra, è sempre ben controllata e consente di esprimersi in una varietà notevole di stili.

Pur rinunciando all’ingresso in GDO, i vostri prodotti sono scelti anche fuori dai confini toscani in Emilia, Veneto, Lombardia, Campania e Puglia. A quanto ammonta il fatturato 2012? L’export resta un sogno o avete contatti anche al di là della nostra nazione? Come pensate di ampliare il raggio di azione e di vendita nel breve/medio periodo?
In Italia i dati ci diconoche il consumo di birra, arrotondato per eccesso, è di 30 litri pro capite; la quota di birra viva (ovvero ancora con i lieviti vivi all’interno, quindi non pastorizzata e non microfiltrata) prodotta artigianalmente è del 2%. Quindi ogni italiano beve in media poco più di una pinta di birra artigianale all’anno… un po’ poco per oltre 500 birrifici che sono nati in Italia. Si cerca quindi di far conoscere il nostro prodotto in Toscana anche se il consumo è più legato al vino rispetto ad altre regioni del nord Italia e nelle altre località in cui si consumi birra. Ma non basta. Occorre guardare all’estero, anche se in questo modo non siamo più un’azienda locale o comunque nazionale, ma un player globale in un mercato in cui partecipano anche birrifici tedeschi, belgi, inglesi, francesi, con maggiore tradizione e capacità di fare marketing investendo soldi. Comunque nel 2012, sommando le fatture emesse (non è dunque un dato di bilancio) siamo arrivati a circa 600.000 euro di fatturato (non abbiamo un pub di proprietà, vendiamo a distributori e facciamo conto terzi, per cui i margini non sono elevati) e comunque siamo arrivati a questi volumi grazie all’export negli USA, in Canada, in Svezia e in Giappone. Speriamo in questo anno di fare progressi proprio nell’export dei nostri prodotti, contando anche sulla forza trainante del “made in Tuscany”.